giovedì 31 gennaio 2013

Tracce dall'immaginario


Cinque illustratori, tra i più noti nel panorama italiano, a Massa, Palazzo Ducale, Sala degli specchi, dal 6 al 13 febbraio 2013
La mostra, intitolata Tracce dall'immaginario illustrato, vedrà esposte cento opere di Gianni De Conno, Aldo Di Gennaro, Libero Gozzini, Giulio Peranzoni e Angelo Stano.  Ingresso libero.




"Tra virgolette"
Ferruccio Giromini

Da quando gli “artisti” hanno iniziato a tralasciare la figurazione per esplorare altre vie espressive, di volta in volta più “astratte”, “informali”, “concettuali” e così via, nei piani “alti” della “cultura” si è diffusa sempre più la convinzione che le “arti figurative” siano tanto più “artistiche” quanto meno sono “figurative”. Da circa un secolo a questa parte, infatti, specie nella cultura visiva europea si è assistito a una bizzarra biforcazione nevrotica nelle attività produttive che si definiscono complessivamente “artistiche”: in genere, pur senza avere le idee tanto chiare in proposito, si tende a distinguere tra arti cosiddette “alte”, fini a se stesse, che inseguono più o meno vaghe o specifiche “ricerche estetico-espressive”, e su un fronte opposto invece “arti applicate”, ossia legate ad altrettante commissioni e indi dialoganti con il mercato e la comunicazione – e solo perciò considerate “inferiori” –, in quanto presunte operazioni soggette a “compromessi” espressivi con le esigenze della clientela. Mah!

Gianni De Conno

Aldo Di Gennaro
Senza dubbio le sistematizzazioni e le definizioni fanno comodo, semplificano la vita; però a volte per voler semplificare troppo si parte per la tangente e si prendono pure delle sonore cantonate. Di fatto, fin dall'antichità le arti sono nate e vissute in qualche modo “artigianalmente” al servizio della società, o comunque di qualche committenza: ora come apparati di abbellimento per edifici di autorità o di bene comune, ora come strumenti di propaganda religiosa o politica, ora come decorazioni di beni privati individuali.

Libero Gozzini

Giulio Peranzoni
Erano “applicate”, be'?, e nessuno trovava da ridire. Qualche esempio non limitato a pittura e scultura: Fidia, Virgilio, Giotto, Leonardo, Goya, Palladio, Bach, Mozart, Canova, Gaudì e tanti altri come loro lavoravano su commissione, e non per questo erano considerati meno abili.

Solo quando gli “artisti” presero a lavorare per singoli committenti borghesi e a scapricciarsi – spesso onorevolmente, peraltro – inseguendo sempre nuove ricerche “linguistiche” personali, solo allora improvvisamente nel sentire comune si deviò dalla linea principale e a sorpresa i legittimi continuatori di quella ne furono considerati una linea invece secondaria.

Angelo Stano
Non siamo d'accordo. Per noi gli eredi della grande arte del passato sono i moderni illustratori. Quelli che sanno ancora cosa significa disegnare, dipingere, modellare forme. Che tratteggiano fumetti come una volta le storie dei Santi; che illustrano periodici e libri come una volta le vite profane e le fantasie sacre; che aiutano i cinematografari e i pubblicitari a visualizzare avventure e sogni come nei polittici e negli affreschi dei secoli andati.
Artisti, artisti/artigiani, certo, senza vergogna e anzi con orgoglio; e senza bisogno di tante virgolette a specificare.

Gianni De Conno

Gianni De Conno

Aldo Di Gennaro

Aldo Di Gennaro

Libero Gozzini

Libero Gozzini

Giulio Peranzoni

Giulio Peranzoni

Angelo Stano

Angelo Stano




mercoledì 30 gennaio 2013

Alice a pois



Avevamo appena finito di mandare in rete il post sull'Alice di Ralph Steadman che il postino ci ha recapitato un pacchetto con l'Alice di Yayoi Kusama che Orecchio Acerbo manda in libreria proprio oggi, 31 gennaio.

