Chi ebbe la fortuna di conoscere, anche solo superficialmente, Roland Topor non riesce a dimenticare la sua risata; forte, acuta, invadente, sfrontata, continua. Quasi un segno di distinzione, una griffe di nobiltà smodata tutta proiettata all’esterno, capace di colpire come una frustata e creare scandalo. Tutta il contrario della sua arte, comunque, ridondante anch’essa, rigonfia di idee e segni febbrili e inquieti, ma proiettata sempre all’interno di sé, un’arte angosciante e ‘panica’.
"Per guadagnare da vivere – diceva – io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura... La realtà in sé è orribile, mi dà l'asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano".
Nei suoi giochi onirici e folli, specchio di una realtà che fa paura, Topor rappresenta quindi sempre l’uomo con le sue frustrazioni e le sue angosce e ce ne racconta un quotidiano allucinante e assurdo che diventa normalità, ricorda Gianmaria Giorgi, “… con la perversione del realismo, la crudeltà della verità, l'inquietudine dell'ironia più dissacrante.”
Roland Topor sfugge in ogni caso a definizioni settorializzanti. Romanziere di buon successo (un suo racconto, La locataire chimérique, fu tradotto in film, L’inquilino del terzo piano, da Roman Polanski), pittore, disegnatore, animatore (preparò i disegni per il cartone animato di René Laloux Le planète sauvage).
A Pinocchio Topor giunge nei primi anni ‘70, auspice Giorgio Soavi che gli commissiona la strenna Olivetti per il 1972. Tra Pinocchio e Roland si instaura immediatamente un rapporto che va ben oltre quello che usualmente intercorre tra ‘illustratore’ e ‘illustrato’. Topor, a domanda precisa, ebbe infatti a dichiarare: “Io l’adoro questo burattino. È l’unico personaggio letterario moderno, attuale, vero, con le sue curiosità, le sue viltà. E poi quel naso non le sembra un pene, il simbolo della crisi del maschio? Lo guardi quel Pinocchio con quell’aria dimessa e arresa e quel gran naso floscio, in ammirazione della Fatina”.
Come traspare anche troppo evidentemente dalle sue parole Topor vede Pinocchio in chiave violentemente simbolica e scava all’interno della storia con matita impietosa. Pinocchio sale a simbolo esemplare della personalità dell’artista che legge e svela la propria vicenda interiore: il suo amore-odio per il sesso, i suoi complessi edipici mai spenti (Pinocchio che abbraccia le ginocchia della Fatina, ora più che mai donna, forse madre, sicuramente amante), i timori ancestrali mai completamente sopiti (il Serpente).
L’operazione-Pinocchio, vero e proprio viaggio all’interno della simbologia latente in Collodi, Topor lo compie tutto incidendo il foglio con il suo tratteggio meticolosamente 'ottocentesco' e la sua particolare vena triste e corrosiva. E la conclusione, certo inevitabile, è la discesa del burattino in quell’inferno agognato e temuto dall’artista che è il ventre materno. Il Pesce-cane-grembo restituirà un Pinocchio-Topor nuovo, non sappiamo quanto ‘ragazzo perbene’, certo più consapevole e smagato, che cercherà di stemperare ogni conflitto nella sfera di quell’inconscio che Roland aveva esorcizzato ogni giorno della vita con un grande sigaro nella mano sinistra, una matita-bisturi nella destra e una sonora, oceanica, irriverente risata nella grande bocca carnosa e tumida.
Testo tratto da: Andrea Rauch, Il mondo come Design e rappresentazione, Usher Arte, 2009.
Che bello leggere, in apertura di una mattinata così grigia, di Topor! Ora il cielo, invece che di questo compatto grigiore, mi appare striato dalle sue graffiature in punta di pennino. E che regalo prezioso questa sua libertà, lontano da ogni buona creanza e fuori da ogni steccato, capace di guardare nel profondo delle nostre interiora.
RispondiEliminaSapete se è ancora possibile acquistare il libro da cui è tratto il testo?
grazie
<3
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