mercoledì 26 ottobre 2011

Quella volta che gli Orsi invasero la Sicilia...

"Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie.” (Dino Buzzati)


Dino Buzzati, La famosa invasione degli orsi in Sicilia

Forse davvero, per Dino Buzzati, scrivere o dipingere sono state la stessa cosa: un modo di raccontar storie, per ‘disegnare’ o ‘descrivere’ le stesse atmosfere rarefatte, metafisiche, fiabesche. È una fiaba, infatti (parliamo di scrittura) I segreti del bosco vecchio, ed è una fiaba, in fondo, anche Il deserto dei Tartari. Sono fiabe tutti i suoi racconti, fiabe anche ‘visive’, intendiamo, sopratutto perché noi oggi, a posteriori, ricolleghiamo quelle pagine 'scritte' ai disegni che Buzzati ci ha lasciato e che ci fanno vedere il 'silenzio' solitario e quasi ieratico dei suoi paesaggi, le linee metafisicamente sghembe delle sue piazze e delle sue vie, le guglie e i pinnacoli, sempre a mezza via tra il gotico fiammeggiante del Duomo di Milano e le cime aguzze delle Dolomiti del bellunese.
Scrittura e visualità intrecciate e indissolubili. Buzzati è stato dunque artista e fabulatore in grado di dipanare tra disegno e parola le sue storie ancestrali e le sue visioni rassegnate, o ironiche, o sconsolate.

Dino Buzzati, I miracoli di Val Morel
Il fatto è questo: io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa e le mie pitture non le « può » prendere sul serio. (...) Intendiamoci bene. Non intendo fare la vittima. Non voglio recitare la sgradevole parte di incompreso. So stare al gioco. E riconosco pure che il mondo cane alla fine non commette ingiustizie. E so benissimo che il mio gigantesco talento di pittore avrà un giorno il suo riconoscimento. Al Louvre, alla National Gallery, al Museum of Modern Art, al Modern Kunst Institut, a Valle Giulia, state pure tranquilli, c'è già un posto per me. Ma, per ottenere questo, bisogna che io prima defunga. Mi rendo conto della situazione. E mi rassegno.

L'apologo degli orsi

Storia, disegno, favola. Queste tre parole le troviamo tutte in un libro, come recitava la bandella mondadoriana, “più citato che letto”. La famosa invasione degli orsi in Sicilia, è un apologo dettato nei tempi cupi della Guerra (uscì a stampa nel 1945), sulla conquista del potere, ma sopratutto sulla rinuncia al potere, e sulla ricerca di una felicità d'antan che può  essere ritrovata, quando l’abbiamo perduta, solo nel ritorno a un vagheggiato, e certo utopico, stato di natura.

Nei tempi dei tempi, quando la Sicilia era una regione dalle montagne nevose e impervie, gli orsi scendono a valle per cercare Tonio, l’orsacchiotto figlio di Re Leonzio, rapito dai cacciatori. Il principe orsacchiotto verrà ritrovato dopo tante avventure, ma la vita nelle città corromperà la naturalità degli animali che prenderanno i vizi, le piccinerie e le debolezze degli uomini.

Prima di morire re Leonzio rivolgerà ai suoi orsi l’ultimo disperato appello: “Tornate alle montagne… lasciate questa città dove avete trovato ricchezza, ma non la pace dell’animo. Toglietevi di dosso quei ridicoli vestiti. Buttate via l’oro. Gettate i cannoni, i fucili e tutte le altre diavolerie che gli uomini vi hanno insegnato. Tornate quelli che eravate prima. Come si viveva felici in quelle erme spelonche aperte ai venti, altro che in questi malinconici palazzi pieni di scarafaggi e di polvere! I funghi delle foreste e il miele selvatico vi parranno ancora il cibo più squisito. Oh bevete ancora l’acqua pura delle sorgenti, non il vino che vi rovina la salute. Sarà triste staccarvi da tante belle cose, lo so, ma dopo vi sentirete più contenti, e diventerete anche più belli. Siamo ingrassati, amici miei, ecco la verità, abbiamo messo su pancia”.


Lo zoccolo duro della Famosa invasione… anticipa di qualche anno La fattoria degli animali, ma quello che Orwell ci racconterà in termini di disillusione politica, Buzzati lo riconduce al mondo della fiaba, parlata, scritta, disegnata. Nelle sue pagine l’apologo è diventato pittura popolare, grande affresco di una civiltà lontana e ormai irraggiungibile, dove i fantasmi e le storie della tradizione, dal Gatto Mammone, al Serpenton dei Mari, dal Veglio della Montagna ai cinghiali volanti molfettani, trovano il loro spazio e sistemazione quasi naturali. E non sarà certo un caso se le stesse figure  popoleranno sempre la fantasia buzzatiana, rincorrendosi e fermandosi come veri e propri topoi, dalle prime prove e nel corso degli anni, fino alla fantastica epopea dei Miracoli di Val Morel, quando tutti loro, dal Gatto al Serpentone agli altri, racconti di paure infantili e di metafisica presenza, torneranno sulle loro montagne, non quelle siciliane degli orsi, ma quelle bellunesi dell’infanzia dell’artista che, in fondo, non avevano mai abbandonato.



Gli orsi, spinti dal freddo e dalla fame, scendono verso la pianura 
e impegnano battaglia con l'agguerrito esercito del Granduca 
accorso per respingerli. Senonché l'intrepidezza dell'orso Babbone 
volge in fuga i soldati granducali.


I  cinghiali da guerra del sire di Molfetta attaccano all'improvviso gli orsi 
ma l'astrologo De Ambrosiis li trasforma con un incantesimo 
in palloni aerostatici, cullati dolcemente dalle brezze. 
Donde la nota leggenda dei cinghiali volanti molfettani.


In cupa gola dei monti Pelori gli orsi sono assaliti dal Gatto Mammone 
sitibondo di sangue. E quale fugge, quale spara in un'inane difesa, 
quale si cela, quale si gitta nel baratro non volendo 
fare di sé satollo il leggendario mostro.


Conquistata dunque la Sicilia, sfilano nella grande piazza le prodi schiere 
degli orsi. Può assistervi anche l'orsatto Tonio, principino, salvato 
per l'intervento del mago ma ancora un po' debole per via 
del sangue versato: e perciò in lettiga.


Re Leonzio, essendo stata rubata al prof. De Ambrosiis la bacchetta magica, 
arringa la cittadinanza, esortando il colpevole a restituire il prezioso 
oggetto e minacciando in caso contrario severe pene. È arrabbiatissimo.


 A bordo di un navicello Re Leonzio si avventura contro il terribile 
Serpenton dei mari che minaccia la città. E lo uccide con un colpo di fiocina. 
Ma la perfidia di Salnitro - vedrete! - getta il popolo giubilante 
nel lutto e nella tragedia.

2 commenti:

  1. bellissimo post! la famosa invasione è uno dei miei libri preferiti
    grazie!

    RispondiElimina
  2. Buzzati meraviglia sempre: è stato un grande artista nrratore. Impareggiabile!

    RispondiElimina