Non sappiamo se avrete fatto le corse per procurarvi il libro di Steadman, ma, viste le difficoltà, non lo crediamo. Per questa Alice di Yayoi Kusama non avrete invece scuse: il libro è nuovissimo, fresco di stampa, disponibile in libreria e il prezzo, vista la quantità, la qualità e l'importanza del lavoro, accessibile (30,00 euro).



Yayoi Kusama è artista di riferimento in Giappone, tra i massimi. Pop, surreale, op, visionaria; le definizioni possono essere molte ma questa signora ultraottantenne, che ha seminato di palline colorate le scene del contemporaneo, e che, nell'ultimo anno, ha visto celebrare la sua arte da Parigi a Madrid, a Londra, a New York, può essere collocata in equilibrio creativo tra genio e follia, tra ordine e disordine grafico, tra astrazione e figurazione. I suoi pattern e le sue installazioni  si situano in quel segmento dell'arte visual giapponese che ha visto protagonisti di spicco quali Shigeo Fukuda e Kazumasa Nagai, ad esempio, due dei più grandi designers visuali degli ultimi cinquant'anni.


Parlando ieri di Ralph Steadman non potevamo fare a meno di notare come l'artista inglese avesse 'adattato' la sua arte al libro; avesse cioè piegato la sua sensibilità moderna alle ragioni del racconto.

Yayoi Kusama ci sembra che proceda in senso inverso adattando il racconto di Lewis Carroll alle ragioni della sua arte. Le pagine si piegano e si contorcono tra palle e palline colorate, texture, pattern, astrazioni e figure che ci fanno venire in mente, e non solo, la pittura aborigena australiana e i deliri cromatici della psichedelia. Invano si ricercherebbe nelle pagine di questa Alice una delle tante logiche che sono alla base del mestiere di illustratore (a proposito di Alice, ne avevamo parlato qui). Le tavole non accompagnano il testo né cercano di precisarlo; né d'altra parte ci offrono una lettura, come dire, di 'secondo grado', interpretativa. Si muovono libere, galleggianti tra parole, alludono senza mai precisare, definire, chiarire. Appaiono e scompaiono, concrete e diafane come il sorriso del gatto del Cheshire.





Il mondo folle di Yayoi Kusama non tollera punti di contatto logici, si offre e si allontana ma, proprio per questa totale alterità, si presta a paradigma assoluto del mondo di Alice dove, è ovvio, "... sono tutti matti. Io sono matto, tu sei matta...". Come si capisce bene, nell'universo della 'follia', anche in quella grafica, non sono necessarie giustificazioni se non quelle che presiedono al gioco, al divertimento, alla libera espressione delle idee, anche delle più pazze, anche delle più stravaganti.



Ma Yayoi Kusama, alla fine del libro, in un'ultima pagina illuminante, dichiara di essere lei "la moderna Alice nel Paese delle Meraviglie". Anche lei, diciamo noi, persa e vagante in un suo fantastico mondo di colori, di forme, di illusioni, di vera razionalità e di vera follia, di veglia e di sogno, un mondo di detti e contraddetti, che da queste strambe contraddizioni prende forma e vita, sostanza e mistero.

Un libro da annusare, da guardare, da mangiare. Un libro che sa d'arte, un'arte che sa di libro.

Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, attraverso l'arte di Yayoi Kusama, Orecchio Acerbo, 2013euro 30,00.



martedì 29 gennaio 2013

Alice in Steadmanland

It is difficult to explain in words what the pictures are trying to say, and therefore my explanations are not precisely what I had in mind because they add shades of meaning which are not there. The reader can only interpret them in his own way, bringing his own observations to bear on the image he is looking at, so that he may agree or disagree with what I have tried to convey. When I set out to draw an idea, part of that idea is not yet formed and only takes shape and reveals itself as the drawing progresses. Consequently, the drawing acquires a life of its own and virtually takes over the direction it will follow – or so it seems.Ralph Steadman




Se, come dice Ralph Steadman commentando i suoi famosi disegni per Alice in Wonderland (usciti in Italia nel 1967 in un sontuoso in-folio edito da Milano Libri, oggi purtroppo pressoché introvabile), l’idea originale delle tavole s’era andata via via modificando e precisando mentre il lavoro prendeva corpo, è anche vero che il punto di partenza stilistico e artistico era del tutto definito e la chiave di lettura che l’illustratore offriva al lettore, chiarissima.




