sabato 31 marzo 2012

Paper carpets


I tappeti di carta di Francesca Zoboli tengono a battesimo, oggi pomeriggio, domenica 1 aprile, la nuova biblioteca di Meda (Medateca). Ne abbiamo letto in un lungo e documentato post sul blog di Topipittori e a quello rimandiamo per informazioni più complete.
Francesca, che ormai da molto tempo ci ha promesso di pensare a un libro per noi, è interior decorator di grande spessore e qualità, attentissima e sensibile, come dice lei, all'uso dei materiali che impiega per il suo lavoro:

 "I materiali impiegati sono carta da pacco, frammenti cartacei vari, fogli di polietilene, inchiostri e ossidi, assemblati in collages di grande formato. Il risultato rimanda a un universo artigianale che mi interessa e mi affascina da sempre: tessuti, tappezzerie, antiche tecniche di stampa, motivi etnici e tradizionali o, ancora, texture naturali come legni, foglie, polveri, terre."


Nel suo unico (per ora) libro illustrato, C'era un ramo, composto a quattro mani con la sorella Giovanna (Topipittori, 2007) Francesca non mette la sua arte al servizio della storia ma, viceversa adatta la storia al suo modello espressivo, componendo tavole che sono arabeschi, textures, giochi e frammenti di carta che si rincorrono su superfici e spazi, fisici e concettuali, più ampi. I disegni del libro sono gli stessi 'tappeti di carta' che oggi danno il titolo alla sua mostra: hanno la stessa logica, la stessa composizione, la stessa poetica.

Francesca Zoboli, C'era un ramo, Topipittori, 2007

Francesca Zoboli, Paper Carpets, Medateca, Via Gagarin 13, Meda (Monza), 1-28 aprile 2012. Inaugurazione domenica 1 aprile, dalle ore 15.

giovedì 29 marzo 2012

Long John Silver a Babele

Roberta Ranieri e Roberto Innocenti

Finita, o perlomeno sul punto di esaurirsi, la grande stamburata di Bologna, collegata alla Children's Book Fair, anche le altre città rialzano la testa e ricominciano con le normali attività di presentazione e/o promozione delle emergenze più significative del mondo dell'illustrazione. Così ieri abbiamo segnalato una mostra di Arianna Papini a Scandicci e oggi dobbiamo ricordare la presentazione de l'Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson, illustrata da Roberto Innocenti, che avrà luogo alla Libreria Babele di Firenze, in via delle Belle Donne, vicinissima a Santa Maria Novella.
Scandicci e Firenze sono vicine e chi vorrà sottorsi a questo tour de force è possibile che in serata riesca a vedere entrambe le esposizioni.

La presentazione e la mostra dei disegni di Roberto Innocenti per l'Isola del Tesoro (naturalmente alla presenza del maestro che firmerà il libro e le stampe numerate) è prevista per sabato 31 marzo dalle ore 18, e la mostra dei disegni è programmata fino al 21 aprile.
Laura Accordi non farà mancare agli appassionati di Jim Hawkins e Long John Silver un piatto di ribollita e un bicchiere di vino rosso.

La mappa dell'Isola disegnata da Roberto Innocenti

mercoledì 28 marzo 2012

Il ritorno di Marco Cavallo

Marco Cavallo all'interno dell'Ospedale psichiatrico di Trieste, 1973

Chi fu Marco Cavallo, in quel lontano 1973? Fu una macchina teatrale, costruita e mossa da alcuni visionari che predicavano l’azione teatrale partecipata, che non credevano che lo spettacolo potesse farsi solo in palcoscenico né che avesse bisogno di un solo autore, ma fu anche, e soprattutto, un sogno: un muro che cade, una porta che si spalanca, un’aria nuova che spazza via incrostazioni secolari di prevaricazione, di incomprensione, di segregazione. Fu un simbolo Marco Cavallo e se oggi la sua vicenda è consegnata alla storia del teatro e alla storia dell’istituzione psichiatrica, ancor più è fissata, tout cort, alla storia sociale della seconda metà del ventesimo secolo.

Franco Basaglia
Il grande cavallo azzurro, Marco Cavallo, ebbe un 'padre teatrale', Giuliano Scabia, motore della grande performance all’interno dell’ospedale psichiatrico di Trieste, ed ebbe soprattutto un 'padre istituzionale’, Franco Basaglia, che più di tutti lavorò perché i manicomi chiudessero i loro reparti e i degenti fossero recuperati alla vita associata.  

Franco Basaglia, ostinato uomo-contro, in opposizione a quella che, allora, si definiva 'istituzione totale'.

