mercoledì 28 marzo 2012

Il ritorno di Marco Cavallo

Marco Cavallo all'interno dell'Ospedale psichiatrico di Trieste, 1973

Chi fu Marco Cavallo, in quel lontano 1973? Fu una macchina teatrale, costruita e mossa da alcuni visionari che predicavano l’azione teatrale partecipata, che non credevano che lo spettacolo potesse farsi solo in palcoscenico né che avesse bisogno di un solo autore, ma fu anche, e soprattutto, un sogno: un muro che cade, una porta che si spalanca, un’aria nuova che spazza via incrostazioni secolari di prevaricazione, di incomprensione, di segregazione. Fu un simbolo Marco Cavallo e se oggi la sua vicenda è consegnata alla storia del teatro e alla storia dell’istituzione psichiatrica, ancor più è fissata, tout cort, alla storia sociale della seconda metà del ventesimo secolo.

Franco Basaglia
Il grande cavallo azzurro, Marco Cavallo, ebbe un 'padre teatrale', Giuliano Scabia, motore della grande performance all’interno dell’ospedale psichiatrico di Trieste, ed ebbe soprattutto un 'padre istituzionale’, Franco Basaglia, che più di tutti lavorò perché i manicomi chiudessero i loro reparti e i degenti fossero recuperati alla vita associata.  

Franco Basaglia, ostinato uomo-contro, in opposizione a quella che, allora, si definiva 'istituzione totale'.

Il grande cavallo blu, Orecchio Acerbo, 2012
Diciamo francamente che la lettura del Grande Cavallo Blu, che Orecchio Acerbo ha appena pubblicato, con il testo di Irène Cohen-Janka e i disegni di Maurizio Quarello, ci ha emozionato perché ha rimandato il nostro orologio indietro di quarant’anni, a quel 1973 quando i manicomi esistevano eccome, e le porte erano serrate a guardia e contenimento di quel mondo separato. Ci sarebbero voluti ancora degli anni prima che la visione di Basaglia divenisse legge dello stato e i manicomi fossero 'quasi' definitivamente ‘chiusi’, ma in quel 1973 le basi erano state gettate. I ‘matti’ cominciavano a passeggiare per i vialetti alberati dell’ospedale psichiatrico di Trieste, pochi ‘coraggiosi’ visitatori si avventuravano all’interno di porte timidamente aperte, si fermavano allo spaccio per un caffè o una bibita, prima timorosi poi rassicurati dall’aria di tranquillità che vi si respirava. Chi ebbe a vivere quell’esperienza, non può non ricordarla come uno dei momenti fondanti della propria presa di coscienza civile.


Disegno di Maurizio Quarello

Peppe Dell’Acqua, uno dei medici che allora lavorarono con Basaglia riandò, in un libro pubblicato nel 1980, ai giorni del cavallo azzurro:
Marco Cavallo è una macchina teatrale. I matti non lo hanno costruito materialmente, non lo hanno mai toccato. Mentre cresceva la sua struttura in legno, mentre prendeva forma la cartapesta, mentre si plasmava la testa, i matti hanno costruito, senza mai toccare il cavallo, ripeto, qualcosa di più duraturo, di più indefinito. Il colore azzurro. (…)

Ospedale psichiatrico di Trieste, 1973
La libertà: i muri del manicomio frantumati, la teoria infinita di matti che, dietro al cavallo, esce dalla breccia e si perde per le vie della città. Boris accompagna il corteo suonando la fisarmonica. I nemici, la lotta ai nemici, a chi vuole chiudere la breccia, a chi vuole ricacciare nel recinto, nell'ordine fermo e servo, chi finalmente comincia a camminare, a scoprire che ha le gambe. Marco Cavallo in testa, in prima fila. Era una limpida domenica di marzo, pulita dalla bora quando Marco Cavallo tentò di uscire dal laboratorio. Era troppo grande, appesantito dal carico di bisogni, desideri che si portava dentro. Le porte erano strette, provò la porta del giardino, poi la veranda, pensando di saltare la ringhiera. Cercò di piegarsi, di mettersi di taglio, si abbassò, pancia a terra, si ferì. Niente. Restava chiuso dentro. Tutti erano lì a guardarlo: era quello il suo momento. Cominciò a correre nervoso per il lungo corridoio del vecchio reparto «P» trasformato in laboratorio, avanti e indietro, proprio come avevano fatto per anni i malati che lo avevano abitato. Giuliano cercò di calmarlo, dicendo che bisognava aspettare, che forse non era quello il momento, che bisognava avere pazienza. I malati cominciarono a pensare di avere solo sognato, secoli di grigio tornarono nelle loro teste, urla disumane assordarono le loro orecchie. Marco Cavallo, fremendo, testa bassa, cominciò una corsa furibonda, come impazzito, verso la porta principale e, senza più esitazione, oramai a gran carriera, aggredì quel pezzo di azzurro e di verde oltre la porta.

Saltarono gli infissi, i vetri. Caddero calcinacci e mattoni. Marco Cavallo arrestò la sua corsa nel prato, tra gli alberi, ferito e ansimante, confuso all'azzurro del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia guarirono in un baleno le sue ferite. Il muro, il primo muro era saltato. La prima grande uscita in città, paradossalmente trionfale. Poi, così come era destino, in giro per il mondo. La carica simbolica, certo, l'hanno costruita i matti.

Disegno di Maurizio Quarello

Cohen e Quarello, quarant’anni dopo, hanno ricostruito la storia con l’attenzione dello storico e le parole del poeta. È il racconto di un cavallo vero che non ce la fa più a portare il peso della sua età e della sua fatica ed è la storia del suo amico Paolo, il bambino che vive all’interno dell’ospedale dove si curano ‘quelli che sono malati nell’anima’. Quei malati sono strani e teneri, ma possono anche essere cattivi e imprevedibili.

Disegno di Maurizio Quarello

Non hanno età. Ci sono giovani che sembrano vecchi e vecchi che sembrano bambini. I loro occhi possono lanciare fiamme o rimanere completamente spenti. Sono spesso dolcissimi e a volte cattivissimi. E talvolta così brutti che fa paura guardarli. Non sanno come ci si comporta a tavola, né per strada. Né in nessun altro luogo. Hanno strane idee e paure terribili. Come Sandro che resta per ore fisso, immobile. Crede di essere di vetro, quindi si muove molto poco e molto adagio, perché ha paura di rompersi.”

Disegno di Maurizio Quarello

Il cavallo Marco rimane all’interno dell’ospedale anche se non è più capace di lavorare e  un grande cavallo di cartapesta viene costruito in suo omaggio e memoria. Per farlo uscire in città si dovranno abbattere i muri, e questo è il succo della storia. Con il muro che crolla per far uscire il cavallo la metafora è completa e la storia di una macchina teatrale e di una rivoluzione di civiltà diventa narrazione simbolica e fatto poetico.

Irène Cohen-Janka, Maurizio A. C. Quarello, Il Grande Cavallo Blu, Orecchio Acerbo, euro 12,50.

Disegno di Maurizio Quarello

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