sabato 30 luglio 2011

Paese di fiaba

Il suo marchio distintivo, una vera e propria ‘ragione sociale’, Sarmede la dichiara fin dalla targa stradale d’ingresso: paese della fiaba. E infatti molta dell’attività culturale del Comune, a pochi chilometri da Vittorio Veneto e da Conegliano e ai piedi dei colli che portano al parco del Cansiglio, ruota intorno alla Fondazione che, dedicata all’opera del grande Stepan Zavrel, organizza, da ormai quasi trent’anni (siamo giunti infatti alla 29a edizione) la mostra internazionale di illustrazione per l’infanzia Le immagini della fantasia.


La mostra, organizzata per la prima volta, nel 1983, per raccogliere le opere di Zavrel e dei suoi amici in un’esposizione quasi familiare e conviviale, è cresciuta ormai a tal punto, da essere diventata un appuntamento irrinunciabile nel panorama dell’illustrazione internazionale. L’edizione di quest’anno, che aprirà il 22 ottobre e si protrarrà fino al 18 dicembre, esporrà le opere di 40 illustratori. Ospite d’onore sarà Linda Wolfsgruber, artista altoatesina che vive a Vienna, collaboratrice storica della Fondazione, già vincitrice di una Mela d’Oro alla Bib di Bratislava e ‘nominata’ nel 2010 per l’Ibby Andersen Award.

Come tradizione la mostra, dopo la tappa di Sarmede, si sposterà in altre città ‘satelliti’ e continuerà il suo tour per tutto l’anno. Avremo dunque modo di riparlarne.

Stepan Zavrel
La mostra d’illustrazione non è comunque l’unica attività annuale della Fondazione, anche se ne costituisce il fulcro e l’interfaccia più significativa.  Si cerca infatti, ad esempio, di valorizzare in ogni modo il patrimonio ‘pubblico’ di dipinti e affreschi murali che Zavrel, e poi molti artisti amici della Fondazione, hanno lasciato sulle facciate delle case del paese, con un progetto di cura e catalogazione che aspetta di essere portato in libro (è però visibile on line). Sono opere belle e fantastiche, che punteggiano i muri del paese e raccontano storie e storia. Una sorta di contrappunto visivo imponente che passa dalle visioni oniriche  di Zavrel, comunque una sorta di ‘spirito guida’ del paese, alle figurazioni raffinate a metà strada tra il pop e il decò di Vico Calabrò, ai delicati arpeggi visuali della solita Linda Wolfsgruber.

Stepan Zavrel
Vico Calabrò

E per sottolineare come la comunità sia non solo la ‘tela’ di supporto, ma anche parte diligente nell’iniziativa, ecco che i portici del Palazzo Comunale riportano le storie dei santi significativi della zona, dipinti da Jozef Wilkon.



Jozef Wilkon

I grandi Caterpillar, in uno spiazzo accanto al Palazzo comunale aspettano quasi impazienti di cominciare gli scavi per la costruzione del nuovo palazzo della Fondazione, che si spera pronto per il 2012 e che ospiterà mostra e eventi collaterali.

Al momento i corsi che vengono organizzati (dedicati alle sfumature del mondo dell’illustrazione, dalle tecniche di base, alla pratica dell’incisione, dall’uso dei materiali all’elaborazione di progetti editoriali) si svolgono con cadenza settimanale in primavera-estate e in autunno e sono frequentati annualmente da oltre trecento giovani illustratori. Troppo lungo elencare i singoli workshop e per approndire non ci resta che rimandare al sito dedicato; qui si potranno comunque citare alcuni degli insegnanti che si avvicendano  nell’attività e che sono, non ci sarebbe bisogno di aggiungerlo, tra i professionisti migliori e più autorevoli. Un po’ alla rinfusa possiamo ricordare, per il 2011,  Svjetlan Junakovic, Octavia Monaco, Alessandra Cimatoribus, Chiara Carrer, Annalaura Cantone, Maurizio Olivotto, oltre a Eva Montanari e Linda Wolfsgruber, i cui laboratori abbiamo visitato in questi giorni.

