Il volume contiene saggi di Ilaria Tondardini, Martino Negri, Emilio Varrà, Giulia Mirandola, Loredana Farina, Giordana Piccinini, Nicoletta Gramantieri, Roberta Colombo. Riportiamo di seguito ampi stralci dell'intervento introduttivo di Andrea Rauch.
Tracce per una storia dell'albo
Andrea Rauch
Prima di tutto si dovrebbe rispondere ad una domanda generica e generalissima: cos’è un albo? E poi, qualora fossimo riusciti a darne definizione approssimativamente soddisfacente, si dovrebbe passare a delle domande, diciamo così, di secondo livello: ha un formato preciso? un numero di pagine prefissato? un contenuto certo?
Già con questi primi righi abbiamo preso prigioniero il nostro argomentare in una specie di vicolo cieco. Cos’è un albo? Tutti possiamo rispondere facilmente quando ne abbiamo uno sotto gli occhi, ma questa stessa esperienza ci farà anche dire che il formato tanto preciso non sarà mai, le pagine nemmeno e quanto al contenuto, poi, si dovrà introdurre un elemento altro, fondamentale, che non pertiene la forma ma la qualità.
Dobbiamo naturalmente porci un’altra domanda: quando nasce l’albo (che intenderemo, almeno questo ci va concesso, sempre illustrato)? nell’Ottocento? ai primi del Novecento? negli anni Trenta? Nei Cinquanta?
In ognuno di questi periodi sarà possibile trovare esempi, anche significativi, ma la genericità della domanda ci impone di scegliere: e la nostra scelta, come si vedrà, si àncora al momento in cui l’eccezione diventa regola e l‘eccentricità costume. Quando cioè si potrà definire una tendenza, una norma, riconoscere degli autori specifici e dedicati.
La sua provenienza dalla grafica attiva ('molto' attiva diremmo essendo uno dei padri nobili della grafica americana), portava Lionni a riflettere sul progetto della pagina e a rispettare, in ogni suo libro, un proprio ‘codice’ di sobrietà e congruità di proposta. I suoi libri (albi) erano sempre composti da quattordici aperture di pagina, carattere graziato (Century Schoolbook, perlopiù), giustezze mai eccessivamente spinte. Ma anche parole semplici, frasi concise, concetti chiaramente espressi e facilmente comprensibili. E, vorremmo aggiungere, storie di forte sostanza ‘etica’. Leo Lionni sostanzia la natura del suo progetto ideale con una fortissima identità grafica. Con lui possiamo quindi dire, in soldoni, che l’albo non ha molte pagine (32 o 36, raramente si arriva a 48), un formato variabile (21x28, 20x20, 23x33 cm. eccetera) ma adatto a suscitare interesse e curiosità, potrà essere cartonato (per non essere distrutto troppo in fretta dai turbolenti lettori), sarà scritto e illustrato per i bambini ma diretto anche agli adulti che potranno, come dicono gli americani to talk about.
Quando la giovane Rosellina pubblica i suoi primi libri è appena ritornata da un soggiorno negli Stati Uniti; si è accorta subito del divario abissale che c’è tra quella cultura e questa, ancora dominata dalle proposte Disney pubblicate da Mondadori e da una congerie di offerte sciroppose e melense che sembrano provenire da un’era geologica dove ancora pascolavano i dinosauri e i mulini erano bianchi. L’editoria per bambini e ragazzi corrente era, a titolo di esempio, in quegli anni Sessanta e nel nostro paese, ancora occupata manu militari dagli albi di Mariapia (“che ha provveduto a rovinare molte generazioni di bambini italiani”, chiosa Walter Fochesato) con i suoi angioletti rosa e celesti, con le sue nuvolette, le pecorelle dalle lunghe ciglia, i Gesù bambino dolciastramente affaccendati.
Natale da un giorno è passato..
Gesù, dopo avere viaggiato
per monti, per valli, per mari,
fermandosi nei casolari,
di tante fatiche riposa
tra nembi di nuvole rosa.
E in un'altalena di fiori
ascolta tranquillo i bei cori:
vocine di angeli biondi,
dai dolci visetti rotondi.
Del clima culturale che si ebbe allora intorno alle proposte della Emme Edizioni, e a quelle della Milano Libri di Giovanni Gandini, che nel 1965 aveva dato alle stampe il primo numero di Linus, abbiamo trovato traccia nel blog Spari d’inchiostro, dove Paolo Interdonato ricorda:
“C’è un libro di Sempé che ho appena trovato su una bancarella in edizione italiana. Si chiama Matteo Sassolino ed è stato pubblicato dalla Milano Libri di Giovanni Gandini nel 1972. Gandini ha pubblicato un sacco di libri illustrati fondamentali e per molto tempo ho sospettato fosse il maggior responsabile dell’immaturità del picture book in Italia. Il mio ragionamento (un po’ balengo) era il seguente.
