mercoledì 30 novembre 2011

Pinocchio nel paese dell'arte. 2

(Arte o illustrazione? 2. continua) Mario Schifano incontra Pinocchio (edito poi da Theoria nel 1992) attraverso Mussino da cui mutua molti disegni e situazioni ma anche da una necessità dinamica di pittura e da un umor cupo che lo porta a muoversi entro segni affannosi e colori fondi.

Mario Schifano, 1992

Il Pinocchio di Schifano è quasi ai limiti della leggibilità e, come nota Achille Bonito Oliva, per goderlo bisogna “... sottrarre le proprie immagini alle melanconiche stazioni narrative cui ci hanno abituato artisti e disegnatori della favola.
Per concludere che “... ci piace questo Pinocchio di Schifano illustrato da Collodi”, segnalando al tempo stesso una profonda adesione e un altrettanto profondo tradimento, che rende l’artista del tutto autore nuovo di parole già dette.

Mario Ceroli, 2001
Mario Ceroli invece arriva a Pinocchio nel 2001 quando costruisce una serie di figure (di legno, c’è bisogno di dirlo?!) a grandezza naturale che si collegano strettamente con il suo percorso artistico ma che pescano anche in maniera gustosa e allusiva nel repertorio iconografico ‘tradizionale’ riproponendo quasi un Mussino, con i suoi gesti enfatici e plateali, in tre dimensioni.

Ceroli si incontrerà ancora con Le avventure di Pinocchio nel 2002 quando per Art’è illustrerà un’edizione del libro, questa volta in punta di penna, tiratura limitata e grande formato, con una prefazione del cardinal Giacomo Biffi, che si avventurerà in una inaspettata esegesi sulla ‘laicità’ e il ‘cattolicesimo’ di Collodi e su quanto di questi valori l’autore di Pinocchio abbia saputo e voluto trasmettere all’opera sua.


Singolare e a suo modo esemplare fu l’esperienza del libro ‘triangolare’ che possiamo definire un atto d’amore per Pinocchio. Nasce da culture e sensibilità diverse e, per certi versi opposte, ma nasce tutta in un perimetro di poche centinaia di metri attorno alla casa natale di Carlo Lorenzini, in via Taddea. È il Mercato Centrale di Firenze, San Lorenzo, e lì, in via dell’Ariento e in via Panicale hanno studio e casa Paolo Favi, Vinicio Berti e Liberia Pini. Di là d’Arno appoggiato al Santo Spirito di Filippo Brunelleschi, lavora Eugenio Malenotti, originale figura di artigiano e artista. Lapo Binazzi, artista, architetto, designer ‘radicale’ percorre ogni giorno in bicicletta quelle vie. Auspice il sesto della combriccola, Fabrizio Gori, il libro ‘triangolare’ pensato da Lapo come omaggio al berretto di mollica di pane, o se volete al naso appuntito e lungo del burattino, ma anche come segno trasgressivo rispetto ad una comune operazione editoriale, viene dato alle stampe non da una casa editrice ma da una trattoria, ‘Burde’, in via Pistoiese, ai margini nord della città, dove si immagina Collodi ambientasse parte delle sue Avventure.

Lapo Binazzi e Paolo Favi, 1982

Il libro è strano e affascinante, si estende nell’opera degli artisti per molti anni all’indietro. Alcuni disegni di Vinicio Berti risalgono al 1954, pressoché coevi a quelli che l’artista aveva preparato per il Gian Burrasca di Vamba; altri, quelli di Paolo Favi, sono tutti del 1981 e raccontano la storia di una sosta forzata per una complicata operazione.