Si era nel 1967, abbiamo detto, e non v’è chi non veda, nelle tavole del grande artista inglese, l’eco della popop art, sopratutto, in quel modulare geometrico e rigoroso delle tavole, nelle campiture quadrettate in bianco e nero. Non solo, perché il segno della penna di Steadman si intreccia, si complica in tratteggi complessi che, se nella parte concettuale richiamano la grande lezione di Steinberg, da questa se ne allontanano perché la linea non cede mai alla semplicità assoluta ma si arrampica in virtuosismi grafici ai limiti dell’astrazione.


Poi, sotto traccia, si trova in Alice anche una vena ironica mal dissimulata, una lettura moderna del testo e dei suoi personaggi. Alice non è più, nei disegni di Steadman, quella fanciullina saccente e inteccherita, noiosetta e, in fondo in fondo, antipatica, che ci avevano mostrato i disegni famosi di John Tenniel, ma una ragazzetta pop, fan magari dei Beatles o dei Rolling Stones, che si veste in Carnaby Street, modernamente scarmigliata, dai tratti sghembi e assai poco vittoriani, inquieta e nervosa.




Anche gli altri personaggi del libro si riferiscono e si ispirano alle realtà della cronaca e agli umori di quegli anni sessanta ma oggi, quasi cinquant’anni dopo l’uscita di quell’edizione del libro, la cronaca si è decantata, si è fatta storia, e resta soltanto la sostanza artistica delle tavole. Che restano, al dunque, bellissime anche se, abituati ai disegni consolatori di Tenniel, che aveva dettato nel tempo quasi la ‘lezione autentica’ di Alice, sono state sempre considerate “troppo raffinate, per essere davvero popolari”.

Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, illustrazioni di Ralph Steadman, Milano Libri, 1967.


lunedì 28 gennaio 2013

Il cinema di Gianini e Luzzati


Mostra Gianini e Luzzati. Cartoni Animati
Torino, 23 gennaio - 12 maggio 2013

(dal comunicato stampa) La mostra, organizzata dal Museo Nazionale del Cinema, è in calendario alla Mole Antonelliana dal 23 gennaio al 12 maggio 2013. Saranno presentati, per la prima volta, la maggior parte dei materiali originali dei film tuttora esistenti: più di duecento personaggi, bozzetti, scenografie, storyboard che testimoniano il processo creativo che ha dato origine ad alcuni tra i capolavori del cinema d’animazione mondiale. Federico Fellini descriveva il cinema di Giulio Gianini e Emanuele Luzzati plaudendone la fantasia figurativa, l’estro umoristico, il senso della fiaba e le geniali soluzioni grafiche. Una sintesi puntuale dell’arte dei due animatori che hanno creato uno stile personalissimo in cui il teatro, la poesia e il disegno si legano mirabilmente in un cinema unico che valse loro anche due candidature all’Oscar, per La Gazza Ladra del 1964 e per Pulcinella del 1973.



I carabinieri perduti
Andrea Rauch

Ho avuto la fortuna di frequentare per molti anni Lele Luzzati e possiedo, fortunato me, alcuni dei disegni-frames per i suoi cartoni animati: ho un bellissimo Sarastro tratto dal Flauto magico (Isis und Osiris), e i ‘tre fratelli’ che osservano il tappeto volante, che si libra, magico, sopra uno dei fondali a pastello che Lele preparava per Giulio Gianini. I personaggi si muovono snodati su quegli sfondi, legati e mossi da invisibile filo da pesca. Una tecnica che Lele utilizzò anche spesso nei laboratori per bambini e che gli permetteva di ‘velocizzare’, per quanto possibile, quel lavoro infinito che è la preparazione di un cartone animato.

Sarastro da Il flauto magico, 1978

Antonella Abbatiello, che ha collaborato con Gianini e Luzzati per molti anni e che ha pubblicato un bellissimo ricordo nel catalogo della rassegna torinese (leggetelo qui nel blog di Topipittori) potrebbe raccontarci meglio quella tecnica e speriamo che vorrà farlo per noi.