Eva Montanari



Linda Wolfsgruber





Intorno ai fogli di carta, alle macchie di colore, alle matrici per la monotipia, ai ritagli di cartoncino colorato, si respira l’attività tranquilla e serena delle giovani allieve della Scuola (quasi tutte donne!) che, nelle pause, possono uscire fuori e disegnare en plen air, oppure affacciarsi dalle finestre e godere dei panorami verso la valle che scende a Venezia o i monti che salgono al Cansiglio. E su tutto si aggira ancora lo spirito di Stepan Zavrel, imprenscindibile e irrinunciabile genius loci.

Stepan Zavrel

giovedì 28 luglio 2011

Illustratori in viaggio


Libero Gozzini
Inaugura il 30 luglio alle ore 19, e sarà aperta fino alla fine di Agosto, la mostra di illustrazioni che la Libreria Cibrario di Acqui Terme dedica al tema del Viaggio: percorsi fisici e mentali.
Giovani illustratori e celebrati maestri in un mélange di scontro e confronto tra vecchie e nuove esperienze grafiche.

 
Guido Scarabottolo

Guido Scarabottolo

In mostra: Ivano Antonazzo, Cecilia Arata,  Maria Cecilia Azzali, Serena Baretti, Gabriele Barrocu, Federica Buffa, Khara Burgess, Giancarlo Carloni, Max Casalini,  Conc, Gianni de Conno, Alexia D'onofrio, Bianca Fabbri, Michel Fuzellier, Paola Garilesi, Libero Gozzini,  Melmartita, Francesca Nini, Andrea Rauch, Nadia Sajed-Ali, Guido Scarabottolo, Tomislav Spikic, Rodolfo Viganò, Silvia Zaccaria, Francesca Zoboli.

Gianni De Conno

Gianni De Conno

Gianni De Conno

Francesca Nini

Francesca Nini
Conc

Conc

mercoledì 27 luglio 2011

Teatro di strada a Veroli


Alessandro Gigli

Gli incontri suggeriscono e facilitano i comportamenti, e quindi non è certo un caso se, in concomitanza con la pubblicazione di Di crude e di cotte, ci siamo dedicati con assiduità al teatro di strada, rinverdendo un antico amore, che covava forse, silenzioso da gran tempo, sotto la cenere.

Alessandro Gigli, d’altronde, autore dei testi di questo nostro libro, è figura ‘storica’ e fondamentale del Terzo Teatro (che lui definisce ormai Quarto Teatro, lo avevamo già accennato in un post precedente) ed è direttore artistico, oltre che di Mercantia, di cui ci siamo recentemente occupati, anche di Incanti e Banchi e La luna è azzurra, due festival molto noti in Toscana, e del Festival del Teatro di Strada di Veroli, in provincia di Frosinone, che prende il via giusto giovedi 29  prossimo per concludersi domenica 31 luglio.

Nel corso di queste giornate Alessandro Gigli presenterà il suo libro sia a Veroli, venerdi prossimo, alla Libreria Ubik, alle ore 11 e a Frosinone, sabato mattina, sempre nella Libreria Ubik, e sempre alle ore 11.


Essendo Gigli uomo di teatro, contastorie e fabulatore ci aspettiamo che la presentazione sia un vero e proprio happening, con momenti di recitazione, di divertimento e di coinvolgimento del pubblico.

Disegni di Andrea Rauch per Di crude e di cotte di Alessandro Gigli, 2011

lunedì 25 luglio 2011

Maestri 2. Iela Mari



Gabriela Ferrano detta Iela, nasce a Milano nel marzo del 1931. Frequenta il corso di pittura  all'Accademia di Brera, dove incontra Enzo Mari, che frequenta il corso di scenografia, con cui si sposa nel 1955. Dalla loro unione, durata fino al 1965, nascono due figli, Michele e Agostina e, dalla loro collaborazione artistica, molti libri importanti, da L'uovo e la gallina a La mela e la farfalla, tutti pubblicati originariamente dalle Edizioni Emme. Attualmente vive a Milano.
I suoi libri sono pubblicati in Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Germania, Giappone, Taiwan, Corea. In Italia è presente nel catalogo di Babalibri.