Paolo Favi, 1982

Edoardo Malagigi, 2005
Racconta, il libro, anche storie d’arte e di cultura della seconda metà del secolo scorso, da quell’ ‘astrattismo classico’ che vide in Berti un esponente di spicco, al ‘design radicale’ di Lapo Binazzi, fondatore, nel 1968, degli Ufo, uno dei movimenti più attivi sulla scena culturale interna e internazionale del periodo (alle cui esperienze si rifarà anche, pur appartato, Edoardo Malagigi che, a cavallo degli anni 2000, darà a Pinocchio la veste inconsueta dell'approccio didattico e 'politico' realizzando grandi sculture con confezioni di latte e biscotti serviti anche, e principalmente, non tanto per performance artistiche ma per la colazione dei bambini della ex Jugoslavia).

Vinicio Berti, 1954

Il libro ‘triangolare’, trasgressivo con giudizio, si pone anche come antologia di un periodo e di un’esperienza, o più esperienze, con le tavole di Vinicio Berti (a cavallo come detto tra il 1954 e il 1990) che non sa decidersi se essere pittore, illustratore, o fumettista (nel 1992 sarà pubblicata da Ponte alle Grazie una sua riduzione di Pinocchio a fumetti), tanto la sua storia artistica sembra riassumere tutte le funzioni. Si intravede, qua e là, la memoria di Atomino del “Pioniere” e delle esperienze fumettistiche di Berti, ma anche, in certi fondali delle tavole, la lezione delle scenografie dipinte, all’epoca, da Toti Scialoia.

Francesco Musante ha una visione dell’arte fantasticamente onirica. I suoi personaggi, e Pinocchio tra questi, si agitano su rutilanti fondali di stelle, mezzelune e giocattoli variopinti che sono gli elementi ricorrenti di un sogno (o un incubo?) notturno.

Francesco Musante, 2005

Quello di Musante è un mondo intimo e ‘delirante’, carico di ‘poesia decorativa’, che per certi aspetti può rimandare a Chagall, o a Niki de Saint Phalle, con le figure, quasi sciamani rituali, sospese nella mezz’aria di un colto universo simbolico. Anche Pinocchio, quando entra a far parte di quel mondo, non può non esserne contaminato e stravolto.


Fabio De Poli, 2005
Fabio De Poli dichiara, all’inizio, una sua pregiudiziale e ostinata antipatia per Pinocchio e le pinocchierie. Salvo poi ‘pentirsi’ e ricreare, affascinato dalla carta, dal colore, dalle forbici, dai materiali ‘poveri’ di una pittura sapiente, una specie di racconto per silhouette, dove il ricordo di Mazzanti, ma anche di Mattioli, è spinto in avanti, e trasforma in ritaglio colorato ogni personaggio, come in un gioco di bimbi che hanno imparato, e bene, la lezione di Matisse. De Poli si colloca al lembo estremo di contatto tra l’illustrazione del libro e la pittura dell’opera. Il suo lavoro è l’uno e l’altro. Le scene sono scandite con il ritmo della narrazione e perfettamente inserite nel racconto e anche l’operazione editoriale (Il mio primo libro di Pinocchio, La Biblioteca Junior, 2006), dedicata ai bambini più piccoli, sembra aderire coerentemente ad un mondo infantile di splendida creatività, con i colori vivi del disegno, i vuoti e pieni, quasi gestaltici, delle carte, la fantasia decisamente pop dell’artista che non rinuncia certo a occhieggiare la sua storia professionale e lascia nelle tavole, qua e là, saporosi segni di stile.

Fabio De Poli, 2005
Fabio De Poli, 2005
Fabio De Poli, 2005

Le tavole più significative di De Poli sono comunque quelle dove Pinocchio si prende la rivincita dell’antipatia dichiarata dall’artista e occupa lo spazio in maniera totale, con i suoi spigoli, le sue linee, le sue torsioni dinamiche, dividendo con quelle lo spazio del collage, diventando ombra e controluce, effetto ottico e realtà materiale e tattile.

Mimmo Paladino, 2004

Mimmo Paladino si avvicina invece a Pinocchio nel 2002-2004 (una serie di disegni e una cartella di serigrafie), dopo lunghe visitazioni al Mito, dopo l’Iliade, l’Odissea, Edipo: prima di Don Chisciotte. La pittura di Paladino è mediterranea e profuma di terra, è passionale e appassionata. Segue il filo ininterrotto di una esperienza storica ancestrale.
È una pittura della memoria che non ha bisogno per raccontarsi se non di personaggi archetipici intorno ai quali tessere una propria narrazione autonoma.

