lunedì 10 ottobre 2011

C'era un vecchio di Crotone...

Il nonsense è fuori da ogni umana realtà. Applicatelo a quella realtà e può diventare persino doloroso. Un uomo di carne e sangue non sorride compiaciuto nell'atto che si mozza i pollici con una sega per errore. 
Carlo Izzo

Nella sua fondamentale introduzione a Il libro dei nonsense di Edward Lear (Einaudi, Millenni, 1970), Carlo Izzo tenta una definizione dell’umorismo nonsensical inglese: “Grosso modo proporrei tre categorie: la comicità, che dà luogo al riso fisiologico, irresistibile, clamoroso, quando l’incongruo ci coglie talmente di sorpresa da non lasciare via di scampo; e si può ridere in faccia alla persona che è oggetto della nostra ilarità; l’umorismo, che dà luogo al sorriso, più o meno esplicito o contenuto, quando l’inserimento in una situazione seria – solenne o patetica – di un elemento, non in sé e per sé, ma per contrasto, risibile, induce a una sorta di correttivo critico che distoglie dalla partecipazione cui ci eravamo abbandonati; il “nonsense”, infine, che dà luogo a qualcosa di simile al “grin” del gatto del Cheshire di Lewis Carroll in "Alice in Wonderland", il gatto in cima all’albero, che comincia a sparire dalla punta della coda, e un po’ alla volta sparisce del tutto, ma ne rimane in cima all’albero appunto “the grin”, una sorta di smorfietta di sorriso senza corpo. In altri termini, non farei rientrare il “nonsense” nella categoria dell’umorismo propriamente detto. Il “nonsense” è, semmai, una sorta di “a priori” dell’umorismo, anche se teoricamente rintracciabile, forse, in ogni espressione che sia, o pretenda di essere, umoristica.”

L’essenza di ogni nonsense, tipicamente e completamente britannica, precisa ancora Izzo, è dunque una sorta di logica dell’incongruo, con la quale atti e parole, che rompono gli schemi consolidati, si presentano al lettore come cosa ovvia e naturale.

Edward Lear, Corfù, 1851

Edward Lear, 1830 ca.
E d’altronde la stessa attività di Edward Lear (che diede alle stampe i suoi due libretti Book of Nonsense e More Nonsense, nel 1846 e nel 1871), appare, se non proprio nonsensical, quantomeno singolare. Lear era infatti qualcosa che oggi si potrebbe definire un ‘disegnatore scientifico’ e guardando le sue illustrazioni ‘serie’ (di animali o di viaggi) e i suoi due libri più famosi già citati, si fa fatica a riconoscere la stessa mano e gli stessi intenti.

Nei libretti destinati ai bambini l’artista sembra quasi in libera uscita, rispetto alla sua veste ufficiale, e la freschezza ironica e ‘folle’ dei disegni è specchio e contraltare dei limericks che li accompagnano e senza i quali non avrebbero ragione di esistere.






I limericks sono componimenti brevissimi, destinati ai bambini, e hanno una parentela più che evidente con le nursery rhymes e le lullabies. Rispetto a queste ultime però i limericks, quelli di Lear soprattutto che ne fu l’autore più prolifico e importante, hanno una struttura metrica consolidata iterativa, uno schema a a b b a, quattro primi versi a rima baciata e l’ultimo a riprendere la rima con i primi, rompendo la logica formale, ma anche ideale, della composizione. Nonsense appunto, con una ‘rottura’, anche metrica che riprende, in genere, il primo verso ma con un diverso ‘passo’, creando quindi una sorta di cortocircuito di suono e senso.

(a) C’era un vecchio del Monviso
(a) La cui faccia era tutta un sorriso

(b) Cantava “Din Din dirin dino”
(b) E sonava il violino,

(a) Quell’amabile vecchio del Monviso.





 

C'era un vecchio dal mento barbuto
Che disse: "L'ho sempre temuto!
Due gufi e un pollastrello
Quattro allodole e un fringuello
Han fatto il nido nel mio mento barbuto!"


C'era un vecchio che aveva il puntiglio
Di cibarsi di coniglio;
Quando n'ebbe ingoiati ventuno
Si fece in viso color verde bruno,
E allora rinunciò a quel suo puntiglio.


C'era un vecchio di Serpeddo
Che aborriva ogni senso di freddo
Comperò quindi alcuni manicotti,
Altrettanti piumini e pellicciotti,
E s'avvolse ben bene contro il freddo.


C'era un vecchio di Rovigo
Cui doleva d'esser vivo;
Quindi, presasi una sedia
Vi morì sopra d'inedia,
Quel doloroso vecchio di Rovigo.


C'era un vecchio di Caltagirone
Con la testa non più grande di un bottone;
Quindi, per farla sembrare più grande,
Comperò una parrucca gigante
E corse su e giù per Caltagirone.

C'era un vecchio il cui naso
Da ogni sorta d'uccelli era invaso;
Ma al tramontare del giorno
Fuggivan tutti a stormo
Il che alleviava quel vecchio e il suo naso.


C'era un vecchio di Treviglio
Al cui naso un pappagallo diè di piglio;
Quando il viso si fe' tetro
Gli dissero: "Ha nome Loreto",
Il che racconsolò quel vecchio di Treviglio.

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