domenica 12 febbraio 2012

Duilio Cambellotti e il Palio di Siena

Verso la fine degli anni '20 Piero Misciattelli, storico senese, fu incaricato dal Monte dei Paschi di Siena della stesura di un testo sul Palio e sulle Contrade e Duilio Cambellotti, uno dei più celebri e versatili artisti dell’epoca si incaricò dell’apparato iconografico che lo occupò per tutto il 1929 e 1930. Cambellotti, insieme al figlio Adriano, si dedicò allo studio dell’araldica contradaiola, dell'urbanistica cittadina  e dei vari momenti della Festa, ricavandone  moltissime foto e schizzi, a cui seguirono delle tempere preparatorie, base per la pubblicazione del libro, di grande formato, che fu edito, nel 1932, dalla Editrice Novissima di Roma in 1000 copie, e che si intitolò  Il Palio di Siena.


Tempere 'preparatorie' quelle di Duilio Cambellotti, appunto, perché quei disegni altro non sono che un ‘semilavorato’, la traccia perché i colori fossero poi inseriti, con luminose tinte piatte, nei documenti litografici per la stampa. Il risultato cromatico è straordinario ma, detto del fatto tecnico, non si possono certo passare sotto silenzio le altre caratteristiche del lavoro.

La composizione dei gruppi di figuranti delle Contrade, innanzitutto, diversa dall’uno all’altro gruppo senza mai ripetizioni o cedimenti; l’intrecciarsi dei colori di livrea dei costumi e delle bandiere che si dispongono nella pagina in modo da creare un tutto unico, pur mantenendo la loro singolarità; il rapporto tra contrada e urbanistica del suo territorio, con i monumenti e gli edifici noti o tipici che vengono a far parte integrante del gruppo ma che si dispongono in secondo piano, mantenendo la loro importanza visiva senza turbare, anzi esaltando, l’ordine della composizione.

Una sola concessione, anzi diremmo un vezzo, alla straordinaria personalità dell’artista. Gli animali totemici (la civetta,  la lupa, la chiocciola…) non sono quelli che all’epoca si vedevano sugli stemmi, sulle bandiere e sui costumi, ma una variazione ‘personale’ di Cambellotti che sembra rivendicare, dopo il fitto e puntuale lavoro di ricognizione storica, topologica e vernacolare, un pizzico di autonomia creativa.

Un lavoro, quello dell’artista, davvero  straordinario e un libro bellissimo. Peccato che le poche copie rimaste in giro siano finite nelle botteghe di certi librai antiquari che, in genere, ne tagliano le pagine per rivenderle come ‘stampe’ uniche (a prezzo non decisamente economico). Chi ne ha una copia integra se la tenga stretta!



Aquila

Bruco

Chiocciola

Civetta

Giraffa

Leocorno

Lupa

Nicchio

Oca

Onda

Pantera

Insieme alle immagini delle Contrade, il libro presenta anche gli aspetti salienti della festa senese, dalla numerazione dei cavalli, alla tratta, al corteo storico, alla mossa e la corsa. Pubblichiamo, di seguito, alcune delle illustrazioni di Duilio Cambellotti a corredo di un saggio di Alessandro Savorelli, esperto di araldica storica e nostro abituale collaboratore, scritto per un suo libro dedicato alla simbologia del Palio di Siena (Alessandro Savorelli, Il Palio di Siena e i suoi simboli, La Mandragora, 1999)

I segni delle contrade di Siena
Alessandro Savorelli

«Prendo quello!». La scelta cade su un animale, un dettaglio gradevole, un accozzo di colori. È così che migliaia di turisti l'anno si mettono in valigia uno dei 17 animali-totem senesi (forse la serie di simboli antichi mediamente più nota nel mondo), sotto forma di gadgets, di una ceramica, in cartolina. O magari di un fazzoletto da contradaiolo o di una bandiera: uno «zoo di stoffa» che si aggiungerà allo «zoo di vetro» (The glass menagerie, era il titolo di una nota commedia di Tennessee Williams) o di legno o altro, gli animaletti-soprammobili, insomma, che tutti abbiamo per casa. Se poi qualcuno avrà comprato un libro sul palio o sull'«araldica del palio», l'autore si incaricherà di spiegargli, durante la noia del viaggio di ritorno, il motivi occulti della sua scelta: proprio come quei libretti che vi dicono, a seconda del vostro nome di battesimo, che carattere, tendenze e gusti avete, le letture che fate, i fiori che preferite… (...)


