giovedì 17 novembre 2011

Perché leggere i classici? Perché illustrare i classici?

Nell’ultimo numero della rivista Liber Roberto Denti dedica un lungo articolo alla recente tendenza dell’editoria italiana di ripubblicare, in nuova veste o in ristampe, di fresco illustrati o ricopertinati, i classici della letteratura. Naturalmente l’occhio di Roberto, che spazia sull’universo del libro, si sofferma con particolare attenzione sulla letteratura per ragazzi, sottolineando quali siano i momenti di maggiore ‘criticità’ della proposta. Luci e ombre quindi.

Long John Silver

Ora, il testo di Denti è talmente condivisibile che non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro e, non essendo stato chiamato direttamente in causa nessuno, si potrebbe evitare di aggiungere parola. Ma l’occasione è ghiotta, e poiché nell’ultimo anno ci siamo ‘piccati’ anche noi di ripubblicare molti  classici della letteratura (non solo per ragazzi!), ci fa piacere mettere, come si direbbe in Toscana, bocca sull’argomento.

D'Artagnan
Roberto Denti conclude la sua lunga argomentazione affermando che i classici “…non vanno esclusi, ma eventualmente proposti a tempo opportuno, comunque dopo che il giovane lettore ha già acquisito interesse e piacere di leggere.”

La conclusione arriva, per Roberto, dopo un lungo argomentare che sottolinea come il tempo della lettura sia radicalmente cambiato negli anni, come i mezzi di comunicazione e di trasmissione delle conoscenze siano del tutto diversi e infinitamente più veloci che in passato, come il rapporto tra ‘racconto’ e ‘ascolto’ sia stato definitivamente modificato dai ritmi televisivi.

Alla stessa conclusione eravamo arrivati, pur con un percorso non così puntualmente definito, in un articolo che abbiamo postato qualche mese fa su questo stesso blog, dove si riportava l’esperienza, non felicissima, del consiglio di lettura ad una nostra nipote adolescente. L’Isola del Tesoro, per noi di altra generazione massimo paradigma di avventura e piacere della lettura, si era rivelato, cito, “… una via impervia, un acciottolato difficoltoso, un sentiero, per lei, da capre…” ed era stato abbandonato dopo un centinaio di pagine. Eppure, la stessa adolescente, attratta da altri, più attuali, mezzi di tramissione del racconto, si è detta immediatamente interessata quando ha visto i primi disegni che Roberto Innocenti sta preparando per lo stesso libro di Stevenson.

Il Corsaro nero

Perché allora noia e disinteresse per lo scorrere del testo e riaccensione dell’interesse per la sua rappresentazione grafica?

Questo è un punto che Denti non affronta nel suo testo, e che invece a noi preme sottolineare: come cioè le componenti immaginarie entrino a far parte dell’elaborazione del racconto e lo arricchiscano, definendolo insieme e al di là della parola e rendendolo diversamente appetibile e fascinoso.
Abbiamo già riportato molte volte l’opinione di grandi illustratori (Brad Holland e Octavia Monaco in primis) che ritengono le immagini una lettura complementare del testo, diversa da quella dello scrittore e, almeno in parte, autonoma. Complementare abbiamo detto, ma non necessariamente convergente o divergente. Certi libri, insomma, sono così grondanti di suggestioni, che sembrano quasi chiedere di essere ‘immaginati’, da ognuno dei lettori e da ognuno degli illustratori che, prima di disegnare, hanno ovviamente percorso la stessa strada della suggestione per restituirla poi con la propria arte.

Ma l’illustratore, si dirà, nella quasi totalità dei casi, è un professionista che ha i ‘mezzi’ per tradurre in figure il proprio immaginario, e la sua esperienza non è totalmente generalizzabile. Vero ma, ci sorregge una citazione dai Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, già altrove ricordata:  “...una edizione illustrata dal pittore Attilio Musini (sic) esiste ma, se ben ricordo, le illustrazioni non sono ben riuscite, o almeno a me piacciono poco. Mi ero formato, da ragazzo, una mia immagine di Pinocchio e vedere poi una materializzazione che era diversa da quella della mia fantasia mi indisponeva e mi rivoltava”. L’immaginario di un artista, anche se non coincidente con il nostro, può stimolare nuove sensazioni e immagini, richiamare una nostra esperienza. L’esempio di Gramsci ci pare decisivo.

Pinocchio

Pinocchio, appena entrato in esempio, è significativo a questo proposito. Digitando le pagine di Google alla voce specifica si potrà verificare come la quasi totalità delle immagini in rete sia derivata dal film di Walt Disney che dovrebbe essere, quindi, il modello di riferimento vincente, quasi assoluto. Eppure, scavando un pochino più a fondo, ci si accorge che le variazioni sul tema  sono quasi infinite (solo in Italia si contano più di centocinquanta  grandi artisti che si sono avventurati  sul personaggio di Collodi e che costituiscono, tutti insieme, una vera e propria ‘storia dell’illustrazione italiana’) e che la nostra idea di Pinocchio, quel ‘figurarselo’, come diceva Gramsci, non solo non viene scalfita da questa pletora di interpretazioni, ma addirittura ne viene arricchita e precisata. Possiamo forse non leggere il libro di Collodi ma con Pinocchio dovremo comunque fare i conti perché va ad occupare un posticino, qualunque sia, nel nostro immaginario.

Tom Sawyer
Allora potremmo dire che la capacità di ognuno di figurarsi le storie (quelle già scritte, intendiamo, i ‘classici’) sarà direttamente proporzionale alla potenzialità suggestiva che ogni storia ha in sé e i mezzi di comunicazione (più lenti, meno lenti, più attuali, meno attuali) avranno importanza relativa. Tutti possiamo immaginarci le ‘figure’ del Signore degli Anelli e la versione cinematografica, lenta, esasperante nel ritmo quasi come il libro, non farà altro che mostrarci la via di un immaginario da far nostro. Che noi possiamo fare nostro in ogni momento. Perché le storie di Frodo Baggins, Jim Hawkins, di Huck Finn, di Tremal Naik, di Heidi, di Alice e Pinocchio potranno sempre essere raccontate; non sono soggette, lo crediamo fermamente, a modi di lettura e di comprensione diversi, né ai trend del momento. Saranno sempre vive e attuali con le immagini che noi, lo vogliamo o no, si sia interessati o meno alla lettura, sapremo suscitare e condensare per loro.

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