Il grande cavallo blu, Orecchio Acerbo, 2012
Diciamo francamente che la lettura del Grande Cavallo Blu, che Orecchio Acerbo ha appena pubblicato, con il testo di Irène Cohen-Janka e i disegni di Maurizio Quarello, ci ha emozionato perché ha rimandato il nostro orologio indietro di quarant’anni, a quel 1973 quando i manicomi esistevano eccome, e le porte erano serrate a guardia e contenimento di quel mondo separato. Ci sarebbero voluti ancora degli anni prima che la visione di Basaglia divenisse legge dello stato e i manicomi fossero 'quasi' definitivamente ‘chiusi’, ma in quel 1973 le basi erano state gettate. I ‘matti’ cominciavano a passeggiare per i vialetti alberati dell’ospedale psichiatrico di Trieste, pochi ‘coraggiosi’ visitatori si avventuravano all’interno di porte timidamente aperte, si fermavano allo spaccio per un caffè o una bibita, prima timorosi poi rassicurati dall’aria di tranquillità che vi si respirava. Chi ebbe a vivere quell’esperienza, non può non ricordarla come uno dei momenti fondanti della propria presa di coscienza civile.


Disegno di Maurizio Quarello

Peppe Dell’Acqua, uno dei medici che allora lavorarono con Basaglia riandò, in un libro pubblicato nel 1980, ai giorni del cavallo azzurro:
Marco Cavallo è una macchina teatrale. I matti non lo hanno costruito materialmente, non lo hanno mai toccato. Mentre cresceva la sua struttura in legno, mentre prendeva forma la cartapesta, mentre si plasmava la testa, i matti hanno costruito, senza mai toccare il cavallo, ripeto, qualcosa di più duraturo, di più indefinito. Il colore azzurro. (…)

Ospedale psichiatrico di Trieste, 1973
La libertà: i muri del manicomio frantumati, la teoria infinita di matti che, dietro al cavallo, esce dalla breccia e si perde per le vie della città. Boris accompagna il corteo suonando la fisarmonica. I nemici, la lotta ai nemici, a chi vuole chiudere la breccia, a chi vuole ricacciare nel recinto, nell'ordine fermo e servo, chi finalmente comincia a camminare, a scoprire che ha le gambe. Marco Cavallo in testa, in prima fila. Era una limpida domenica di marzo, pulita dalla bora quando Marco Cavallo tentò di uscire dal laboratorio. Era troppo grande, appesantito dal carico di bisogni, desideri che si portava dentro. Le porte erano strette, provò la porta del giardino, poi la veranda, pensando di saltare la ringhiera. Cercò di piegarsi, di mettersi di taglio, si abbassò, pancia a terra, si ferì. Niente. Restava chiuso dentro. Tutti erano lì a guardarlo: era quello il suo momento. Cominciò a correre nervoso per il lungo corridoio del vecchio reparto «P» trasformato in laboratorio, avanti e indietro, proprio come avevano fatto per anni i malati che lo avevano abitato. Giuliano cercò di calmarlo, dicendo che bisognava aspettare, che forse non era quello il momento, che bisognava avere pazienza. I malati cominciarono a pensare di avere solo sognato, secoli di grigio tornarono nelle loro teste, urla disumane assordarono le loro orecchie. Marco Cavallo, fremendo, testa bassa, cominciò una corsa furibonda, come impazzito, verso la porta principale e, senza più esitazione, oramai a gran carriera, aggredì quel pezzo di azzurro e di verde oltre la porta.

Saltarono gli infissi, i vetri. Caddero calcinacci e mattoni. Marco Cavallo arrestò la sua corsa nel prato, tra gli alberi, ferito e ansimante, confuso all'azzurro del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia guarirono in un baleno le sue ferite. Il muro, il primo muro era saltato. La prima grande uscita in città, paradossalmente trionfale. Poi, così come era destino, in giro per il mondo. La carica simbolica, certo, l'hanno costruita i matti.

Disegno di Maurizio Quarello

Cohen e Quarello, quarant’anni dopo, hanno ricostruito la storia con l’attenzione dello storico e le parole del poeta. È il racconto di un cavallo vero che non ce la fa più a portare il peso della sua età e della sua fatica ed è la storia del suo amico Paolo, il bambino che vive all’interno dell’ospedale dove si curano ‘quelli che sono malati nell’anima’. Quei malati sono strani e teneri, ma possono anche essere cattivi e imprevedibili.

Disegno di Maurizio Quarello

Non hanno età. Ci sono giovani che sembrano vecchi e vecchi che sembrano bambini. I loro occhi possono lanciare fiamme o rimanere completamente spenti. Sono spesso dolcissimi e a volte cattivissimi. E talvolta così brutti che fa paura guardarli. Non sanno come ci si comporta a tavola, né per strada. Né in nessun altro luogo. Hanno strane idee e paure terribili. Come Sandro che resta per ore fisso, immobile. Crede di essere di vetro, quindi si muove molto poco e molto adagio, perché ha paura di rompersi.”