Mimmo Paladino, 2004

Mimmo Paladino quindi prende da Pinocchio gli spunti che la sua natura gli suggerisce, li raffronta con la sua arte, li piega al momento. Ispeziona con attenzione quel personale sogno d’infanzia, traccia sulla carta segni quasi su quaderno da scuola elementare, lascia tracce di colore che farebbero la gioia di ogni educatore. Ma non solo, perché Paladino non ha bisogno di uno stile, ma tutti gli stili cerca di piegare alle necessità del racconto e riesce quindi, con una naturalezza che sembra ingenua ma sospettiamo coltissima, a penetrare nei solchi delle Avventure dando alla storia nuova vita e nuova linfa. L’artista gira intorno a Pinocchio, ne indovina le bizze e le generosità, i capricci e i tormenti. C’è gioia in questi disegni ma c’è anche dolore e pena, perché l’infanzia, e quella di Pinocchio prima di tutte, è un ossimoro (lo aveva detto una volta Antonio Faeti), ed è una pena mista a gioia che ci è pur dato sopportare. Con i piedi in fiamme (d’acquarello magari, due segni di pennello e via!), con quel fuoco che brucia, ma, come tutta l’arte terragna e aerea di Paladino, è incapace di far male.

Testo rielaborato da Pinocchio e la sua immagine, di Valentino Baldacci e Andrea Rauch, Giunti editore, 2006.

martedì 29 novembre 2011

Maestri 21. Eric Carle

Eric Carle (Syracuse, 25 giugno 1929) è famoso principalmente per il suo libro Il Piccolo Bruco Maisazio (titolo originale The Very Hungry Caterpillar) che, tradotto in 47 lingue, ha venduto ben 30 milioni di copie. Dalla sua prima pubblicazione nel 1969, Eric Carle ha illustrato più di 70 libri divenuti bestseller, molti dei quali scritti da lui stesso, e ha venduto circa 88 milioni di copie in tutto il mondo.

Eric Carle

Per quelli di noi che pensano che cinquecento copie vendute sia un apprezzabile risultato e che mille copie siano un successone da festeggiare con salti mortali e coppe di champagne (beh, almeno prosecco!), leggere la nota biografica su Eric Carle, che abbiamo copiato pari pari da Wikipedia perché non se ne perdesse l’impatto, è come un colpo al plesso solare. Toglie il fiato e per riaversi ce ne vuole. Ottantotto milioni di copie! Calcolando che il Piccolo Bruco Maisazio è lungo circa trenta centimetri, e che tutti gli altri libri di Carle, o per base o per altezza, sono suppergiù delle stesse misure, lo sviluppo lineare dei suoi libri, stesi uno accanto all’altro, misura circa trentamila chilometri. Appena un po' meno, per avere un’idea, del giro del mondo sulla linea dell’equatore.

Eric Carle, Il Piccolo Bruco Maisazio, 1969 (ed. ital. Mondadori)

La cifra è impressionante e vien subito fatto di considerare che il signor Carle, come si vede nella foto in alto, abbia tutti i motivi del mondo per sorridere sornione e soddisfatto. Ottantotto milioni di buoni motivi.

Eric Carle, copertina, 1984

Ma c’è comunque da dire che il successo commerciale non sarebbe un indicatore sufficiente per considerare Eric Carle un grande maestro, se a questo non si accompagnasse anche la straordinaria qualità della sua proposta e la persistente forza di penetrazione in tutte le fasce sociali e in ogni parte del mondo.

