Grafico, industrial designer, illustratore, fumettista, pittore, animatore (con il film Chico e Rita è attualmente in corsa per l'Oscar), Javier Mariscal, nato nel 1950 a Valencia ma stabilmente radicato a Barcellona, ha acquisito fama internazionale con il disegno del Cobi e di Twipsy, le mascotte delle Olimpiadi 1992 di Barcellona e dell’Esposizione universale di Hannover del 2000.
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Javier Mariscal, 2006 |
Luglio 2006. Nell’autobus turistico a due piani, che nei giorni d’estate porta turisti stanchi, accaldati e sudaticci a visitare, mordi e fuggi, le bellezze di Barcellona, tra la Sagrada Familia e la casa Millà, dopo la fondazione Mirò e il Museu de Arte della Catalogna, la ragazza bionda con il bolerino rosso istituzionale, sul lungoporto vicino al Palazzo del Mare, invita a guardare sulla destra dove si può ammirare il «
gambero del grafico Mariscal, uno dei nuovi simboli di Barcellona».
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Javier Mariscal, Gambero, 1988 |
Javier Mariscal è un uomo del sud, valenciano, trapiantato da sempre nel nord del paese, in quella Catalogna che è una specie di raccordo tra la Spagna della tradizione e il nord europeo. Barcellona è la città di
Pepe Carvalho, delle Ramblas, delle architetture di
Gaudì e dei disegni di
Mirò. Di questa tradizione acquisita da sempre, di bella fantasia e creatività mai messa davvero in discussione e riconquistata, «
come l’esplosione di un tappo di champagne», con il ritorno della democrazia, Javier è oggi una luccicante punta di diamante. Ingiusto forse definirlo come l’erede naturale dei Gaudi e dei Mirò, ma la citazione dei maestri e dell’ambiente, l’
humus, è essenziale per capire il
design catalano attuale, e quanta forza creativa libera e gioiosa possa essere espressa in ogni progetto.
Gaudì disegnò tutta la parte più fantasticamente nuova della città e fu artista grande e amato. La sua opera architettonica modernista è stata l’anima della Catalogna agli inizi del Novecento. Un meraviglioso delirio di forme. Poi venne
Mirò e fu un rinnovato, continuo esaltarsi di colore e di luce.
I segni di Gaudì e di Mirò stanno ancora là e hanno avuto, proprio perché condivisi e amati, la forza di autorigenerarsi, di creare scuola, di ispirare seguaci, di emozionare allievi, di far crescere nuovi maestri.
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Javier Mariscal, Gasolinera, 1982 |
A Barcellona nessuno riesce quindi a stupirsi dei segni e degli sberleffi di
Mariscal, delle sue tessere colorate, della sua grafica ingorda di decorazione, che diventa con facilità istituzione, sia essa il
Cobi, mascotte celebre per le Olimpiadi del ‘92 o il logo della città, quel
Bar Cel Ona che occhieggia da tutte le
t-shirt su ogni bancarella. È un segno che nasce dalla città e che ne succhia e restituisce la vita.
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Javier Mariscal, Los Garriris, 1993 |
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Javier Mariscal, Jazz Cobi, 1992 |
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Javier Mariscal, Somos tres para cenar, 1990 |
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Javier Mariscal, Cobi, 1987 |
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Quando sono arrivato a Barcellona – dice Javier –
non potevo stare troppo tempo lontano dalle Ramblas: lì c’era la vita della città e di lì si doveva passare. Adesso le Ramblas sono un fiume di turisti in piena e la vita vera si è trasferita altrove, con nuove modalità e nuovi riti.
Quando sono stati costruiti i viali a mare per la città olimpica, a esempio, molti hanno preso l’abitudine ad andare in spiaggia con il metrò. Allora era stupefacente vedere viaggiatori in vestito da spiaggia, con il materassino, le paperette e i bambini con il secchiello. Oggi è tutto molto normale e quei “viaggiatori da spiaggia” sono spettacolo ormai quotidiano e consueto. Nessuno ci fa più caso. Sono diventati la norma. La città e le nuove abitudini li hanno digeriti.»
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Javier Mariscal, Twipsy, 1999 |
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La sera si può vedere la torre di Jean Nouvel (una grande supposta alta quasi centocinquanta metri) illuminata con il rosso e il blu, i colori del Barça. La luce esterna è mitigata con un sistema di tapparelle che potremmo definire alla veneziana. Questa è una città mediterranea, calda, piena di luce e per vedere bisogna socchiudere gli occhi, altrimenti il sole può far male. La torre, con le sue tapparelle, sembra quasi che socchiuda gli occhi…»
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Javier Mariscal, Petra, 1991 |
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Javier Mariscal, Vespa, manifesto, 1996 |
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Javier Mariscal, Arredo urbano, Tarragona, 19 |
I racconti di
Mariscal e del suo lavoro, il
loft che, alla periferia del lungomare, divide con cinquanta assistenti, gli oggetti che ne ingombrano in bella confusione ogni angolo (dai tavoli da disegno alle Vespe d’annata, dalle prove di serigrafia ai
gadgets in ceramica o in plastica), sono degli aneddoti che diventano metafore. Il tratto immediato di penna che diventa pittura e colore, che entra nell’ambiente e si fa architettura, decorazione d’interni,
design di prodotto, cartone animato, albo di fumetti. In continuità naturale con il contesto. Come nei grandi
cactus (piante, ma anche sculture, ma anche specchi, ma anche segnali, ma anche arredo urbano) per l’Università di Valencia. Oppure come negli alberi della Pineda di Tarragona, che con i loro 26 metri fanno venire complessi di inferiorità da nanerottoli alle vicine grandi palme.
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Javier Mariscal, Arredo Urbano, Valencia, 2005 |
Nei progetti di
Mariscal la natura c’è sempre, ne è componente fondamentale. Ma c’è anche il lavoro, il progetto, la curiosità tecnica, l’amore per la soluzione dei problemi.
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Abbiamo disegnato una sedia, recentemente, utilizzando un solo foglio di plastica piegato, curvato e traforato con un sistema di fustelle semplice e razionale. Anche gli agganci per i tubolari che si piegano a diventare le gambe sono due soli punti con una connessione assai semplice.
La seduta poi è disegnata in modo che possa contenere dei grossi deretani. La sedia è prodotta infatti per il mercato tedesco e quindi per uomini grossi e corpulenti. Eppure c’è ancora qualche produttore di mobili che, alzandosi dalla riunione di lavoro mi dice: “Bene, signor Mariscal, quando le verrà l’ispirazione…” Ispirazione? Lavoro e progetto, studio dei particolari, disegno. Da qui viene l’ispirazione!»
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Javier Mariscal, Sedie Miralook, 2005 |
La fantasia di
Javier Mariscal che si innesca alla visione e all’analisi di un grosso culo da contenere in una sedia razionale, si nutre dei colori di Mirò e delle forme di Gaudì, e diventa un progetto da amare.
Testo tratto da: Andrea Rauch, Il mondo come Design e rappresentazione, Usher arte, 2009.
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