Disegno di Maurizio Quarello

Il cavallo Marco rimane all’interno dell’ospedale anche se non è più capace di lavorare e  un grande cavallo di cartapesta viene costruito in suo omaggio e memoria. Per farlo uscire in città si dovranno abbattere i muri, e questo è il succo della storia. Con il muro che crolla per far uscire il cavallo la metafora è completa e la storia di una macchina teatrale e di una rivoluzione di civiltà diventa narrazione simbolica e fatto poetico.

Irène Cohen-Janka, Maurizio A. C. Quarello, Il Grande Cavallo Blu, Orecchio Acerbo, euro 12,50.

Disegno di Maurizio Quarello

martedì 27 marzo 2012

Chi vorresti essere?


Rebecca vorrebbe essere un pesce “… per ascoltare il silenzio e nuotare libera nel mare.” Ma anche il pesce vorrebbe essere qualcos’altro. Vorrebbe essere un barbagianni e il barbagianni vorrebbe essere un coccodrillo “… per vederci bene di giorno e stare disteso sotto il sole.
I desideri sono come un cane che si morde la coda e l’ultimo degli animali che entra nel gioco, il gatto, vorrebbe essere Rebecca per “… essere abbracciato dalla sua mamma, la sera prima di dormire.
Il cerchio si è chiuso e la parola è tornata a Rebecca, che vorrebbe essere solo Rebecca, per giocare a essere “… un pesce, un barbagianni, un coccodrillo, un tucano, un camaleonte, un gatto.”


La morale della favola è semplicissima e al tempo complessa. Arianna Papini ci dice che è bello, lecito e giusto sognare, uscire da sé per poter avere tutte le doti meravigliose che a volte altri hanno, ma che è ancor più bello rientrare dentro di sé e capire che questo è solo un gioco della fantasia e che la vera felicità, la gioia del “vorrei essere…” è quella che si prova quando si accetta il proprio stato e su quello si fonda la propria felicità reale. Lasciandosi sempre liberi, s’intende, di fantasticare, e di diventare, per un attimo, altro da sé.



Arianna Papini, che presenterà il suo libro Chi vorresti essere?, insieme alla mostra dei disegni, alla Biblioteca comunale di Scandicci, dal 2 al 17 aprile (inaugurazione sabato 31 marzo alle ore 16,30 con Jill Benik, antropologa, Lola Barcelò Morte, editore di Kalandraka e Maria Letizia Meacci, che introduce la serata) ha da tempo raggiunto una maturità di espressione grafica e di scrittura che la pone, a diritto, tra i protagonisti più importanti della letteratura italiana per ragazzi. Questo Chi vorresti essere? è già stato finalista del Premio Compostela ed è stato inserito, proprio la scorsa settimana, nella selezione dei finalisti per il Premio Andersen 2012.

Con questi disegni Arianna Papini sembra essersi lasciata alle spalle quelle volumetrie corpose e dense, quei fondi neri incombenti, che per molti anni hanno caratterizzato la sua produzione grafica. I nuovi colori di Arianna sono leggeri, modulati su tutta la gamma dei pastello, mai aggressivi né violenti. Anche le figure si sono addolcite e segnalano una nuova fase di ispirazione e di lavoro, meno pessimista e più solare.


Arianna Papini, Chi vorresti essere?, Kalandraka, euro 15,00

lunedì 26 marzo 2012

Leggere l'albo illustrato

Presentato in questi giorni a Bologna, nel quadro della Children's Book Fair, Ad occhi aperti, leggere l'albo illustrato, curato da Hamelin e edito da Donzelli (euro 25,00, in libreria nei primi giorni di aprile) si presenta come una prima analisi storica per "... fornire uno strumento critico, capace di guidare la lettura dell'albo da parte di genitori, insegnanti, bibliotecari..."

Il volume contiene saggi di Ilaria Tondardini, Martino Negri, Emilio Varrà, Giulia Mirandola, Loredana Farina, Giordana Piccinini, Nicoletta Gramantieri, Roberta Colombo. Riportiamo di seguito ampi stralci dell'intervento introduttivo di Andrea Rauch.


Tracce per una storia dell'albo
Andrea Rauch

Prima di tutto si dovrebbe rispondere ad una domanda generica e generalissima: cos’è un albo? E poi, qualora fossimo riusciti a darne definizione approssimativamente soddisfacente, si dovrebbe passare a delle domande, diciamo così, di secondo livello: ha un formato preciso? un numero di pagine prefissato? un contenuto certo?