La natura ci salverà?

Prima di deporre l’uovo la gallina si fruga con il becco tra le penne morbide della pancia, ne stacca qualcuna e prepara un giaciglio. Poi depone l’uovo già fecondato. Nella prima tavola, di sfuggita, compare anche il gallo, appoggiato a sinistra in alto nella pagina, ma scompare subito dalla scena.
Non ha molta importanza per lo svolgimento della storia, che si sviluppa secondo l’ordinato scorrere naturale. Il pulcino si forma dentro l’uovo, sviluppa i suoi organi, le piume, il becco, le zampine e alla fine rompe il guscio che lo ha protetto fino allora. Siamo stati attenti, fino a questo momento, a quanto sta succedendo all’interno dell’uovo: le fasi della crescita e dello sviluppo del pulcino sono disegnati in sezione e noi possiamo essere testimoni di questa essenziale  operazione sia narrativa che ‘di progetto’.

Di progetto, certo, perché le tavole gialle e nere che precedono la nascita, e che si suppongono sezionate all’interno della gallina, sono elaborate come veri e propri disegni progettuali, apparentemente così precisi da rasentare la freddezza.

L’operazione è però anche, abbiamo detto, narrativa e quindi uno degli elementi che concorre alla definizione della storia è lo scorrere del tempo. Antefatti, nascita, formazione e apprendimento del pulcino potremmo dire, che, appena è sufficientemente forte da rompere il guscio, zampetta subito a becchettare qua e là e si rifugia al caldo sotto le penne ospitali della mamma chioccia. Il pulcino cresce, si irrobustisce, si appresta a diventare galletto, o gallina non sappiamo, e la sua dieta non è più limitata ai semi che si trovano in terra ma comprende adesso insetti che volano e vermi che strisciano. Fine della storia che è, come è facile capire, al tempo stesso didattica e poetica. Didattica perché, senza l’ausilio delle parole, ci racconta con grande esattezza di particolari e precisione scientifica, un ciclo naturale essenziale, poetica perché proprio da quella precisione ‘scientifica’ il racconto prende forma e sostanza diventando poesia.

C’è poesia, infatti, nello sguardo d’insieme e nell’affettuosità dei particolari (la gallina che si spiuma per preparare il giaciglio, la lenta fase della cova, l’incertezza della nascita e dei primi zampettìi), ma anche poesia nel tratto che, modulato soltanto nei toni del giallo e del nero (con rari accenni di rosso), cerca di non lasciarsi sopraffare dall’emozione stupefatta del ‘miracolo’ della nascita ma mantiene sempre quel tono misurato, quel sereno understatement, che ne costituisce il gran fascino e la portata, appunto, poetica.

Naturalmente quanto detto e raccontato per L’uovo e la gallina può essere riportato, mutatis mutandis, anche agli altri libri di Iela Mari, dal primo, La mela e farfalla, all’Albero, uno dei risultati che, nell’ottica che andiamo delineando, sembrano più maturi.

Dentro la mela c’è il verme che si apre una strada per uscire all’aperto, si sviluppa, cresce, diventa bruco. Si ferma su un ramo del melo e comincia a tessere il bozzolo che ne permetterà la trasformazione in farfalla. La farfalla spiega le ali e vola di nuovo verso l’albero di melo, ora ricoperto di fiori bianchi, Su un fiore, destinato a crescere e a sviluppare la mela, la farfalla deporrà il suo uovo, un piccolissimo segno rosso, e mentre il frutto cresce e da verde si ipotizza diventi di un bel rosso maturo, l’uovo si svilupperà diventando di nuovo verme, di nuovo bruco, e poi di nuovo bozzolo e di nuovo farfalla. E la storia non può che ricominciare, anche qui senza parole, ma con una precisione narrativa che non ce ne fa certo sentire la mancanza.