Il Piccolo Bruco Maisazio, per tornare al suo libro più famoso, racconta la storia semplicissima del piccolo bruco che esce dall’uovo, si aggira affamato divorando tutto quello che trova, mele, pere, fragole, prugne, ma anche torta, salame, fette d’anguria. Al povero piccolo bruco non basta mai e riuscirà a saziare la sua fame solo divorando (come dessert?) anche una bella foglia verde. A questo punto il bruco è talmente ingrassato che è giunta per lui l’ora di costruirsi un bozzolo da cui uscirà, com’è ovvio, farfalla.

La storia è semplice e immediata ma lo scarto tra l’esposizione didattica e il risultato finale (e quindi il successo internazionale) è dato dalle tecniche di realizzazione del libro che è un piccolo ma perfetto gioiello di cartotecnica, con fustellature continue che danno alla storia un ritmo tutto particolare, distendendosi alla fine nella grande doppia pagina della metamorfosi in farfalla.

Eric Carle, Il Piccolo Bruco Maisazio, 1969 (ed. ital. Mondadori)

Non solo però l’intelligenza tecnica premia il prodotto. Tutte le immagini del libro sono collages e le carte che Carle usa sono textures variamente colorate che lui stesso prepara per poi usarle nei suoi libri. Questa particolarità lo ha reso famoso e chissà quante generazioni di bambini, nel mondo, hanno preparato collages partendo da carte preparate e colorate in maniera analoga.

Eric Carle, The very quiet cricket, 1991

Squadra che vince non si tocca e l’artista è rimasto quasi sempre fedele al suo metodo di lavoro: storie naturali semplici e immediate, sapienza cartotecnica notevolissima, collages ‘personalizzati’. Con, a volte, qualche sfizio virtuosistico come il ‘sonoro’ inserito nel  Canto del piccolo grillo (The very quiet cricket, 1991), che per tutto il libro non riesce a frinire davanti a tutti gli insetti che gli rivolgono la parola, ma troverà suoni e parole quanto incontrerà la sua ‘grillina’. All’apertura di pagina corrispondente il libro frinisce davvero e rende esplicito il racconto e la sua morale.
Anche fedeltà al metodo dicevamo: al punto di aver dato alle stampe un albo, You can make a collage, che è nient’altro che un repertorio di carte colorate, di vari colori e intensità, pronte da usare, ritagliare e incollare.

Eric Carle, You can make a collage, Klutz, 1998

Negli ultimi anni Eric Carle si è dedicato assiduamente al Museo che ha aperto a Amherst, Massachusetts. Un museo dedicato al mondo dell’illustrazione e dell’infanzia. Non però soltanto un monumento alla propria straordinaria fortuna artistica.

Eric Carle Museum, Amherst, 2002
Come si capisce fin dal marchio, che vedete accanto, il Museo si apre alle esperienze più varie e importanti dell’ultimo mezzo secolo.
A comporre il logo del museo, in bande sovrapposte, ci sono infatti due disegni di Carle, naturalmente, poi un collage di Leo Lionni e un disegno di Maurice Sendak.
Vale a dire tre tra le più importanti esperienze di didattica e illustrazione dei nostri giorni.


lunedì 28 novembre 2011

Arte o illustrazione? L'ipotesi di Pinocchio

Emanuele Luzzati, 1988

In due post di grande interesse (qui e qui) sul suo blog Le figure dei Libri, Anna Castagnoli apre uno spiraglio su quella linea di confine che spesso ha separato il mondo dell’illustrazione da quello dell’arte, intesa la prima come lavoro, mestiere, professione, e la seconda come terra del libero addensamento delle idee, situata nell’esclusivo dominio creativo dell’artista. Ecco che quindi si pensa, in modo del tutto conseguente, che David Hockney agisca da ‘artista’ e Maurice Sendak da ‘illustratore’, proprio per le differenti modalità e intenti del loro agire.
Ma siamo proprio sicuri che questo sia il giusto modo di procedere? Che non sia possibile attivare un differente punto di vista? Che ci siano due modi separati di accostarsi alla figurazione della fiaba (o anche al libro 'con le figure' tout court visto che tra gli esempi che Anna propone in quei post fanno capolino anche Pinocchio e Alice)?