Già con questi primi righi abbiamo preso prigioniero il nostro argomentare in una specie di vicolo cieco. Cos’è un albo? Tutti possiamo rispondere facilmente quando ne abbiamo uno sotto gli occhi, ma questa stessa esperienza ci farà anche dire che il formato tanto preciso non sarà mai, le pagine nemmeno e quanto al contenuto, poi, si dovrà introdurre un elemento altro, fondamentale, che non pertiene la forma ma la qualità.
Dobbiamo naturalmente porci un’altra domanda: quando nasce l’albo (che intenderemo, almeno questo ci va concesso, sempre illustrato)? nell’Ottocento? ai primi del Novecento? negli anni Trenta? Nei Cinquanta?
In ognuno di questi periodi sarà possibile trovare esempi, anche significativi, ma la genericità della domanda ci impone di scegliere: e la nostra scelta, come si vedrà, si àncora al momento in cui l’eccezione diventa regola e l‘eccentricità costume. Quando cioè si potrà definire una tendenza, una norma, riconoscere degli autori specifici e dedicati.

Ma ritorniamo alla prima domanda: cos’è un albo? Leo Lionni, che dovremo citare a lungo, definisce una sua precisa metodologia di intervento e quindi ci offre, con la sua esperienza e riflessione, una prima chiave di lettura.
La sua provenienza dalla grafica attiva ('molto' attiva diremmo essendo uno dei padri nobili della grafica americana), portava Lionni a riflettere sul progetto della pagina e a rispettare, in ogni suo libro, un proprio ‘codice’ di sobrietà e congruità di proposta. I suoi libri (albi) erano sempre composti da quattordici aperture di pagina, carattere graziato (Century Schoolbook, perlopiù), giustezze mai eccessivamente spinte. Ma anche parole semplici, frasi concise, concetti chiaramente espressi e facilmente comprensibili. E, vorremmo aggiungere, storie di forte sostanza ‘etica’. Leo Lionni sostanzia la natura del suo progetto ideale con una fortissima identità grafica. Con lui possiamo quindi dire, in soldoni, che l’albo non ha molte pagine (32 o 36, raramente si arriva a 48), un formato variabile (21x28, 20x20, 23x33 cm. eccetera) ma adatto a suscitare interesse e curiosità, potrà essere cartonato (per non essere distrutto troppo in fretta dai turbolenti lettori), sarà scritto e illustrato per i bambini ma diretto anche agli adulti che potranno, come dicono gli americani to talk about.


(…) Piccolo Blu e Piccolo Giallo è il primo libro di Leo Lionni, 1959, ed è un titolo che entra subito a far parte della storia che andiamo abbozzando. Il libro di Leo arriva infatti presto in Italia, nel 1967, pubblicato tra i primi titoli di una casa editrice piccola ed emergente, la Emme Edizioni, animata e diretta da una delle figure più importanti che l’editoria per ragazzi abbia avuto, Rosellina Marconi Archinto.
Quando la giovane Rosellina pubblica i suoi primi libri è appena ritornata da un soggiorno negli Stati Uniti; si è accorta subito del divario abissale che c’è tra quella cultura e questa, ancora dominata dalle proposte Disney pubblicate da Mondadori e da una congerie di offerte sciroppose e melense che sembrano provenire da un’era geologica dove ancora pascolavano i dinosauri e i mulini erano bianchi. L’editoria per bambini e ragazzi corrente era, a titolo di esempio, in quegli anni Sessanta e nel nostro paese, ancora occupata manu militari dagli albi di Mariapia (“che ha provveduto a rovinare molte generazioni di bambini italiani”, chiosa Walter Fochesato) con i suoi angioletti rosa e celesti, con le sue nuvolette, le pecorelle dalle lunghe ciglia, i Gesù bambino dolciastramente affaccendati.

Natale da un giorno è passato..
Gesù, dopo avere viaggiato
per monti, per valli, per mari,
fermandosi nei casolari,
di tante fatiche riposa
tra nembi di nuvole rosa.
E in un'altalena di fiori
ascolta tranquillo i bei cori:
vocine di angeli biondi,
dai dolci visetti rotondi.


L’accoglienza ai libri della Emme Edizioni, da quel 1966, fu ondivaga: da una parte ci fu curiosità e attenzione (anche se i numeri delle vendite non furono mai troppo alti), ma dall’altra sospetto e ritrosia. ‘Libri per i figli dell’architetto’, furono subito spregiativamente e ironicamente chiamati, per sottolineare una sorta di elitarismo delle proposte e una pretesa mancanza, quindi, di popolare cordialità. Ed è certo vero che quei libri (di Bruno Munari, di Lele Luzzati, di Maurice Sendak, di Iela e Enzo Mari, per citare solo alcuni tra i primi autori pubblicati) sembravano difficili, quasi ostici per i palati melassati dalle dolcezze di Mariapia, ma sono stati anche la punta d’ariete che ha poi permesso di svecchiare il settore e di riallineare l’Italia al resto del mondo, più consapevolmente aggiornato e progettualmente avvertito.