Dove comunque Iela Mari riesce a far quadrare in maniera quasi perfetta il cerchio della sua ‘ideologia’ grafica è in un libro del 1973, l’Albero, che riassume gli elementi fin qui evidenziati.

Gli attori sono un grande albero, uno scoiattolo, un nido di uccelli, il passare delle stagioni con i cambiamenti morfologici, cromatici e di comportamento  che esso postula e impone. L’albero è bianco, sotto la neve, spoglio, e lo scoiattolo è rintanato sottoterra per proteggersi dal freddo. L’arrivo della primavera fa rinverdire l’albero, lo scoiattolo esce dalla tana e si arrampica tra i rami, gli uccelli arrivano e fanno il nido. Con l’estate e poi con l’autunno le foglie diventano rosse, ingialliscono, cadono e gli uccelli volano via in cerca di terre calde. Lo scoiattolo, fatta la sua provvista di nocciole, torna a rinserrarsi nella sua tana. Arriva di nuovo l’inverno e tutto torna bianco, scheletrico, immobile. Si aspetta di nuovo la primavera, in un ciclo immutabile.


I personaggi della storia e i loro movimenti quasi impercettibili sono ripresi da una ‘camera fissa’, frontale. Tutto è naturale e immutabile, si pensa; nulla potrebbe turbare quell’equilibrio perfetto e tutto cambia perché tutto possa tornare come prima, in un esemplare ciclo dell’eterno ritorno.
La storia di Iela è, però, anche un inno alla speranza, alla capacità della natura di provvedere a se stessa in modo assoluto, lontana com’è, ieraticamente distante, dalle frenesie di trasformazione che arrivano insieme alla presenza dell’uomo.

Nello stesso anno in cui Iela Mari disegnava l’Albero, Jorg Muller dava alle stampe il suo Dove c’era un prato in cui la stessa ‘camera fissa’ registra le variazioni, allo scorrere del tempo, della campagna che diventa zona industriale, raccordo autostradale, parcheggio di supermarket. In anni molto più vicini a noi Roberto Innocenti, con la medesima ‘camera fissa’, ha raccontato un secolo e più di vita di una casa colonica a mezza costa, con il passaggio delle epoche, naturali, sociali e politiche, che ne hanno determinato il cambiare e il deteriorarsi.
In tutti questi libri lo scorrere del tempo provoca un cambiamento, ma solo nel libro di Iela Mari non si registra la delusione e il dramma. Che la salvezza sia davvero nella natura?

Andrea Rauch, La natura ci salverà?, in Iela Mari, Il mondo attraverso una lente, Babalibri, 2010.

sabato 23 luglio 2011

Una nuova storia di Münchausen

Il Barone di Münchausen è un libro collettivo, nato intorno ad una tavola dove un narratore millantava imprese incredibili suscitando l'ammirazione e il divertimento degli ascoltatori. Le avventure ebbero varie stesure, nel corso degli anni, aggiunte, interpolazioni, chiose, variazioni, tanto che è oggi molto difficile individuare una versione sicuramente 'autentica'.
Forse per questo, durante la recente presentazione del libro, edito da Prìncipi & Princípi e illustrato da Libero Gozzini, presso la Libreria Cibrario di Acqui Terme, gli stagisti della libreria, che avevano aiutato a organizzare la serata, hanno pensato bene di aggiungere una loro avventura al corpus del libro. La pubblichiamo volentieri, facendo un pensierino se inserirla o meno in una prossima, auspicabile, edizione del libro.

Illustrazione di Libero Gozzini

Il Barone e le cavallette

Oh, Barone di Münchausen!, raccontaci di come salvasti l'antica città di Venezia, dove eri presente come ambasciatore, grazie ad una catapulta e ad una forma di parmigiano.