La materia è complessamente scivolosa e anche il dibattito interno alla professione non offre sufficienti punti di riferimento. Così, se Roberto Innocenti rivendica con orgoglio e passione da più di trent’anni il proprio ‘mestiere’ di illustratore, con tutte le sue ragioni tecniche e ‘artigianali’ (anche politiche a dire il vero!), Octavia Monaco ci dichiara che illustrare è “… mettere a punto delle ipotesi di lettura” e quindi si porrà sempre in gioco la propria personalità per sovrapporre la ‘lettura’ personale alla ‘lettera’ autentica originale del racconto punto di partenza.

Lorenzo Mattotti, 2009

Fabian Negrin, 2006
Continuando nell’esemplificazione, come si potranno giudicare i bianconeri corruschi e cupi di Lorenzo Mattotti per il suo Hansel e Gretel: sono ancora illustrazione o già arte? E gli acquarelli astratti, fascinosi e divaganti di Fabian Negrin per Capitan Omicidio? Arte o artigianato? Arte o mestiere?
Il discorso entrerebbe in un pericoloso vicolo cieco e non credo sarebbe facile uscirne se non considerando che gran parte dell’illustrazione di questi anni ha già compiuto quel passo in avanti che Anna Castagnoli riconosce al mondo dell’arte 'ufficiale'. D’altra parte anche gli artisti ‘certificati’ si stanno oggi avvicinando al mestiere in modo diverso e disponibile rispetto al passato. Illustrando libri, ad esempio, che non sono più soltanto oggetti autoreferenziali ma che si confrontano con la libreria e il mercato. Le avventure di Pinocchio di Mimmo Paladino è ancora un libro d’artista oppure libro illustrato con potenzialità commerciale, da libreria? Dal momento che abbiamo constatato come la forbice si sia avvicinata, forse è l’una e l’altra cosa: arte e illustrazione. Risponde sia alle esigenze di espressione libera e individuale, sia a quelle di conquistarsi un pezzetto di mercato. È un’opera autoreferenziale e, al tempo stesso, fortemente riferita.

Mimmo Paladino, 2004

Stessa considerazione potrebbe farsi per tanti altri libri e tanti altri personaggi delle fiabe che si sono già incontrati con il mondo nell’arte in quella terra di nessuno che abbiamo abbozzato. Pinocchio è però la figura che più si presta a fare da banco di prova per testare quanto l’immaginario fantastico sia penetrato a fondo nel cuore degli artisti, perché la creatura di Collodi è sicuramente tra le più visitate, analizzate, chiosate, interpretate della storia della letteratura. Varrà quindi la pena di andare a conoscere un po’ più a fondo quel ‘paese degli artisti’ dove Pinocchio si trova, in tutta evidenza, in bell’agio.


Pinocchio nel paese dell'arte. 1

La rilettura moderna di Pinocchio da parte del mondo dell'arte italiana comincia nel 1981 con le manifestazioni per il Centesimo anniversario della scrittura del libro, che fu occasione di studi, rassegne teatrali, mostre e pubblicazioni. Con una parola oggi di moda si può dire che quella del centenario fu l’occasione per ‘sdoganare’ Pinocchio, per sottrarlo cioè all’esclusivo dominio dell’infanzia e per restituirlo in toto all’arte, al teatro, alla letteratura, ai media.

Ricccardo Dalisi, Totocchio, 2003

Si cominciano, in quegli anni, ad affacciare infatti nell’universo pinocchiesco operatori che fino ad allora se ne erano prudentemente tenuti separati. Il mondo dell’arte aveva avuto pochi contatti anche se, come vedremo, significativi, con Pinocchio. Con il centenario il burattino e i suoi deuteragonisti cominciano ad essere guardati in modo diverso, meno sospettoso e scostante.