Del clima culturale che si ebbe allora intorno alle proposte della Emme Edizioni, e a quelle della Milano Libri di Giovanni Gandini, che nel 1965 aveva dato alle stampe il primo numero di Linus, abbiamo trovato traccia nel blog Spari d’inchiostro, dove Paolo Interdonato ricorda:

“C’è un libro di Sempé che ho appena trovato su una bancarella in edizione italiana. Si chiama Matteo Sassolino ed è stato pubblicato dalla Milano Libri di Giovanni Gandini nel 1972. Gandini ha pubblicato un sacco di libri illustrati fondamentali e per molto tempo ho sospettato fosse il maggior responsabile dell’immaturità del picture book in Italia. Il mio ragionamento (un po’ balengo) era il seguente.
Milano Libri importava libri bellissimi e fondamentali per farne commercio con la borghesia meneghina nella libreria omonima. Gandini faceva libri importantissimi a sua volta e alcuni clienti della libreria, venuti in contatto con dei libri tanto belli, si trasformavano in editori. Un esempio su tutti è Rosellina Archinto che, con la sua Emme Edizioni, ha pubblicato, tanto per spenderci subito i nomi pesanti, Maurice Sendak, Leo Lionni e Iela Mari.
Questi libri venivano venduti a lettori adulti. Mica ai bambini cui dovevano essere logicamente destinati. Tanto è vero che Linus, durante i suoi primi anni di vita, ospitava cose magistrali di autori imprevisti (Chas Addams, Edward Gorey, Sempé…). Il lettore colto di Linus (che era uno spendaccione, visto che voleva permettersi quella costosissima rivista) andava in libreria – magari proprio alla Milano Libri perché era spesso milanese – e comprava Matteo Sassolino di Sempé, l’Alice illustrata da Steadman, Nel paese dei mostri selvaggi di Sendak, la Fata speciale di Topor, e i libri di Copi, Schulz, Kelly, Al Capp, …
Il libro con le immagini, così come il fumetto, era un prodotto per adulti. Che i bambini continuassero a grufolare nella bruttezza dei prodotti dal segno semplificato e dalle parole svuotate di musica! Già. Perché i libri ai bambini glieli compravano le zie che, come è noto, sono roride di pessimo gusto. Non appena identificano il più vacuo dei segni e la più sgargiante cromomachia, si gettano sopra quell’obbrobrio, rapaci, per infilarlo sotto lo sguardo inerte dei nipotini. Alimenta un bambino a pattume per anni e, da adulto, avrà il palato assuefatto a quel sapore.
Per guarire da questa deriva di pensiero (che oggi mi suscita un po’ di imbarazzo), mi è bastato pensare al fatto che i libri ai bambini li hanno sempre comprati le zie. Ovunque.
Come si spiega allora la presenza di posti nel mondo dove i libri di Crockett Johnson, Maurice Sendak, Shel Silverstein, Sempé, William Steig, Bruno Munari, Leo Lionni… sono stati dei clamorosi successi editoriali? Come?”


Tra le prime proposte della Emme in quei lontani anni Sessanta ce n’è un’altra di cui merita parlare perché, insieme al Piccolo Blu… di Lionni, è considerata spartiacque tra un modo ancora tradizionalmente melenso di intendere l’albo illustrato per bambini e il mondo più avvertito e pedagogicamente avanzato della seconda metà del ventesimo secolo: intendiamo riferirci a Where the Wild Things are (Il paese dei mostri selvaggi, uscito in Italia nel 1969), di Maurice Sendak, dove l’avventura onirica del bambino Max, che, da camera sua, salpa verso il paese dei mostri selvaggi da cui ritorna, proprio per l’ora di cena, è metafora scoperta del mondo che il bambino, durante il suo processo di crescita e formazione, può plasmare e immaginare a propria misura.
Sendak doppierà pochi anni dopo il successo mondiale di Where the Wild Things are con In the Night Kitchen, che preciserà meglio e compiutamente la sua poetica (anche se il libro avrà, soprattutto negli Stati Uniti, vita difficile per il suo presentare il protagonista nudo, esponendolo quindi agli strali della critica puritana.).

(…) L’influenza di Lionni e Sendak è stata ed è fortissima e indubitabile. Quei libri per i ‘figli dell’architetto’, venduti allora a fatica, godono oggi anche in Italia, non solo del loro consolidato prestigio, ma anche di un più che discreto successo commerciale. Babalibri, l’editrice che ha raccolto l’eredità di Rosellina Archinto, e che è significativamente diretta dalla figlia di lei, Francesca, ripubblica continuamente quei titoli (insieme a quelli di Iela Mari), che sono considerati ormai a ragione, anche in Italia, degli evergreen.