Certamente, mi ricordo di quell'impresa. Ero ambasciatore nella magnifica città di Venezia, su richiesta del doge in persona. Nel periodo in cui vi soggiornai, accadde che una miriade di cavallette sconvolgesse la popolazione della città, ma non erano comuni cavallette bensì le temibili cavallette rosse conosciute perché divoravano il formaggio. Queste si aggiravano per i canali e le piazze della città in grandi sciami, alla ricerca del loro prelibato nutrimento. Ma a Venezia il formaggio scarseggiava e per questo si rischiava che gli insetti mettessero a ferro e fuoco la città.
Io, che grazie alla mia esperienza, conoscevo un famoso produttore di formaggio nella città di Parma, mandai un messo della mia delegazione a procurarsi una grande forma di Parmigiano che potesse bastare per tutte le cavallette. Nel mentre, dovevo trovare una soluzione temporanea per allontanare le creature dalla città e, nel contempo indirizzarle verso lontani paesi orientali ricchi di formaggio, obiettivo della loro migrazione. Un'opera che sarebbe stata impossibile per qualunque altra persona normale, ma non per me, che, costruita una catapulta, la cosparsi di sali al formaggio e ve ne disegnai sopra una forma. Le cavallette attratte dall'odore e dall'aspetto si riunirono sulla catapulta, e in questo modo le potei scagliare lontano. Il giorno dopo il messo tornò con la forma di parmigiano, che scavai all'interno in modo da creare una trappola infallibile. La posizionai di fronte alle porte della città con il coperchio alzato. Quindi, le cavallette attirate dal formaggio e aiutate dal mio soffio si ammassarono all'interno della forma, che sigillai dopo che anche l'ultima cavalletta fu entrata. Sigillato il coperchio, mi liberai della forma con un calcio che la diresse a oriente.
I cittadini mi celebrarono con grandissimi doni e eccezionali onorificenze, ed è soprattutto grazie a queste che ricordo la storia con grande nitidezza.

martedì 19 luglio 2011

Maestri 1. Maurice Sendak


Nato a Brooklyn, New York, nel 1928, Maurice Sendak illustra il suo primo libro nel 1947. La fama mondiale arriverà nel 1963, con la pubblicazione di Where the wild things are, cui seguiranno gli altri capolavori: In the night kitchen e Outside Over There. I suoi disegni, dalla fine degli anni Settanta, sono conservati presso il Rosenbach Museum & Library in Philadelphia. Alla fine degli anni '80 il Salone del libro di Montreuil gli dedica una grande retrospettiva, Autour de Maurice Sendak, preparata da Paola Vassalli e Michèle Cochet, che sarà presentata anche in Italia, alla Fiera del libro di Bologna nel 1988 e, subito dopo nei locali espositivi dell'ex Birra Peroni a Roma. In Italia i libri più importanti di Maurice Sendak furono pubblicati su iniziativa di Rosellina Archinto, per le sue Edizioni Emme, e oggi sono riproposti in catalogo da Babalibri.


M. Sendak, Where the wild things are, Harper & Row, 1963

Quello che ha sempre, immediatamente, colpito nell’opera di Maurice Sendak è l’estrema inattualità del segno. Le sue tavole quasi mai si collocano, infatti, in un’epoca precisa, valutabile e riconoscibile, tecnicamente, a colpo d’occhio, bensì in una sorta di universo senza tempo dove la realtà è soltanto immaginata e filtrata attraverso la nostalgia dei sentimenti.

Autour  de Maurice Sendak, Montreuil, 1987

L’infanzia passata nelle vie di Brooklyn, le memorie familiari, le letture infantili, le nursery-rhymes, i fumetti colti e quelli popolari (Little Nemo e Mickey Mouse, per la precisione) vengono quindi continuamente mescolati in quella specie di pentolone ingordo e ribollente che è l’immaginario dell’artista e ne escono trasfigurati e rigenerati.
"La mia infanzia americana – ricorda – si compose di elementi disparati, aggregati stranamente, un’infanzia colorata di memorie di cose mai vissute direttamente... una vita di fantasia sfaccettata..."