I tre fratelli, 1979

Lele comunque usò quel modo di far collage anche per tutta la sua opera grafica, a cominciare dai manifesti. Quando preparammo l’annuncio per la grande festa di Pescia, inaugurale del Centenario di Pinocchio (settembre 1981), diretta da Tonino Conte per il Teatro della Tosse, Lele ci consegnò un Pinocchio volante: un gran bazar in cielo e in terra. La parte bassa del manifesto era occupata da un collage con molti dei personaggi della storia tra i quali i due carabinieri.


Nel particolare del manifesto si vedono le tracce chiare
della colla, al posto dei carabinieri spariti
Lele usava per i suoi collage la colla Pritt che aveva, ed ha, il difetto di cristallizzare in poco tempo e i due carabinieri si staccarono ben presto dal disegno e andarono a finire sotto un tavolo dello studio. Era un particolare piccolissimo e, nel 'caos' della composizione, nessuno, nemmeno Lele, si accorse della mancanza.

Il manifesto fu stampato senza quel particolare e quando i piccoli carabinieri si ritrovarono furono incorniciati a parte e hanno fatto per anni figura in una parete del nostro studio. Mi accorgo, adesso che ne scrivo, che, complici forse i molti traslochi, è tanto tempo che non vedo più i miei carabinieri. Forse si sono persi di nuovo. O sono finiti in fondo a qualche cassetto o tornati sotto il loro tavolo. È il destino inevitabile, forse, della creatività disinvolta del grandissimo Lele Luzzati.

domenica 27 gennaio 2013

Illustrazione d'antan. 10. Antonio Rubino



Antonio Rubino, Autoritratto

Antonio Rubino (1880-1964) è figura centrale nella storia dell’illustrazione italiana del XX secolo; collaborò al Giornalino della Domenica, fu tra i fondatori del Corriere dei Piccoli, per cui ebbe anche a disegnare la testata, arrivò a dirigere, negli anni trenta, il Topolino mondadoriano, e scrisse testi, romanzi, poesie, disegnò scenografie teatrali, illustrò libri e abbecedari per bambini. Il suo stile grafico si mantenne sempre costante e uguale a se stesso, dedicato interamente alla visitazione attenta di un liberty floreale immaginoso, coniugato sempre a misura di bambino. 

Tre illustrazioni per Il Giornalino della Domenica, 1906-1909



Ma il suo stile immutabile e riconoscibilissimo è anche un coacervo di contrasti grafici e concettuali. È geometricamente sobrio ma indugia continuamente in volute e ghirigori di gusto decorativo, è essenziale ma spesso anche ridondante, netto nel bianco nero ma indulgente e affascinato dal colore. In Rubino c’è tutto e il contrario di tutto, in una summa di elementi che non riescono mai a contraddirsi davvero ma che sono, al contrario, l’esaltazione della cifra stilistica, inimitabile, dell’artista.

Copertina di La città di Abaco, Cartoccino, 1928

Copertina e pagina interna di Belle lettere, Istituto editoriale italiano, 1922



Per il Corrierino Antonio Rubino creò le tavole di oltre trenta personaggi che accompagnarono il giornale fin dalla nascita nel 1908. Furono Quadratino, Pierino e l’odiato burattino, ma anche Polidoro Piripicchi, il Collegio la Delizia, Caro e Cora, Kikì pappagallo del Kilì, Luca Takko ecc.
A volte le storie si limitano a poche tavole e scompaiono, altre volte l’andamento iterativo delle pagine del Corrierino diventa un vero e proprio tormentone.

Pierino e l'odiato burattino, Corriere dei Piccoli, 1909

Pierino si vuol disfare dell’ “odiato burattino” e le prova tutte: cerca di bruciarlo, di affogarlo, di abbandonarlo, di distruggerlo in ogni modo e con ogni mezzo, ma il burattino torna sempre a casa, inesorabile e puntuale come una catastrofe da cui non si può scampare.

Quadratino, Corriere dei Piccoli, 1910


E Quadratino, il bambino costruito con riga e squadra che ha per parenti la Nonna Matematica, la mamma Algebra e la Zia Trigonometria, vive disavventure rigorosamente geometriche.