La storia di quegli anni è intrisa delle scelte di Rosellina Archinto ma anche intersecata con le storie artistiche e progettuali degli autori che la Emme di allora venne via via pubblicando. Quelle di Bruno Munari e Lele Luzzati, ad esempio, di Iela ed Enzo Mari, di Tomi Ungerer, Etienne Delessert. Alcuni di loro erano già autori di lungo corso anche se non sempre, o specificatamente, dedicati alla letteratura per immagini.
Dell’opera complessiva di Munari e Luzzati non c’è certo bisogno di parlare in questa sede, tanto il lavoro di designer del primo, e di scenografo del secondo, è apprezzato e conosciuto.


(…) Il discorso sta adesso prendendo una piega diversa da quella che avevamo ipotizzato al principio del racconto. Dalle domande iniziali sul prodotto albo, sta rapidamente scivolando nell’esegesi dei risultati editoriali di alcuni autori eccellenti: da aggiungere, allora, la constatazione che gli operatori più vivaci del settore non sono soltanto scrittori o illustratori ma progettisti a tutto tondo della loro proposta. Illustrautori, come oggi si definirebbero, che vogliono raccontare, ma anche indirizzare e commentare, con la parola, il disegno o la grafica non importa.
Così, in quei tardi anni Sessanta e primi Settanta, si assiste ad una vera e propria esplosione internazionale di talenti, che riusciranno a dare il colpo di timone definitivo al settore e che prepareranno il terreno a quella ormai matura fioritura internazionale che, dagli anni ottanta, ci porterà fino alla fine del secolo.
L’elenco sarebbe probabilmente interminabile e già adesso ci accorgiamo di aver colpevolmente trascurato molti autori che avrebbero bisogno di ben più di una citazione frettolosa. Abbiamo accennato a Tomi Ungerer, Etienne Delessert, Iela e Enzo Mari, ma possiamo certo aggiungere Heinz Edelmann, Eric Carle, Seymour Chwast, André Francois, Beni Montresor, Michael Foreman, Helme Heine, Philippe Corentin, Alfred Lobel, Jorg Muller. E chissà quanti altri.


Spostato ormai verso i nostri giorni il prodotto albo precisa e dilata il suo raggio d’azione. Non più soltanto oggetto “di intrattenimento e di svago”, si sarebbe detto nell’Ottocento, diventa decisamente strumento anche pedagogico, di elaborazione e presa di coscienza sociale, a volte politica. Gli autori non ci raccontano più solo storie o fiabe (lo avevano già fatto i pionieri che abbiamo commentato, ma adesso il trend si diffonde e generalizza), non esistono terreni o argomenti ‘vietati ai minori’ o comunque sconsigliabili. I nostri illustrautori ci descrivono dunque con puntualità e coraggio il mondo intero del bambino, le sue ansie, le sue ossessioni, le sue gioie, i dolori; ma anche i problemi interi della società che, visto che della società il bambino fa ben parte, lo riguardano eccome. Ecco dunque albi sulla diversità, sull’handicap, sulla solitudine, sull’emarginazione, sulla malattia, sulla morte, sul razzismo, sull’olocausto, sulla guerra.
Naturalmente questa maturazione non è solo dovuta alla presenza di artisti più attenti o consapevoli. La società ha cambiato, negli anni, il suo concetto dell’essere ‘infanzia’ e il bambino non è più un “piccolo deficiente che si allena per diventare adulto, costretto alla panchina o al riscaldamento prima di entrare in partita” (l’immagine è di Walter Fochesato), ma un soggetto con una sua precisa fisionomia e identità, che deve essere riconosciuta e coltivata.


Gli albi quindi, a cavallo con il terzo millennio, ci raccontano storie che, allevati con i brodini zuccherosi di Mariapia, mai avremmo immaginato. Sono storie della luce e del buio, del giorno e della notte, mai del tutto bianche o del tutto nere, sempre borderline tra le esperienze; e anche gli autori sembrano essere più attenti e inquieti, a volte quasi febbricitanti. Il mondo non offre a nessuno sicurezze facilmente afferrabili e la grafica registra queste difficoltà. Autori quali Tony Ross, David Mckee, Roberto Innocenti, Armin Greder, Chiara Carrer, Lorenzo Mattotti, Fabian Negrin, Jean Claverie, Gregoire Solotareff, Art Spiegelman, Brad Holland, Nikolaus Heidelbach ci raccontano anche queste altre storie. Si aprono nuovi fronti nella piccola editoria indipendente e si aggiungono, in Italia, a voci ormai storiche come Emme ed EL (da anni confluite in un unico gruppo editoriale), le voci di Orecchio Acerbo, Topipittori, Artebambini, Kalandraka, Corraini, Il Castoro, Babalibri, Logos. Non solo: si recuperano esperienze e autori internazionali che in Italia non avevano avuto mai gran corso legale. Da Paul Rand e Bob Gill editi da Corraini, alla Kveta Pacovska di Salani, agli Shel Silverstein e Remy Charlip di Orecchio Acerbo e, ancora, Salani.


