“It is difficult to explain in words what the pictures are trying to say, and therefore my explanations are not precisely what I had in mind because they add shades of meaning which are not there. The reader can only interpret them in his own way, bringing his own observations to bear on the image he is looking at, so that he may agree or disagree with what I have tried to convey. When I set out to draw an idea, part of that idea is not yet formed and only takes shape and reveals itself as the drawing progresses. Consequently, the drawing acquires a life of its own and virtually takes over the direction it will follow – or so it seems.” Ralph Steadman
Se, come dice Ralph Steadman commentando i suoi famosi disegni per Alice in Wonderland (usciti in Italia nel 1967 in un sontuoso in-folio edito da Milano Libri, oggi purtroppo pressoché introvabile), l’idea originale delle tavole s’era andata via via modificando e precisando mentre il lavoro prendeva corpo, è anche vero che il punto di partenza stilistico e artistico era del tutto definito e la chiave di lettura che l’illustratore offriva al lettore, chiarissima.
Poi, sotto traccia, si trova in Alice anche una vena ironica mal dissimulata, una lettura moderna del testo e dei suoi personaggi. Alice non è più, nei disegni di Steadman, quella fanciullina saccente e inteccherita, noiosetta e, in fondo in fondo, antipatica, che ci avevano mostrato i disegni famosi di John Tenniel, ma una ragazzetta pop, fan magari dei Beatles o dei Rolling Stones, che si veste in Carnaby Street, modernamente scarmigliata, dai tratti sghembi e assai poco vittoriani, inquieta e nervosa.
Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, illustrazioni di Ralph Steadman, Milano Libri, 1967.
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