Quadratino, Corriere dei Piccoli, 1910

Ha la zia dimenticata
La dispensa spalancata
Quadratino di soppiatto
V’entra lesto come un gatto.

Ma mentr’ei si dà vorace
A mangiare in santa pace
Tra se stessa la zia pensa
Non ho chiuso la dispensa.

A richiuderla s’affretta
Con due giri di chiavetta
Resta il bimbo prigioniero
In quel luogo nero nero.

Attraverso un finestrino
Cerca scampo Quadratino
E adagin pel foro angusto
Fa passar la testa e il busto.

Ma lo sforzo gli è fatale
La finestra esagonale
Gli ha fornito i connotati
D’un poligono a sei lati.

Fatto esagono ei s’adonta
Ma la mamma giunge pronta
E pian piano con gran cura
Gli ridà la quadratura.


Rosaspina, Corriere dei Piccoli, 1922
Gli ottonari del Corriere dei Piccoli, cui non pende mai un capello (se ne ricordassero, di quando in quando, molti dei poeti contemporanei per bambini e ragazzi cui, di capelli, ne pendono fin troppi!), sono spesso stati giudicati zuccherosi e contrapposti ad una pretesa ‘ruvidezza’, ingenuamente naif, dei primi fumetti americani.  Giudizio in gran parte esatto, certamente impietoso, che con Antonio Rubino non ha però luogo a procedere perché di zucchero, nelle vignette del nostro, ce n’è davvero poco. Si può invece rilevare l’esistenza di un mondo grafico che riduce gli eventi tutti a sua misura, amplificando, riducendo, torcendo e fuorviando. Interpretando e dando misure bambine agli accadimenti, che prendono corpo e sostanza a volta epocale, proprio perché inquadrati da quel particolare punto di vista.

Abbiamo citato l’epopea di Pierino che non riesce a liberarsi del suo “odiato burattino” (forse bastava metterlo in un cassetto e non pensarci più, no?), e a misura di quel giocattolo costruisce tutte le sue ragioni. Ma l’esempio che forse meglio si presta a capire quanto  Rubino si sia avvicinato alle complessità e ai disagi del mondo dell’infanzia resta il suo grande romanzo, Viperetta.

Viperetta, Vitagliano, 1919

Viperetta nasce, cresce e vive nel contrasto: è personaggio dialettico che al mondo adulto, prevedibile e noioso, contrappone sempre la sua personalità ribelle, il suo tentativo di creare un'esistenza a sua immagine, non fosse che, per questo intento, si debba raggiungere la luna. Ma anche lassù Viperetta non cesserà di essere ‘sgradevole’ e ‘irritante’, contrapposta alle famiglie Ghingheri e Gangheri, alla fantesca che è sorda pur di non sentire i suoi strilli, ai principini lunatici e arroganti, alle bamboline paffute, irrilevanti e vuote.
Viperetta si mostra sgradita e difficile già dal suo nome, ma questo è paradigma, in tutto e per tutto, del percorso di formazione della sua personalità bambina, del suo voler crescere libera dai lacci di una pedagogia del consenso ipocrita e, questa sì, parecchio zuccherosa.

Viperetta, Vitagliano, 1919, Einaudi, 1975
Viperetta, Vitagliano, 1919, Einaudi, 1975

Poi, purtroppo, la fine del racconto paga il consueto tributo alla morale dell'epoca; non si può cantare fuori del coro e Viperetta finirà 'svelenita', e farà la 'brutta' fine di Pinocchio, tristemente ridotto a 'bambino perbene'. Viperetta cambierà, in omaggio al suo nuovo look, addirittura il nome:

" - Come intende chiamarsi?
- Violetta! - disse pronta Viperetta. - Avevo il nome di una bestia, ora voglio avere il nome di un fiore.
Così fu che Viperetta fu disinviperita."

Ahimè!

Viperetta, Vitagliano, 1919, Einaudi, 1975

Per saperne di più: Antonio Faeti, Guardare le figure, Einaudi, 1972, Donzelli, 2012;
Paola Pallottino (a cura di), La matita di zucchero, Antonio Rubino, Cappelli, 1978.