Il retroterra dell’ albo, che avevamo visto all’inizio cercare una propria definizione di formato e logica, per riuscire a raccontarne una parvenza di storia, si è adesso dilatato fino a diventare quasi, di nuovo, indefinibile. Ma adesso i punti di nuova partenza ci sembrano più forti e la storia attuale, che andremo a raccontare da questo momento in poi, sarà sicuramente più ricca e affascinante.

domenica 25 marzo 2012

Alla Fiera e ritorno


"Albi illustrati raffinatissimi che fanno stupire e guardano al futuro, prodotti di casa nostra che segnano la rivincita dell'Italia sugli stranieri. (…) Viaggio tra le novità della Fiera per ragazzi con un padre nobile come Antonio Faeti, il professore di letteratura per l'infanzia che qui è di casa da 49 anni (…): «Si conferma la tendenza di libri che parlano sia ai ragazzi che agli adulti, c'è una rivincita del realismo, delle storie familiari, ed è il trionfo della grande grafica», sintetizza Faeti pensando al vincitore del Bologna Ragazzi Award, di cui è presidente, l'illustratore francese François Place con L'atlas des geographies d'orbae (Casterman), ma anche agli italiani «più forti nonostante la crisi». Tra gli editori Faeti menziona Prìncipi e Princípi, consigliando tra le novità il nuovo classico illustrato da Roberto Innocenti, L’Isola del Tesoro, ma anche Il diavolo nella bottiglia di Stevenson illustrato da Guido Scarabottolo."
(Ilaria Venturi, La Repubblica, 21 marzo 2012)


Ci scuserete se iniziamo a parlare della Fiera di Bologna con una 'medaglietta' che ci appuntiamo molto volentieri in petto. Il giudizio di Antonio Faeti ci lusinga e ci inorgoglisce anche se fa sempre capolino il sospetto che si tratti di un commento troppo positivo, dovuto sopratutto all'attenzione e all'affetto che Antonio ha sempre avuto per il nostro lavoro, prima di grafici e illustratori e adesso di editori.
La 'medaglietta' comunque resta e noi ce ne vantiamo apertamente, accoppiata all'altra, appuntata sul petto di Marco Paci e Carolina D'Angelo che, proprio mentre stavano godendosi la selezione nei White Ravens 2012 della Jugendbibliothek di Monaco di Baviera, si sono visti visti nominare tra i finalisti 2012 ai Premi Andersen. Inutile dire che, anche in questo caso, abbiamo alzato la cresta.

Barbara Schiaffino e Roberto Denti alla presentazione dei Premi Andersen 2012

Presentazione dei Premi Andersen 2012

Carolina D'Angelo e Marco Paci alla selezione White Ravens 2012

Per il resto potremmo anche chiuderla qui, rimandando alle considerazioni che facemmo lo scorso anno e che ci sembrano ancora valide. Da segnalare, dal nostro osservatorio, troppo piccolo però per farne esempio generale, l'estendersi dell'attenzione e dell'interesse per i grandi classici della letteratura, il consolidamento, il 'tener duro' cioè, degli operatori (librai, bibliotecari, studenti di grafica, illustratori, scrittori...) che non si arrendono alle ragioni impietose della crisi. Libri e proposte, infatti, non sembrano essercene meno ed è probabile che tra queste ci siano quelle che riusciranno a fare tendenza e a far deviare il mercato prossimo venturo.


In uno dei dibattiti conclusivi del Caffè degli autori si è parlato sopratutto del 'catalogo' e come questo possa essere davvero una risorsa per la piccola e piccolissima editoria 'di qualità e di nicchia'. È un dato, secondo noi, confermato anche dalle librerie indipendenti che offrono, sui loro scaffali, sempre più titoli consolidati, long sellers, evergreen. Non c'è più soltanto, da parte di questa porzione di mercato, la ricerca di 'novità' (una caccia l'altra e via andare) ma anche la tentazione di una nuova sobrietà di proposta e scelta che porti alla rivalutazione e alla ricollocazione dell'esistente.
È la storia di tanta grande piccola editoria, che vede di anno in anno riconfermare i propri titoli principali, allargando e integrando il catalogo, appunto, a palla di neve con le nuove proposte.


Ultima notazione di bottega, l'interesse per i nostri titoli da parte dell'editoria estera che comincia a chiederci informazioni e stato dei diritti, interessata, anch'essa, alle novità da proporre in coedizione ma anche ai pezzi più spendibili del catalogo. È ancora presto per valutare se questo interesse sia stato solo il normale formicolìo di operatori in Fiera o se invece possa preludere ad una nuova fase della nostra attività. Concluderemmo con la più banale delle frasi fatte: se son rose fioriranno.


