lunedì 28 novembre 2011

Arte o illustrazione? L'ipotesi di Pinocchio

Emanuele Luzzati, 1988

In due post di grande interesse (qui e qui) sul suo blog Le figure dei Libri, Anna Castagnoli apre uno spiraglio su quella linea di confine che spesso ha separato il mondo dell’illustrazione da quello dell’arte, intesa la prima come lavoro, mestiere, professione, e la seconda come terra del libero addensamento delle idee, situata nell’esclusivo dominio creativo dell’artista. Ecco che quindi si pensa, in modo del tutto conseguente, che David Hockney agisca da ‘artista’ e Maurice Sendak da ‘illustratore’, proprio per le differenti modalità e intenti del loro agire.
Ma siamo proprio sicuri che questo sia il giusto modo di procedere? Che non sia possibile attivare un differente punto di vista? Che ci siano due modi separati di accostarsi alla figurazione della fiaba (o anche al libro 'con le figure' tout court visto che tra gli esempi che Anna propone in quei post fanno capolino anche Pinocchio e Alice)?

La materia è complessamente scivolosa e anche il dibattito interno alla professione non offre sufficienti punti di riferimento. Così, se Roberto Innocenti rivendica con orgoglio e passione da più di trent’anni il proprio ‘mestiere’ di illustratore, con tutte le sue ragioni tecniche e ‘artigianali’ (anche politiche a dire il vero!), Octavia Monaco ci dichiara che illustrare è “… mettere a punto delle ipotesi di lettura” e quindi si porrà sempre in gioco la propria personalità per sovrapporre la ‘lettura’ personale alla ‘lettera’ autentica originale del racconto punto di partenza.

Lorenzo Mattotti, 2009

Fabian Negrin, 2006
Continuando nell’esemplificazione, come si potranno giudicare i bianconeri corruschi e cupi di Lorenzo Mattotti per il suo Hansel e Gretel: sono ancora illustrazione o già arte? E gli acquarelli astratti, fascinosi e divaganti di Fabian Negrin per Capitan Omicidio? Arte o artigianato? Arte o mestiere?
Il discorso entrerebbe in un pericoloso vicolo cieco e non credo sarebbe facile uscirne se non considerando che gran parte dell’illustrazione di questi anni ha già compiuto quel passo in avanti che Anna Castagnoli riconosce al mondo dell’arte 'ufficiale'. D’altra parte anche gli artisti ‘certificati’ si stanno oggi avvicinando al mestiere in modo diverso e disponibile rispetto al passato. Illustrando libri, ad esempio, che non sono più soltanto oggetti autoreferenziali ma che si confrontano con la libreria e il mercato. Le avventure di Pinocchio di Mimmo Paladino è ancora un libro d’artista oppure libro illustrato con potenzialità commerciale, da libreria? Dal momento che abbiamo constatato come la forbice si sia avvicinata, forse è l’una e l’altra cosa: arte e illustrazione. Risponde sia alle esigenze di espressione libera e individuale, sia a quelle di conquistarsi un pezzetto di mercato. È un’opera autoreferenziale e, al tempo stesso, fortemente riferita.

Mimmo Paladino, 2004

Stessa considerazione potrebbe farsi per tanti altri libri e tanti altri personaggi delle fiabe che si sono già incontrati con il mondo nell’arte in quella terra di nessuno che abbiamo abbozzato. Pinocchio è però la figura che più si presta a fare da banco di prova per testare quanto l’immaginario fantastico sia penetrato a fondo nel cuore degli artisti, perché la creatura di Collodi è sicuramente tra le più visitate, analizzate, chiosate, interpretate della storia della letteratura. Varrà quindi la pena di andare a conoscere un po’ più a fondo quel ‘paese degli artisti’ dove Pinocchio si trova, in tutta evidenza, in bell’agio.


Pinocchio nel paese dell'arte. 1

La rilettura moderna di Pinocchio da parte del mondo dell'arte italiana comincia nel 1981 con le manifestazioni per il Centesimo anniversario della scrittura del libro, che fu occasione di studi, rassegne teatrali, mostre e pubblicazioni. Con una parola oggi di moda si può dire che quella del centenario fu l’occasione per ‘sdoganare’ Pinocchio, per sottrarlo cioè all’esclusivo dominio dell’infanzia e per restituirlo in toto all’arte, al teatro, alla letteratura, ai media.

Ricccardo Dalisi, Totocchio, 2003

Si cominciano, in quegli anni, ad affacciare infatti nell’universo pinocchiesco operatori che fino ad allora se ne erano prudentemente tenuti separati. Il mondo dell’arte aveva avuto pochi contatti anche se, come vedremo, significativi, con Pinocchio. Con il centenario il burattino e i suoi deuteragonisti cominciano ad essere guardati in modo diverso, meno sospettoso e scostante.

Ricccardo Dalisi, 2005

Per merito anche delle nuove ‘letture’ e dei nuovi studi, degli approfondimenti che si andarono allora operando, Pinocchio assunse ruolo pieno di soggetto letterario ‘alto’. E non è certo un caso che da quel momento sia diventato personaggio visitatato costantemente e visitabile da cineasti (Comencini, Benigni), uomini di teatro (Carmelo Bene, Marco Baliani) designers (Lapo Binazzi, Riccardo Dalisi con il suo Totocchio, metà Totò e metà Pinocchio), pittori e scultori sopratutto (Enrico Baj, Mario Schifano, Ugo Nespolo, Fabio De Poli, Mario Ceroli, Mimmo Paladino...).