M. Sendak, Grimm Fables,  Farrar, Strauss, Giroux, 1973
Le influenze grafiche e le memorie di vita si piegano, di conseguenza, con naturalezza e con facilità a formare qualcosa di sospeso a mezz’aria, levitante nel tempo e nello spazio. E con questo immaginario senza tempo la resa tecnica sintonica non può che essere quella di un disegno senza tempo.
L’inattualità di cui Sendak ci costringe a parlare è dunque assoluta, proprio perché situabile ovunque e in nessun luogo; ed è quella che rende la matita dell’artista sempre e completamente attuale. Universale, per usare soltanto una parola.

Resta comunque viva l’impressione che Sendak non usi, nel suo operare, un codice grafico in sintonia con la propria epoca ma vada a cercare altrove i propri riferimenti; nelle sgorbie e nei bulini della xilografia popolare, a esempio; oppure nei colori appannati e bruscolati della cromolitografia. Modi tecnici in qualche misura desueti, certo inattuali se non fosse che l’artista li rigenera, timbrandoli con la propria personalità e usandoli in maniera tutt’altro che prevedibilmente riferita.

M. Sendak, Higglety Pigglety ..,  Farrar, Strauss, Giroux, 1967
Higglety Pigglety Pop, per fare un esempio. Il segno è graffiato, tratteggiato finemente, lavorato con abilità artigianale e puntualità degna del migliore e più accurato Ottocento. Sono tavole in bianco e nero che mimano l’acquaforte, trattate in punta di penna, appoggiate con un fitto reticolo di segni sul foglio bianco. Artisticamente Higglety è una parodia tecnica d’alta classe. La storia, invece, lieve e delicata, si snoda tra le avventure di Jeannie (la cagnetta dell’artista) e la riscrittura, in forma di teatro, di una famosa nursery-rhyme.

M. Sendak, Higglety Pigglety ..,  Farrar, Strauss, Giroux, 1967
Higglety Pigglety Pop!
The dog has eaten the mop!
The pig’s in a hurry
The cat’s in a flurry
Higglety Pigglety Pop! 


Sendak, sulla falsariga del pifferaio di Hamelin, spinge e/o trascina dove vuole i suoi piccoli topi lettori. Con la sua abilità cerca di mandarci fuori strada; seguendo i richiami della tecnica rischiamo di perdere di vista la carica affettuosa, di partecipazione, che lega l’artista alla sua opera. Sbandierando sotto i nostri occhi la perfezione virtuosistica (desueta, ottocentesca) e apparentemente surreale del disegno, Sendak ci nasconde quasi con pudore i significati più intimi e privati del racconto.
Quando si riesce a scavare al di sotto dell’esteriore, con un percorso difficile e nascosto, si può gustare insieme il frutto di un’avventura grafica ricchissima e di un fatto narrativo che appagano e gratificano.

M. Sendak, Mr. Rabbit..,  Harper & Row, 1962
È lo stesso procedimento che l’artista usa per Mr. Rabbit and the lovely present. Prati verdi, spruzzati qua e là di rosso, di giallo, di blu, secondo quanto richiede la storia.
Velature di acquerello continuo, toni sovrapposti. Eppure qualche segnale di difformità riusciamo ad avvertirlo. Sendak semina, all’interno della tecnica espressiva, trappole formali che servono da avvertimento; un ponte sbilenco, una porta con la prospettiva falsata, ci dicono con la chiarezza dell’ambiguità che il vero intento dell’artista è quello di creare un’atmosfera che comunque è distorta, irreale, irriferita. Diversa.

M. Sendak, Mr. Rabbit..,  Harper & Row, 1962
Il Signor Coniglio e la Bimba demodé discutono su che cosa regalare alla mamma per il suo compleanno e intanto, novella Alice e novella Lepre Marzolina, passeggiano in un privato Paese delle meraviglie che trova un primo riferimento grafico nell’impressionismo di Claude Monet e si collega poi a certe ingenue vedute acquerellate che ancor oggi capita di vedere nei salotti perbene.

Mr. Rabbitt and the lovely present, proprio per questo immergersi un un mondo stranito e fantastico, è il prodromo necessario ai due più importanti libri di Maurice Sendak: Where the wild things are e In the night kitchen.