Ricccardo Dalisi, 2005

Per merito anche delle nuove ‘letture’ e dei nuovi studi, degli approfondimenti che si andarono allora operando, Pinocchio assunse ruolo pieno di soggetto letterario ‘alto’. E non è certo un caso che da quel momento sia diventato personaggio visitatato costantemente e visitabile da cineasti (Comencini, Benigni), uomini di teatro (Carmelo Bene, Marco Baliani) designers (Lapo Binazzi, Riccardo Dalisi con il suo Totocchio, metà Totò e metà Pinocchio), pittori e scultori sopratutto (Enrico Baj, Mario Schifano, Ugo Nespolo, Fabio De Poli, Mario Ceroli, Mimmo Paladino...).

Pietro Consagra, 1972
Alcuni di questi nomi anticiparono in parte la tendenza. Il Pinocchio di Luigi Comencini è del 1972 e la prima edizione della piece teatrale di Bene del 1976; senza considerare che la creazione del Parco di Pinocchio a Collodi, tra la metà degli anni ‘50 e gli anni ‘70 vide la partecipazione di protagonisti assoluti dell’arte e dell’architettura quali Emilio Greco, Venturino Venturi, Pietro Consagra, Marco Zanuso, Pietro Porcinai, Giovanni Michelucci. Autori importanti che corredarono il Parco di opere a loro modo significative (una citazione di eccellenza, tra le sculture di Consagra, per i quattro conigli che portano la bara di Pinocchio, magnifici nella loro postura dolente e vagamente jettatoria), ma che, dal punto di vista strettamente iconografico, non seppero legarsi a nessuna idea grafica consolidata del burattino e non riescono, anche oggi che il Parco è un successo per numero di visitatori, a dare un’immagine comprensibile e riconoscibile a ‘quel’ Pinocchio.


Venturino Venturi, 1972
A cavallo del 1980 si può comunque datare l’inizio di una nuova fioritura di letture, riletture, interpretazioni, adattamenti che fino al momento in cui scriviamo sembra non volersi interrompere.

Enrico Baj, Andrea Rauch, 1980

Enrico Baj, Andrea Rauch, 1980
Enrico Baj fu convinto ad un intervento teatrale su Pinocchio da Massimo J. Monaco, anima del Teatro Porcospino. Era il 1980 e Baj accettò dapprima con qualche ‘sospetto’ poi con adesione completa.
Baj coglie alcune delle essenze ‘mitiche’ del burattino e intorno a quelle sistema il suo operare. A cominciare dalla scelta ‘teatrale’:
“... preferisco aver avuto a che fare con un un Pinocchio teatrale piuttosto che da libro... la mia opera più che di lettura e di letteratura, di teatro sa, di Commedia dell’Arte, di scene, di quinte, di marionette, di costumi e di maschere, di Pinocchi, di Ubui e di Faustrolli.”
E più avanti: “Si condisca il tutto... con un gran naso in cui riecheggino storia dell’arte, letteratura e politica, dalla Cleopatra di Blaise Pascal ‘se il suo naso fosse stato più corto la storia del mondo sarebbe cambiata’, a Federico da Montefeltro, a Cirano, al gogoliano Kovaliov, al Generale De Gaulle. Il naso è tutto: dal naso inspiri l’aria, l’ossigeno; su pel naso gusti odori e profumi, al punto che spesso si può desiderare d’essere tutto naso, per dirla con Caio Valerio  Catullo: “Quando lo odorerai, pregherai gli dei di farti tutto naso.” E lasciamola lì senza scivolare giù per il pericoloso declivio morfologico che vorrebbe attribuire al naso misura, peso e la maschietà di altri attributi.

Enrico Baj, Andrea Rauch, 1980
Un naso quindi, quello di Pinocchio, che è nudo, nella sua essenza di legno naturale e non agghindato con i broccati, i fronzoli e le passamanerie di cui Baj ricopre il suo mondo ridondante. Pinocchio è nudo perchè essenziale e archetipico, ed ha un gran naso che sta al suo posto, in mezzo alla faccia, ma anche tra le gambe, un pistolino rosso che allude a quella ‘maschilità’ che Baj diceva di voler evitare, ma che appare semmai simbolo di una natura vegetale fertile e madre. Una metafora scoperta che sarà ripresa da Emilio Tadini che eliminerà ogni possibile doppia lettura e ambiguità, tagliando il naso del burattino e cambiandogli decisamente posizione. “La semplicità elementare del trapianto - scrisse Tadini nel 1982 - vuole disseppellire discorsi più profondi, suggerire spostamenti di senso, indicare, sia pure in chiave festosa e innocente, decisive inversioni.”


