Beni Montresor |
«Per me non c’è differenza tra il teatro e un libro per bambini. La pagina bianca è come un palcoscenico vuoto che devo riempire con scene, costumi, crescendo teatrale. E le parole e i colori diventano musica.» (Beni Montresor)
May I bring a friend, 1965 |
La sua attività poi, come disegnatore di libri per bambini, a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’90, si discosta parecchio da quella “consolatoria” tipica della cultura americana (disneyana?!) di molti di quegli anni.
I modi e lo stile di disegno di Montresor sono diversamente intriganti proprio perché riferiti a una concezione inusuale del libro:
«La convinzione di tutti è che un 'picture book' è un libro che non arricchisce. Le parole chiedono uno sforzo, le immagini no. Leggere un libro sviluppa la mente, guardare un libro è solo un passatempo. Invece viviamo nella cultura visiva, nel culto delle immagini. È l’immagine che ci rappresenta. […] Una storia raccontata per immagini ha un suo proprio linguaggio, quello visivo, ed è in questo linguaggio che il 'picture book' deve esprimersi».
A for Angel, 1969 |
Abbiamo comunque l’impressione che l’artista non ci dica tutta la verità perché, mentre sentiamo come essenziale il suo mondo di segni e colori (carichi, intrigati, lussureggianti, barocchi…), sentiamo anche la necessità della parola che in quei ‘segni’ si riconosce e da cui prende forma.
I saw a Ship A-Sailing, 1967 |
The Witches of Venice, 1989 |
E i colori di Montresor sono affascinanti, tutti giocati su toni accesi del rosso, giallo, celeste, con contrasti diretti e decisi.
Abbiamo detto “segni e colori”, ma ci sembra che Beni Montresor sia sopratutto interessato ai 'colori' perché anche il 'segno' lo traduce sempre in espressione cromatica diretta. Anche inquietante, diremmo, se si considera come l’artista affronta i temi essenziali dell'esperienza formativa del bambino.
Bedtime, 1978 |
Bedtime, 1978 |
Bedtime, (È l’ora di andare a letto!) è, come era successo in Sendak, un momento di passaggio difficile, il momento in cui si matura una diversa consapevolezza. Ma in Sendak la fantasia di Max va a cercare il ‘paese di mostri selvaggi’, in Montresor Daniel ricerca gli archetipi ancestrali e a volte inquieti di una ‘mediterraneità’ ben poco rassicurante, con i diavoli e gli angeli, Satana e la Madonna, e soprattutto ‘la voce’, che guidano il piccolo protagonista (piccolo perché intorno a lui tutto è grande, sovradimensionato rispetto alla sua esperienza) verso il momento in cui, stanchissimo, finisce per addormentarsi.
"È certo questa una chiave interpretativa di tutto il lavoro di Montresor - scrive Andrea Mancini - perché il mondo che egli propone, ai pubblici di tutto il mondo è il mondo della sua infanzia, pieno di diavoli, di angeli, di streghe. Di personaggi capaci di farti scomparire, di bruciarti anche nel fuoco, ma senza farti mai del male (...)" “Mi succedeva – dirà lo stesso artista – di immaginarmi sotto il manto trapuntato di stelle della Madonna o di volare su in alto in groppa allo Spirito Santo...”
Littke Red Riding Hood, 1991 |
Littke Red Riding Hood, 1991 |
Un altro letto, quello della nonna di Cappuccetto Rosso, è protagonista di uno degli ultimi libri di Montresor, sospeso, anch’esso cromaticamente, tra il bianco della carta, il nero del segno di sapore ottocentesco e la ‘coloratura’ andante, leggera e quasi 'malata', modulata in colori lievi e ‘sporcati’.
In questo caso Montresor privilegia, della fiaba, il finale amaro di Charles Perrault e, forse unico illustratore, ci mostra il lupo che divora la bambina. Ma il lupo è un vecchio e inteccherito gentleman (?) e la bambina fa male a fidarsi perché Perrault e, in questo caso, Beni Montresor, non fanno sconti e guardano in faccia una realtà certo amara ma, ohimé, quanto mai reale.
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