Maurice Sendak, Where the wild things are, Harper & Row, 1963




In entrambi i casi la partenza è piana e usuale. Il bambino Max e il bambino Mickey nelle proprie camere da letto, alle prese con le gioie, le ansie, le paure quodidiane. I giochi, il sonno. In entrambi i casi la camera è il punto di partenza e il passaggio essenziale verso universi dove si approda, si agisce, e da dove si ritorna (nella propria camera, appena in tempo per la cena; nel proprio letto, sazi e assonnati) più ricchi e maturi.
Maurice Sendak, In the night kitchen, Harper & Row, 1970

L’isola dei mostri selvaggi e la cucina di notte sono due metafore evidenti per alludere alla crescita e alla maturazione del bambino. "Sin dalla più tenera infanzia i bambini convivono con emozioni dirompenti... paura ed ansia fanno intrinsecamente parte della loro vita quotidiana... devono confrontarsi meglio che possono con continue frustrazioni. Proprio attraverso la fantasia i bambini giungono alla catarsi. È il migliore strumento per dominare le Cose Selvagge."

Autour  de Maurice Sendak, Montreuil, 1987

L’ironia è poi la chiave essenziale per la comprensione piena dell’opera di Maurice Sendak. Qualunque elemento disegnato, anche il più volutamente retorico, è abbassato di tono, reso partecipato. Quando il disegno si arrampica verso impervi funambolismi formali, qualcosa sembra convincere sempre l’artista a tornare a terra per riavvicinarsi al lettore.


M. Sendak, Outside Over There,  Harper & Row, 1981
 

Così, nelle raffinatissime tavole di Outside Over There, alla fissità delle situazioni di partenza (la madre e il pastore tedesco che guardano dal giardino verso il mare) si contrappone, necessario pendant, un momento di rottura narrativo; Baby che piange a pieni polmoni, in un angolo, oppure la natura che avanza invadente dalla finestra; o il veliero, fuori dalla stanza, che affronta una tempesta via via più minacciosa.

Autour  de Maurice Sendak, Montreuil, 1987

Sendak conosce molto bene il suo lettore, sa come incatenarne l’attenzione, quali corde toccare perché ogni tavola abbia uno scarto, un livello di lettura diverso dalla precedente. E procede quasi nascondendo la storia in tavole dalla lettura doppia (primo piano e campo lungo, a esempio, dove tutto si svolge in modo complementare e parallelo), cariche di significati ironici (il bambino di ghiaccio che si scioglie sotto gli occhi di Ida), addirittura iniziatici (la 'stolta' Ida che inizia il cammino per ritrovare Baby rapita dai goblins librandosi in aria e assumendo, secondo un simbolismo tutto ebraico, un grado di conoscenza sciamanica che le permetterà di riuscire nel suo compito). Tutto questo, naturalmente, tradotto in disegni accurati e puntigliosi. Se non che anche qui i segnali sparsi nelle tavole ci mettono sul chi vive. Certe teste troppo grosse, certi piedi troppo lunghi altro non sono che l’ideale protrarsi di una visione infantile del mondo, un mondo a somiglianza di bambino dove la testa è sempre più grande delle spalle.

Stephen J. Gould, in un suo famoso saggio di qualche anno fa, afferma che il rapporto tra la circonferenza della testa di Mickey Mouse e il resto del corpo è variato con il passare degli anni. E che via via che il rapporto è passato verso la normalità (leggi testa più piccola) Mickey ha perso il suo originario carattere anarcoide-avventuroso (bambino) per diventare assennato e calcolatore (adulto).
Allo stesso modo i personaggi di Sendak conservano le misure antropometriche dell’infanzia; un segnale in più che ci avverte di come l’universo rappresentato non sia reale, ma immaginario come quello pensato da un bimbo. E se la perfezione del disegno ci fa gridare all’iperrealismo, i piedi troppo lunghi di Ida ci avvertono che il pifferaio ci sta di nuovo portando via, dove la realtà è illusoria fata morgana.

Testo tratto da: Andrea Rauch, Il mondo come Design e rappresentazione, Usher Arte, 2009.