Emilio Tadini, 1982

Ugo Nespolo cerca invece il suo Pinocchio (1982) nelle pieghe della storia, senza sovrastrutturazioni troppo scopertamente simboliche. Le 20 tarsie laccate a colori squillanti, tipiche dell’opera dell’artista torinese, scandiscono puntualmente Le Avventure. Nespolo disegna Pinocchio in ogni tavola, è lui il protagonista, ma è protagonista miniaturizzato, marginale, quasi inserito e accettato di controvoglia, e rimane in genere ai margini della tavola. Che poi, la tavola, è tutto un trionfo di riferimenti, un mosaico di colore, una spezzettatura festosa e fastosa di arte pop. Pinocchio, vestito a fiori, bianco e arancio, piuma sul cappelluccio a pan di zucchero, è certo marginalizzato e schiacciato dalle porzioni di laccatura, ma, affogato com’è nello squillar di colore, pare proprio non accorgersene. (1. continua)

Ugo Nespolo, 1982

domenica 27 novembre 2011

Libri recuperati. 2. Not now, Bernard

Libri che non avevamo segnalato perché il nostro blog non esisteva ancora. Libri che abbiamo segnalato altrove. Libri che meritano comunque di essere segnalati e ricordati. Libri mai usciti in Italia. Libri da ricordare per testi e immagini. Libri.

2. David McKee. Not now, Bernard


Definire Not Now, Bernard di David McKee un ‘libro recuperato’ suona abbastanza irrispettoso per una delle opere più belle dell’autore inglese e tra le più significative, a nostro giudizio, dell’intera letteratura illustrata per ragazzi. Ma il percorso italiano del libro, uscito nel 1980 per le Edizioni Emme di Rosellina Archinto col titolo Non rompere, Giovanni, giustifica la collocazione perché l’albo, passato quasi inosservato nel nostro paese (quanti titoli delle Emme subirono la stessa sorte?!), finì abbastanza presto in belle ammucchiate nei negozi Remainders.
Da quelle pile, dove si potevano trovare tesori sconosciuti a prezzi stracciati, capitava di comprare, allora, copie di libri destinati poi ai figli degli amici in età adeguata. Ricordo ancora la delusione quando, entrato in negozio per l’ennesimo ‘regalino’, Non rompere, Giovanni non era più sugli scaffali. Anche in Italia, finalmente, l’edizione era andata esaurita!

Dopo però questa nostalgica parentesi autobiografica c’è da dire qualcosa del libro.
Bernard (o Giovanni se volete!) è un bambino che chiede attenzione e non la ottiene. Si rivolge al babbo e alla mamma che, distratti dalle loro occupazioni, grandi o piccole non importa, gli rispondono inesorabilmente, senza distogliere lo sguardo: “Not now, Bernard!”, non rompere Giovanni. Il bambino è, e si sente, solo e l’unico che gli presta un po’ d’attenzione, quando scende sconsolato in giardino, è il mostro che però se lo mangia. Il mostro entra in casa e sostituisce Bernard in tutto, nei giochi, nella lettura dei fumetti, nella vita di ogni minuto. E anche nella disattenzione che gli riservano il babbo e la mamma con il loro continuo salmodiare “Not now, Bernard!


Il mostro si comporta da vero mostro sporcando, rompendo, ingoiando, ma la mamma è inesorabile e, senza degnarlo di uno sguardo, all’ora dovuta, lo manda a letto. Le ultime immagini sono tenere e agghiaccianti. “Ma io sono un mostro!” esclama perplessa la creatura con in mano il bicchiere di latte e sotto la copertina patchwork. Ma la risposta è prevedibilmente scontata: “Not now, Bernard!” ripete la mamma, e spenge la luce.


