mercoledì 30 novembre 2011

Pinocchio nel paese dell'arte. 2

(Arte o illustrazione? 2. continua) Mario Schifano incontra Pinocchio (edito poi da Theoria nel 1992) attraverso Mussino da cui mutua molti disegni e situazioni ma anche da una necessità dinamica di pittura e da un umor cupo che lo porta a muoversi entro segni affannosi e colori fondi.

Mario Schifano, 1992

Il Pinocchio di Schifano è quasi ai limiti della leggibilità e, come nota Achille Bonito Oliva, per goderlo bisogna “... sottrarre le proprie immagini alle melanconiche stazioni narrative cui ci hanno abituato artisti e disegnatori della favola.
Per concludere che “... ci piace questo Pinocchio di Schifano illustrato da Collodi”, segnalando al tempo stesso una profonda adesione e un altrettanto profondo tradimento, che rende l’artista del tutto autore nuovo di parole già dette.

Mario Ceroli, 2001
Mario Ceroli invece arriva a Pinocchio nel 2001 quando costruisce una serie di figure (di legno, c’è bisogno di dirlo?!) a grandezza naturale che si collegano strettamente con il suo percorso artistico ma che pescano anche in maniera gustosa e allusiva nel repertorio iconografico ‘tradizionale’ riproponendo quasi un Mussino, con i suoi gesti enfatici e plateali, in tre dimensioni.

Ceroli si incontrerà ancora con Le avventure di Pinocchio nel 2002 quando per Art’è illustrerà un’edizione del libro, questa volta in punta di penna, tiratura limitata e grande formato, con una prefazione del cardinal Giacomo Biffi, che si avventurerà in una inaspettata esegesi sulla ‘laicità’ e il ‘cattolicesimo’ di Collodi e su quanto di questi valori l’autore di Pinocchio abbia saputo e voluto trasmettere all’opera sua.


Singolare e a suo modo esemplare fu l’esperienza del libro ‘triangolare’ che possiamo definire un atto d’amore per Pinocchio. Nasce da culture e sensibilità diverse e, per certi versi opposte, ma nasce tutta in un perimetro di poche centinaia di metri attorno alla casa natale di Carlo Lorenzini, in via Taddea. È il Mercato Centrale di Firenze, San Lorenzo, e lì, in via dell’Ariento e in via Panicale hanno studio e casa Paolo Favi, Vinicio Berti e Liberia Pini. Di là d’Arno appoggiato al Santo Spirito di Filippo Brunelleschi, lavora Eugenio Malenotti, originale figura di artigiano e artista. Lapo Binazzi, artista, architetto, designer ‘radicale’ percorre ogni giorno in bicicletta quelle vie. Auspice il sesto della combriccola, Fabrizio Gori, il libro ‘triangolare’ pensato da Lapo come omaggio al berretto di mollica di pane, o se volete al naso appuntito e lungo del burattino, ma anche come segno trasgressivo rispetto ad una comune operazione editoriale, viene dato alle stampe non da una casa editrice ma da una trattoria, ‘Burde’, in via Pistoiese, ai margini nord della città, dove si immagina Collodi ambientasse parte delle sue Avventure.

Lapo Binazzi e Paolo Favi, 1982

Il libro è strano e affascinante, si estende nell’opera degli artisti per molti anni all’indietro. Alcuni disegni di Vinicio Berti risalgono al 1954, pressoché coevi a quelli che l’artista aveva preparato per il Gian Burrasca di Vamba; altri, quelli di Paolo Favi, sono tutti del 1981 e raccontano la storia di una sosta forzata per una complicata operazione.

Paolo Favi, 1982

Edoardo Malagigi, 2005
Racconta, il libro, anche storie d’arte e di cultura della seconda metà del secolo scorso, da quell’ ‘astrattismo classico’ che vide in Berti un esponente di spicco, al ‘design radicale’ di Lapo Binazzi, fondatore, nel 1968, degli Ufo, uno dei movimenti più attivi sulla scena culturale interna e internazionale del periodo (alle cui esperienze si rifarà anche, pur appartato, Edoardo Malagigi che, a cavallo degli anni 2000, darà a Pinocchio la veste inconsueta dell'approccio didattico e 'politico' realizzando grandi sculture con confezioni di latte e biscotti serviti anche, e principalmente, non tanto per performance artistiche ma per la colazione dei bambini della ex Jugoslavia).

Vinicio Berti, 1954

Il libro ‘triangolare’, trasgressivo con giudizio, si pone anche come antologia di un periodo e di un’esperienza, o più esperienze, con le tavole di Vinicio Berti (a cavallo come detto tra il 1954 e il 1990) che non sa decidersi se essere pittore, illustratore, o fumettista (nel 1992 sarà pubblicata da Ponte alle Grazie una sua riduzione di Pinocchio a fumetti), tanto la sua storia artistica sembra riassumere tutte le funzioni. Si intravede, qua e là, la memoria di Atomino del “Pioniere” e delle esperienze fumettistiche di Berti, ma anche, in certi fondali delle tavole, la lezione delle scenografie dipinte, all’epoca, da Toti Scialoia.