Pietro Consagra, 1972
Alcuni di questi nomi anticiparono in parte la tendenza. Il Pinocchio di Luigi Comencini è del 1972 e la prima edizione della piece teatrale di Bene del 1976; senza considerare che la creazione del Parco di Pinocchio a Collodi, tra la metà degli anni ‘50 e gli anni ‘70 vide la partecipazione di protagonisti assoluti dell’arte e dell’architettura quali Emilio Greco, Venturino Venturi, Pietro Consagra, Marco Zanuso, Pietro Porcinai, Giovanni Michelucci. Autori importanti che corredarono il Parco di opere a loro modo significative (una citazione di eccellenza, tra le sculture di Consagra, per i quattro conigli che portano la bara di Pinocchio, magnifici nella loro postura dolente e vagamente jettatoria), ma che, dal punto di vista strettamente iconografico, non seppero legarsi a nessuna idea grafica consolidata del burattino e non riescono, anche oggi che il Parco è un successo per numero di visitatori, a dare un’immagine comprensibile e riconoscibile a ‘quel’ Pinocchio.


Venturino Venturi, 1972
A cavallo del 1980 si può comunque datare l’inizio di una nuova fioritura di letture, riletture, interpretazioni, adattamenti che fino al momento in cui scriviamo sembra non volersi interrompere.

Enrico Baj, Andrea Rauch, 1980

Enrico Baj, Andrea Rauch, 1980
Enrico Baj fu convinto ad un intervento teatrale su Pinocchio da Massimo J. Monaco, anima del Teatro Porcospino. Era il 1980 e Baj accettò dapprima con qualche ‘sospetto’ poi con adesione completa.
Baj coglie alcune delle essenze ‘mitiche’ del burattino e intorno a quelle sistema il suo operare. A cominciare dalla scelta ‘teatrale’:
“... preferisco aver avuto a che fare con un un Pinocchio teatrale piuttosto che da libro... la mia opera più che di lettura e di letteratura, di teatro sa, di Commedia dell’Arte, di scene, di quinte, di marionette, di costumi e di maschere, di Pinocchi, di Ubui e di Faustrolli.”
E più avanti: “Si condisca il tutto... con un gran naso in cui riecheggino storia dell’arte, letteratura e politica, dalla Cleopatra di Blaise Pascal ‘se il suo naso fosse stato più corto la storia del mondo sarebbe cambiata’, a Federico da Montefeltro, a Cirano, al gogoliano Kovaliov, al Generale De Gaulle. Il naso è tutto: dal naso inspiri l’aria, l’ossigeno; su pel naso gusti odori e profumi, al punto che spesso si può desiderare d’essere tutto naso, per dirla con Caio Valerio  Catullo: “Quando lo odorerai, pregherai gli dei di farti tutto naso.” E lasciamola lì senza scivolare giù per il pericoloso declivio morfologico che vorrebbe attribuire al naso misura, peso e la maschietà di altri attributi.

Enrico Baj, Andrea Rauch, 1980
Un naso quindi, quello di Pinocchio, che è nudo, nella sua essenza di legno naturale e non agghindato con i broccati, i fronzoli e le passamanerie di cui Baj ricopre il suo mondo ridondante. Pinocchio è nudo perchè essenziale e archetipico, ed ha un gran naso che sta al suo posto, in mezzo alla faccia, ma anche tra le gambe, un pistolino rosso che allude a quella ‘maschilità’ che Baj diceva di voler evitare, ma che appare semmai simbolo di una natura vegetale fertile e madre. Una metafora scoperta che sarà ripresa da Emilio Tadini che eliminerà ogni possibile doppia lettura e ambiguità, tagliando il naso del burattino e cambiandogli decisamente posizione. “La semplicità elementare del trapianto - scrisse Tadini nel 1982 - vuole disseppellire discorsi più profondi, suggerire spostamenti di senso, indicare, sia pure in chiave festosa e innocente, decisive inversioni.”


Emilio Tadini, 1982

Ugo Nespolo cerca invece il suo Pinocchio (1982) nelle pieghe della storia, senza sovrastrutturazioni troppo scopertamente simboliche. Le 20 tarsie laccate a colori squillanti, tipiche dell’opera dell’artista torinese, scandiscono puntualmente Le Avventure. Nespolo disegna Pinocchio in ogni tavola, è lui il protagonista, ma è protagonista miniaturizzato, marginale, quasi inserito e accettato di controvoglia, e rimane in genere ai margini della tavola. Che poi, la tavola, è tutto un trionfo di riferimenti, un mosaico di colore, una spezzettatura festosa e fastosa di arte pop. Pinocchio, vestito a fiori, bianco e arancio, piuma sul cappelluccio a pan di zucchero, è certo marginalizzato e schiacciato dalle porzioni di laccatura, ma, affogato com’è nello squillar di colore, pare proprio non accorgersene. (1. continua)

Ugo Nespolo, 1982

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