Il libro di McKee è uno straordinario apologo sulla solitudine dell’infanzia, su quello che il bambino richiede e che, spesso, non riesce ad avere. Con l’ironia beffarda e leggera che contraddistingue quella stagione del libro inglese per bambini, McKee ci racconta una storia crudele perché il mostro che si mangia Bernard altro non è che la cattiva coscienza dei genitori, troppo presi dal piccolo tran tran quotidiano per dedicare a quel bambino solo l’attenzione che tutti i bambini meritano e chiedono. Chissà quanti Bernard abbiamo nelle nostre case, e chissà quanti sono i mostri che vengono a ‘mangiarli’ mentre noi ripetiamo in maniera stolida e irresponsabile “Not now, Bernard!

Edizione italiana: David McKee, Non rompere, Giovanni, Emme Edizioni, 1980.

Innocenti sul Tapirulan

Appuntamento annuale, ormai tradizione, con le mostre che l'Associazione Tapirulan organizza in occasione del Premio per l'illustrazione, oggi alla settima edizione. Nel consueto spazio di Santa Maria della Pietà, a Cremona, dal 3 dicembre al 29 gennaio 2011, saranno presentate le 40 tavole selezionate sul tema Privacy.


Roberto Innocenti

Contemporaneamente sarà possibile visitare la mostra antologica che Tapirulan dedica ogni anno al presidente della giuria del concorso, quest'anno Roberto Innocenti. Un'ampia panoramica sul lavoro storico e attuale del grande ilustratore, dalle prime prove di Bagliori ad Oriente ai due libri ancora in stampa, Cappuccetto rosso e l'Isola del Tesoro, passando naturalmente per tutti i capolavori di Innocenti, da Pinocchio a Rosa Bianca, da Schiaccianoci a La casa del tempo.

sabato 26 novembre 2011

"Libriamoci" con Pia Valentinis


A cura della Fabbrica delle Favole e nel quadro di Libriamoci. Mostra internazionale di Illustrazione, dal 3 al 20 dicembre sarà possibile visitare a Macerata, nella Galleria Antichi Forni la mostra pesonale antologica di Pia Valentinis. L'inaugurazione è fissata per sabato 3 dicembre, alle ore 18,30.

Friulana di nascita e sarda d'adozione (vive a Cagliari da oltre vent'anni!) Pia Valentinis è tra le più conosciute e raffinate illustratrici italiane. Oltre ad aver collaborato con i maggiori editori italiani e stranieri nel 2002 ha vinto il Premio Andersen come miglior illustratore.

venerdì 25 novembre 2011

Musica, Sophie!


Un asino, un cane, un gatto e un gallo fanno musica. Certo ci vuole un buon concertatore, per evitare stridori, e Sophie Fatus si è dimostrata un direttore d'orchestra coi fiocchi. Questi Musicanti di Brema che ha allestito per l'annuale edizione della Torre delle Favole, a Lumezzane, ci sembrano all'altezza della Biancaneve che, sempre Sophie, aveva preparato qualche anno fa nella stessa torre (la Torre Avogadro) e per la stessa manifestazione, e che, allora, avevamo considerato tra i più begli allestimenti per una favola che avessimo mai visto. Certo, nella capacità di Sophie di modulare lo spazio giocano molti fattori, tra cui, in primis, la sua maestria nel trattare i materiali e nello scolpire o sagomare le figure, il suo gran gusto per il colore e i materiali e poi, non ultimo, il fascino che la torre, con le sue scalette, i suoi muri rinforzati, le feritoie, i vari piani dello spazio, sanno ricreare.

Ci aspettiamo che uno di questi anni faccia la sua comparsa, dalle finestre della torre, una Rapunzel che lanci la sua treccia al principe che l'aspetta dabbasso. Sophie Fatus, ne siamo sicuri, saprebbe disegnarla meravigliosamente.