Tullio Pericoli |
Fiesole: il ritratto di Luciano Berio |
Esiste un legame tra ritratto e paesaggio nella sua arte?
Pericoli: Il ritratto è la storia di un individuo mentre il paesaggio esprime, nella sua superficie, la storia di una comunità. Indago le due cose allo stesso modo, cercando di scovare e di scavare quello che c'è sotto la prima pelle. Attraverso il volto, noi raccontiamo la nostra storia, come se ogni giorno scrivessimo la pagina di un racconto. Proprio per questo preferisco fare ritratti di persone con alle spalle un lungo vissuto. Quando dipingo un volto o la natura ho l'impressione di mettere colori non tanto su fogli di carta o sulla tela, ma sul luogo stesso che sto dipingendo.
Una delle sue ossessioni di ritrattista è Samuel Beckett.
Pericoli: Le cose che dipingo sono il mezzo stesso che sta alla base del mio agire come artista. Amo dipingere il paesaggio delle Marche perché lì sono nato: in quella terra ci sono le radici della mia arte. Il volto di Beckett per me ha avuto lo stesso valore: attraverso di esso ho cercato di capire che cosa volesse dire fare un ritratto. La faccia di Beckett è la più bella del Novecento, le sue rughe esprimono tutto quello che ha scritto.
Fiesole: i ritratti di Samuel Beckett |
In Italia chi fa satira non è mai considerato un grande artista. Lei è un'eccezione.
Pericoli: Io non ho mai pensato faccio il disegnatore politico, il ritrattista, il paesaggista, lo scenografo. Tutto si è sviluppato a mia insaputa, di volta in volta. E non ho mai fatto disegno satirico per incidere sulla politica, ma per capire quanto il mio segno fosse un atto critico nei confronti del personaggio ritratto.
Quanto mancano ai suoi disegni le battute di Pirella?
Pericoli: Erano la spinta verso l'atto critico. La complicità con Pirella non è nata perché volevamo capire come la scrittura e la pittura potessero alimentarsi a vicenda. Volevamo entrare prima di tutto da artisti nelle cose che accadevano intorno a noi in quegli anni. Ora, da pittore, tratto comunque argomenti di forte attualità, come il paesaggio. Anche se la pittura isola dal reale.
Giuliano Rossetti e Tullio Pericoli nella redazione di Repubblica |
Giuliano Rossetti: Mi ha interessato e colpito molto il tuo lavoro da scenografo.
Pericoli: Non ho fatto altro che trasferire i miei disegni sul palcoscenico. Tutto è dipinto, dai fondali ai bottoni dei costumi. Niente era reale, però tutto era verosimile. Non mi interessa il realismo ma creare con i miei disegni un'atmosfera.
Lido Contemori: Hai indagato tutte le tecniche possibili: che rapporto hanno avuto con la tua ricerca interiore?.
Pericoli: C'è stato un momento in cui critica e artisti si sono chiesti: dove va l'arte? Io non capisco questa domanda, perché nel mio lavoro non c'è stata mai una progettazione che ha imposto tecniche sulla base di concetti.
Francesco Chiacchio: Il tuo lavoro sugli autoritratti di Rembrandt e su Paul Klee fanno emergere il tema del 'rubare' da un artista che ci ha preceduti.
Pericoli: Quei lavori sono indagini sulla pittura altrui attraverso la mia. Studiando le acqueforti di Rembrandt ho cercato di capire come appoggiava e sollevava il bulino, quanta anima e libertà ci mettesse. È come se avesse trasferito il cervello nei polpastrelli. Di Klee ho voluto capire il meccanismo della costruzione dei suoi dipinti. Nel catalogo relativo a quella mostra pubblicammo un dialogo molto bello con Calvino sui furti ad arte nella letteratura e nella pittura.
Andrea Rauch: Il 'rubare' è anche una scelta, un percorso che porta ad un obiettivo al quale non si arriverebbe mai da soli.
Pericoli: Infatti negli anni in cui studiavo Klee mi accorsi che i miei disegni politici per l'Espresso si arricchivano. Io e Calvino parlavamo di vero e proprio furto con scasso, cioè scardinare un metodo e carpirne il segreto. Devi rubate il suo per trovare il tuo. In questo senso, il furto è diverso anche dall'imitazione che è appropriazione indebita di uno stile altrui. E poi il derubato ne guadagna: abbiamo capito il vero Cezanne solo quando Picasso l'ha saccheggiato col cubismo.
Le manca la dimensione del giornale quotidiano?
Pericoli: Sì, perché disegnare per i giornali o per i libri è come tornare al periodo più splendente dell'arte, il Rinascimento, quando i pittori interpretavano il loro tempo attraverso le opere. Oggi fare l'artista significa lavorare per un pubblico che non esiste, significa avere a che fare soprattutto con mercanti e collezionisti. Quando sono da solo nel mio studio, spesso mi chiedo: a chi sto parlando? Chi c'è dall'altra parte?.
Le sono mai capitate commissioni che non le interessavano?
Pericoli: Dopo una laurea in legge mancata, mi trasferii a Milano per inseguire il mio sogno di disegnatore. Nei primi anni ho fatto tutto quello che mi capitava. Anche a " Il Giorno" disegnavo di tutto, pure le cartine geografiche. All'inizio bisogna adattarsi e faticare, non si può scegliere.
Fiesole: Tullio Pericoli dedica un suo libro |
Su un quotidiano, che rapporto deve esserci tra immagine e articolo?
Pericoli: Io ho sempre cercato di rovesciare il rapporto di committenza perché non mi considero un illustratore ma un pittore per giornali. Ho sempre trovato faticoso l'iter che prevede la telefonate del direttore di una testata che ti affida un lavoro secondo precise esigenze, ho preferito pensato alle mie opere come a qualcosa che sarebbe servita anche a me. Quindi ho sempre prodotto una quantità di disegni in modo che la committenza potesse attingere a suo piacimento. Combatto la definizione di illustratore, perché illustrare significa dare luce a un testo, è una posizione gregaria. Invece la lingua scritta e quella disegnata devono arricchirsi l'una dell'altra.
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