La scomparsa di Antonio Tabucchi

Definire Antonio Tabucchi, che si è spento oggi a Lisbona dopo una breve malattia, un 'nostro' autore, sarebbe, più che presuntuoso e irriguardoso, stupido, anche se Tabucchi aveva partecipato, con un acuto saggio, alla monografia su Gianni Fanello Reincarnazioni e, in anni più lontani, aveva raccontato per il volume Il sonno della ragione genera mostri, la grafica politica di Andrea Rauch.

Antonio Tabucchi in un disegno di Tullio Pericoli

Antonio Tabucchi è stato un grande autore di respiro e piglio europeo, ferocemente attaccato ad un'idea pervasiva e irrinunciabile di democrazia. I suoi libri rimangono a raccontarci la storia intellettuale di un uomo perbene, di uno scrittore grande, di una persona magnifica.

sabato 24 marzo 2012

Vino in treno

Di Raffaele e Vera Salton abbiamo parlato più volte, prima per raccontare il loro Treno di Bogotà di Vittorio Veneto, poi per commentare la sciagurata alluvione che, alla fine dell'agosto scorso, mise la libreria in ginocchio.


Alla Bologna Children's Book Fair li abbiamo rivisti con piacere e il piacere è certo stato esaltato dalla bottiglia di gran vino che ci hanno portato come ricordo per la solidarietà di quei giorni.

Vera e Raffaele scrivono nell'etichetta della bottiglia che "... s'usa nelle nostre colline che, quando si svendemmia, siano amici e familiari, e amici degli amici, ad aiutare la raccolta nel sole di fine estate. Questa alluvione è stata per noi una vendemmia, dove amici e compagni di viaggio si sono presentati alla nostra porta carichi di aiuto e parole di conforto. Il Treno di Bogotà ha scoperto il profumo di un mosto fatto di stima, affetto, solidarietà. C'è voluto il tempo in cui riposa l'uva nelle botti per riuscire a ritornare sui binari, ed ora che il vino è maturo, non possiamo che brindare con voi."

Questo squisito Verdiso del Veneto, 'vendemmia d'alluvione', l'abbiamo stappato e bevuto alla vostra salute, in mezzo ai libri e agli amici dei libri della Fiera di Bologna. Grazie.

venerdì 23 marzo 2012

Foto di gruppo in Fiera


Prima di affrontare il necessario rendiconto, e quindi il tentativo di riflessione, sugli stimoli e i risultati della Bologna Children's Book Fair, che ha tirato giù le saracinesce nel pomeriggio di ieri, ci fa piacere pubblicare una prima carrellata (la 'foto di gruppo' del titolo) di immagini degli amici che ci sono venuti a trovare al nostro stand in questi quattro giorni di convulsa kermesse. Facce vecchie e nuove, volti conosciuti e sconosciuti, in posa o presi al volto, sorridenti o accigliati. Foto belle e meno belle, ma tutte capaci di creare koinè. Chiediamo scusa a chi manca. Immagini sfuocate, mosse o sovraesposte sono state cassate senza pietà e ci è anche capitato di non fotografare qualche amico, presi come eravamo dalla conversazione (o dai brindisi). Una panoramica che forse non dirà granché a chi non c'era ma che, per noi, ha il sapore di una madeleine proustiana, un eccipiente di ricordi, il richiamare alla mente di momenti belli e intensi, di valutazioni e polemiche, di chiacchiere e bicchieri di vino rosso. La Fiera è anche questo.


Anna Curti e Sophie Fatus

Fabio Toninelli, Brunella Baldi, Walter Fochesato

Roberto Innocenti e Guido Scarabottolo

Roberto Innocenti e Letizia Galli

Walter Fochesato

Antonio e Anna Faeti

Stefania Camilli (Vànvere edizioni)

Guido Scarabottolo

Andrea Rauch e Anna Castagnoli

Ana Juan

Sebastiano Ranchetti

Cecco Mariniello

Libero Gozzini e Conc

Mara Dompè

Simone Frasca

Simone Rea

Francesca Bottaini e Fabrizio Silei

Barbara Schiaffino e Arianna Papini

Giorgia Grilli e Fabian Negrin

Marco Paci
Gabriele Poeschke e Carolina D'Angelo

Paolo D'Altan e Serena Piazza

Paola Pallottino e Cinzia Ghigliano

Guia Risari

Janine Despinette, Loredana Farina, Carla Poesio

Daniela Pellegrini

Mara Pace

Giordana Piccinini ed Emilio Varrà

Roberta Chinni

Ilaria Tondardini

Daniele Nannini

Octavia Monaco

Monica Monachesi

Beatrice Alemagna

Cristina Albertini (Parole x strada)

Fausta Orecchio

Carlo Gallucci