Milano Libri importava libri bellissimi e fondamentali per farne commercio con la borghesia meneghina nella libreria omonima. Gandini faceva libri importantissimi a sua volta e alcuni clienti della libreria, venuti in contatto con dei libri tanto belli, si trasformavano in editori. Un esempio su tutti è Rosellina Archinto che, con la sua Emme Edizioni, ha pubblicato, tanto per spenderci subito i nomi pesanti, Maurice Sendak, Leo Lionni e Iela Mari.
Questi libri venivano venduti a lettori adulti. Mica ai bambini cui dovevano essere logicamente destinati. Tanto è vero che Linus, durante i suoi primi anni di vita, ospitava cose magistrali di autori imprevisti (Chas Addams, Edward Gorey, Sempé…). Il lettore colto di Linus (che era uno spendaccione, visto che voleva permettersi quella costosissima rivista) andava in libreria – magari proprio alla Milano Libri perché era spesso milanese – e comprava Matteo Sassolino di Sempé, l’Alice illustrata da Steadman, Nel paese dei mostri selvaggi di Sendak, la Fata speciale di Topor, e i libri di Copi, Schulz, Kelly, Al Capp, …
Il libro con le immagini, così come il fumetto, era un prodotto per adulti. Che i bambini continuassero a grufolare nella bruttezza dei prodotti dal segno semplificato e dalle parole svuotate di musica! Già. Perché i libri ai bambini glieli compravano le zie che, come è noto, sono roride di pessimo gusto. Non appena identificano il più vacuo dei segni e la più sgargiante cromomachia, si gettano sopra quell’obbrobrio, rapaci, per infilarlo sotto lo sguardo inerte dei nipotini. Alimenta un bambino a pattume per anni e, da adulto, avrà il palato assuefatto a quel sapore.
Per guarire da questa deriva di pensiero (che oggi mi suscita un po’ di imbarazzo), mi è bastato pensare al fatto che i libri ai bambini li hanno sempre comprati le zie. Ovunque.
Come si spiega allora la presenza di posti nel mondo dove i libri di Crockett Johnson, Maurice Sendak, Shel Silverstein, Sempé, William Steig, Bruno Munari, Leo Lionni… sono stati dei clamorosi successi editoriali? Come?”
Sendak doppierà pochi anni dopo il successo mondiale di Where the Wild Things are con In the Night Kitchen, che preciserà meglio e compiutamente la sua poetica (anche se il libro avrà, soprattutto negli Stati Uniti, vita difficile per il suo presentare il protagonista nudo, esponendolo quindi agli strali della critica puritana.).
(…) L’influenza di Lionni e Sendak è stata ed è fortissima e indubitabile. Quei libri per i ‘figli dell’architetto’, venduti allora a fatica, godono oggi anche in Italia, non solo del loro consolidato prestigio, ma anche di un più che discreto successo commerciale. Babalibri, l’editrice che ha raccolto l’eredità di Rosellina Archinto, e che è significativamente diretta dalla figlia di lei, Francesca, ripubblica continuamente quei titoli (insieme a quelli di Iela Mari), che sono considerati ormai a ragione, anche in Italia, degli evergreen.
Dell’opera complessiva di Munari e Luzzati non c’è certo bisogno di parlare in questa sede, tanto il lavoro di designer del primo, e di scenografo del secondo, è apprezzato e conosciuto.
Così, in quei tardi anni Sessanta e primi Settanta, si assiste ad una vera e propria esplosione internazionale di talenti, che riusciranno a dare il colpo di timone definitivo al settore e che prepareranno il terreno a quella ormai matura fioritura internazionale che, dagli anni ottanta, ci porterà fino alla fine del secolo.
L’elenco sarebbe probabilmente interminabile e già adesso ci accorgiamo di aver colpevolmente trascurato molti autori che avrebbero bisogno di ben più di una citazione frettolosa. Abbiamo accennato a Tomi Ungerer, Etienne Delessert, Iela e Enzo Mari, ma possiamo certo aggiungere Heinz Edelmann, Eric Carle, Seymour Chwast, André Francois, Beni Montresor, Michael Foreman, Helme Heine, Philippe Corentin, Alfred Lobel, Jorg Muller. E chissà quanti altri.
Naturalmente questa maturazione non è solo dovuta alla presenza di artisti più attenti o consapevoli. La società ha cambiato, negli anni, il suo concetto dell’essere ‘infanzia’ e il bambino non è più un “piccolo deficiente che si allena per diventare adulto, costretto alla panchina o al riscaldamento prima di entrare in partita” (l’immagine è di Walter Fochesato), ma un soggetto con una sua precisa fisionomia e identità, che deve essere riconosciuta e coltivata.
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