martedì 4 ottobre 2011

Le suggestioni di Pinocchio

Enrico Mazzanti, 1883

In una lettera dal carcere del 27 giugno 1932 Antonio Gramsci scriveva: “...una edizione illustrata dal pittore Attilio Musini (sic) esiste ma, se ben ricordo, le illustrazioni non sono ben riuscite, o almeno a me piacciono poco. Mi ero formato, da ragazzo, una mia immagine di Pinocchio e vedere poi una materializzazione che era diversa da quella della mia fantasia mi indisponeva e mi rivoltava”.

Attilio Mussino, 1911
Con ogni probabilità Gramsci aveva, inconsciamente o consciamente, intuito la struttura vera delle Avventure di Pinocchio che è libro evocativo e suggestivo piuttosto che descrittivo, testo che molto, moltissimo, lascia al rapporto tra lettura e fantasia individuale; basti considerare l’indeterminatezza, quasi onirica, del paesaggio dove si collocano Le avventure.

Dove si muove Pinocchio, per quali strade, per quali campi, per quali paesi? Certo è apparentemente facile la risposta. Per dirla con Antonio Baldini l’universo di segnali che affollano e affannano il lettore non possono che riferirsi a un unico posto, dove è possibile ritrovare paesi bui e vecchietti stizziti con il berretto in testa, case porticate con dietro il bindolo e la cisterna per annaffiare gli ortaggi, e colazioni a base di caffellatte con i panini imburrati di sotto e di sopra: “... il gusto di cose viste in Toscana; e viste per di più nella beata Toscanina di Leopoldo”.

E qui però ci si arresta anche se, a ben vedere, il punto di partenza (libro evocativo o descrittivo?) è stato appena sfiorato. Ci siamo fermati all'atmosfera di fondo, ma Pinocchio continuerà purtuttavia a muoversi in un paesaggio che non ha definizione. Collodi usa il particolare, la citazione, l’accenno, in assoluta libertà, senza preoccuparsi dell’effetto che potrà suscitare nel lettore. La ‘strada’, i ‘campi’, hanno sostanza in rapporto all’uso, linguistico e suggestivo, che il Burattino, o gli altri personaggi, ne potranno fare: “E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perché quel birichino di Pinocchio andava a salti come una lepre, e battendo i suoi piedi di legno sul lastrico della strada, faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini”.

Piero Bernardini, 1935

E ancora: “...quel monello di Pinocchio, rimasto libero dalle grinfie del carabiniere, se la dava a gambe giù attraverso ai campi, per far più presto a tornarsene a casa e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua...”. Gli esempi potrebbero essere numerosissimi.

Carlo Chiostri, 1901
Un paesaggio, uno sfondo per le Avventure che non vuole avere contorni reali ma che si anima al momento in cui l’azione ne ha bisogno. E si torna al punto di partenza quando si riflette che in fondo anche i personaggi stessi mancano di una propria realtà descrittiva, di una determinazione cromatica che ne precisi contorni e limiti. Una mancanza di determinazione e di descrizione che salta agli occhi.

“... la gente che era per la via... – ne ebbero a scrivere Fruttero e Lucentini – Di quando è questa gente? In che epoca è ambientato il racconto? La questione ha sempre diviso e continua a dividere i suoi illustratori, che devono pur datare in qualche modo i panni da mettere addosso ai personaggi, per poveri e rattoppati che siano. Per Pinocchio stesso, col suo immortale berrettino di midolla di pane e il suo vestituccio di carta fiorita il problema non si pone; e non si pone che a metà per la Bella Bambina dai Capelli Turchini, la quale (ma si saprà soltanto dopo) “non era altro in fin dei conti, che una bonissima fata”. Ma come dobbiamo figurarci Maestro Ciliegia, Geppetto e gli altri personaggi in borghese, dalla “gente per via”, appunto, ai ragazzetti della “scuola comunale”, o al “rivenditore di panni usati”, che compra per quattro soldi l’abbecedario del burattino?”.

Luigi Cavalieri, 1924

Paradossalmente è proprio per questa evidente difficoltà di interpretazione che Pinocchio è libro adattissimo ad essere illustrato. Per dare sostanza, negli esempi di editoria e illustrazione ragguardevoli, a suggestioni che non riescono trovare appagamento nei disegni degli illustratori precedenti né nelle scarne note che ce ne fornisce Collodi.
Cosa sappiamo infatti di Maestro Ciliegia se non che “... tutti lo chiamavano Maestro Ciliegia per via della punta del suo naso che era sempre lustra e paonazza come una ciliegia matura”. E Geppetto? “... Un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi dei vicinato, quando lo volevano far montare su tutte le furie, lo chiamavano con il soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla che somigliava moltissimo alla polendina di granturco”. Per non dire di Pinocchio il cui unico dato evidenziato è il naso: “... un nasone spropositato che sembrava fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri”.
Descrizioni, come si vede, che non descrivono, che rimandano al confronto e al ricordo di altri elementi, che permettono ogni ipotesi di definizione e rappresentazione.

Attilio Mussino, 1911

Così nessuno si stupisce se la Bella Bambina dai Capelli Turchini assume, dopo la fugace e spettrale apparizione del XV capitolo, l’aspetto di fata adulta, mamma, sorella, quasi amante del burattino. E il Gatto e la Volpe? Sono animali, ancorché parlanti, come li raffigurano Mazzanti e Chiostri, o si muovono antropomorfi come li disegna Mussino? Collodi non lo dice. La mancanza di descrizione offre alla fantasia qualsiasi possibilità d'ipotesi.

Leonardo Mattioli, 1954

E naturalmente offre agli illustratori di Pinocchio infinite soluzioni. Da notare di passata che gli illustratori stessi sono, dal 1881 ad oggi, falange e a buon diritto, parlando del burattino di Collodi, si viene a parlare della storia dell’illustrazione italiana del ventesimo secolo, delle sue tendenze, dei periodi, del trend attuale.

Benito Jacovitti, 1964
Quindi si potrà parlare, con Antonio Faeti, del ‘vernacolo meraviglioso’ di Enrico Mazzanti e Carlo Chiostri, oppure della mitteleuropa piemontese e operettistica di Attilio Mussino (il Musini di Gramsci), o dell’eleganza decò di Sergio Tofano, o del liberty femmineo di Luigi Cavalieri. Poi, risalendo il corso del tempo verso di noi, si può passare da tutti i disegnatori della scuola del Corrierino (Manca, Mosca, Angoletta…), al mondo chiassoso e affollatissimo di Jacovitti, ai disegni panici di Roland Topor, alla sensibilità paesaggistica e topografica di Roberto Innocenti, alle fantasie pop-matissiane di Fabio De Poli.
E ci fermiamo qui perché tutti avrebbero diritto a ben altro che non una citazione frettolosa, e tutti, i presenti e gli assenti dalla citazione, occupano a pieno diritto un loro posticino all’interno di quella straordinaria avventura dell’immaginario collettivo che sono le ‘avventure di Pinocchio’. (1. Continua)


Roland Topor, 1972


Fabio De Poli, 2005

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