Francesco Musante ha una visione dell’arte fantasticamente onirica. I suoi personaggi, e Pinocchio tra questi, si agitano su rutilanti fondali di stelle, mezzelune e giocattoli variopinti che sono gli elementi ricorrenti di un sogno (o un incubo?) notturno.

Francesco Musante, 2005

Quello di Musante è un mondo intimo e ‘delirante’, carico di ‘poesia decorativa’, che per certi aspetti può rimandare a Chagall, o a Niki de Saint Phalle, con le figure, quasi sciamani rituali, sospese nella mezz’aria di un colto universo simbolico. Anche Pinocchio, quando entra a far parte di quel mondo, non può non esserne contaminato e stravolto.


Fabio De Poli, 2005
Fabio De Poli dichiara, all’inizio, una sua pregiudiziale e ostinata antipatia per Pinocchio e le pinocchierie. Salvo poi ‘pentirsi’ e ricreare, affascinato dalla carta, dal colore, dalle forbici, dai materiali ‘poveri’ di una pittura sapiente, una specie di racconto per silhouette, dove il ricordo di Mazzanti, ma anche di Mattioli, è spinto in avanti, e trasforma in ritaglio colorato ogni personaggio, come in un gioco di bimbi che hanno imparato, e bene, la lezione di Matisse. De Poli si colloca al lembo estremo di contatto tra l’illustrazione del libro e la pittura dell’opera. Il suo lavoro è l’uno e l’altro. Le scene sono scandite con il ritmo della narrazione e perfettamente inserite nel racconto e anche l’operazione editoriale (Il mio primo libro di Pinocchio, La Biblioteca Junior, 2006), dedicata ai bambini più piccoli, sembra aderire coerentemente ad un mondo infantile di splendida creatività, con i colori vivi del disegno, i vuoti e pieni, quasi gestaltici, delle carte, la fantasia decisamente pop dell’artista che non rinuncia certo a occhieggiare la sua storia professionale e lascia nelle tavole, qua e là, saporosi segni di stile.

Fabio De Poli, 2005
Fabio De Poli, 2005
Fabio De Poli, 2005

Le tavole più significative di De Poli sono comunque quelle dove Pinocchio si prende la rivincita dell’antipatia dichiarata dall’artista e occupa lo spazio in maniera totale, con i suoi spigoli, le sue linee, le sue torsioni dinamiche, dividendo con quelle lo spazio del collage, diventando ombra e controluce, effetto ottico e realtà materiale e tattile.

Mimmo Paladino, 2004

Mimmo Paladino si avvicina invece a Pinocchio nel 2002-2004 (una serie di disegni e una cartella di serigrafie), dopo lunghe visitazioni al Mito, dopo l’Iliade, l’Odissea, Edipo: prima di Don Chisciotte. La pittura di Paladino è mediterranea e profuma di terra, è passionale e appassionata. Segue il filo ininterrotto di una esperienza storica ancestrale.
È una pittura della memoria che non ha bisogno per raccontarsi se non di personaggi archetipici intorno ai quali tessere una propria narrazione autonoma.

Mimmo Paladino, 2004

Mimmo Paladino quindi prende da Pinocchio gli spunti che la sua natura gli suggerisce, li raffronta con la sua arte, li piega al momento. Ispeziona con attenzione quel personale sogno d’infanzia, traccia sulla carta segni quasi su quaderno da scuola elementare, lascia tracce di colore che farebbero la gioia di ogni educatore. Ma non solo, perché Paladino non ha bisogno di uno stile, ma tutti gli stili cerca di piegare alle necessità del racconto e riesce quindi, con una naturalezza che sembra ingenua ma sospettiamo coltissima, a penetrare nei solchi delle Avventure dando alla storia nuova vita e nuova linfa. L’artista gira intorno a Pinocchio, ne indovina le bizze e le generosità, i capricci e i tormenti. C’è gioia in questi disegni ma c’è anche dolore e pena, perché l’infanzia, e quella di Pinocchio prima di tutte, è un ossimoro (lo aveva detto una volta Antonio Faeti), ed è una pena mista a gioia che ci è pur dato sopportare. Con i piedi in fiamme (d’acquarello magari, due segni di pennello e via!), con quel fuoco che brucia, ma, come tutta l’arte terragna e aerea di Paladino, è incapace di far male.

Testo rielaborato da Pinocchio e la sua immagine, di Valentino Baldacci e Andrea Rauch, Giunti editore, 2006.

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