Forse il difetto è nella domanda: come i «perché» dei bambini, essa è acuta e posta male al tempo stesso, ed è perciò rimasta senza risposta, o — che è quasi lo stesso — con troppe risposte, che spiegano tutto e niente. Quando si saranno interrogati gli archetipi di Jung, classificati i simboli “di terra” e “d'aria”, rubricati gli elementi ying e yang, quelli “maschili” e “femminili”, compulsati i lessici dell'araldica e i repertori delle allegorie, studiati i rituali delle religioni primitive, e così via, ci si sarà certo arricchiti di una vasta erudizione, e si saranno apprese tante notizie curiose: ma non credo si sia fatto un concreto passo avanti per risolvere il problema. Sì, sarebbe bello a ritroso nel tempo potersi trovare nel momento preciso delle motivazioni della scelta di un simbolo. Avremmo tutto chiaro: ma sarebbe come riandare all'istante in cui nascono i miti, le favole o le lingue. E lo storico, il linguista e l'antropologo sanno che è un'illusione. Davvero si vuol credere che una volta elencati i significati magici attribuiti a un certo animale dagli egiziani, dagli aztechi, dai cinesi o dai kikuyu, sapremo qualcosa sul perché — fra '300 e '500 — quel dato animale è arrivato sulla bandiere delle cacce e poi del palio, come se il palio fosse un concentrato dell'antropologia e della simbologia di tutti i tempi e paesi? E sul serio ci si dispone ad attribuire significati esoterici a figure e colori? (...)

Diffidate a priori di chi ricanta la storiella che un certo animale rappresenta la prudenza o il coraggio, o un certo colore l'amore, la fede o il cielo! Nella maggior parte dei casi si tratta o di una banalità o di un'invenzione da rotocalco (che il leone sia coraggioso, la lepre timida, il cielo azzurro e così via, è lapalissiano). Si tenga piuttosto a mente che in politica, in guerra, nello sport, in pubblicità, c'è una regola banale e semplicissima che regola la scelta dei colori: distinguersi dal vicino o dal nemico o dal concorrente: altro che alchimia e tarocchi! (…)

Il nuovo che avanza

Chi si ponga seriamente a studiare i simboli delle contrade dovrebbe preliminarmente valutare quello che essi «non sono», prima di poter dire qualcosa su «quello che sono»: può darsi infatti che sia istruttivo apprendere prima di tutto cosa «manca» in quel repertorio di simboli. Non è infatti — procedendo per successive riduzioni — un elenco di simboli universali, dove mancherebbero il sole, la luna, gli elementi, la croce e tante altre figure e cose; ma solo un bestiario, tanto che anche le contrade che non prendono nome da un animale (Onda, Selva, Torre), finiscono poi per assumerne uno. Ma, di nuovo, quale bestiario? Non uno qualsiasi. Non è in primo luogo un bestiario “araldico” in senso stretto: si parla spesso di “araldica delle contrade”, ma occorre considerare che quei simboli hanno subito una "araldizzazione" solo di recente, coll'inserimento, alla fine dell'800, di segni e figure sabaude (croci, nodi, rose, margherite, iniziali etc.). In origine l'aspetto dei simboli delle contrade, così fluido e naturalistico, è abbastanza lontano dallo stile stereotipo e irrigidito dell'araldica medievale: e lo stesso vale per i colori, come per esempio. l'arancione, il rosa, il rosso "vinato", o per le loro combinazioni, talora araldicamente eterodosse.
Anche la scelta degli animali delle contrade è assai singolare: chi faccia un elenco dei più diffusi animali araldici almeno fino al '400, vi troverà solo una piccola parte di quelli del palio (aquila, montone, drago, nicchio, oca, delfino; semmai qualcosa delle contrade soppresse: leone, gallo, vipera, orso), e viceversa, non rinverrà nelle contrade molti di quelli più comuni (grifo, leone, pesce, cinghiale, cervo, cavallo, toro, cane, serpente, falco, cigno etc.). Non è in secondo luogo un bestiario edificante e moraleggiante come quelli della tradizione devota: anche in questo caso, se si compila un elenco degli animali dei classici bestiari medievali, in cui ad ogni animale è assimilato un carattere morale o una metafora biblica, gli scarti (presenze e assenze) dall'elenco delle contrade sono assai notevoli. Forse qualche residuo agiografico c'è ancora (la civetta? il drago?), ma — si direbbe — totalmente irriconoscibile, ridotto a puro segno fantastico e sottratto ad ogni intento pio. No: gli animali del palio non sono dei sussiegosi e frigidi sputasentenze sul valore, la prudenza, la saggezza, la mitezza, la pazienza e quant'altro. Non coincide, si potrebbe continuare a lungo, nemmeno col bestiario — molto generico — della tradizione letteraria, di quella alchemica, zodiacale e magica. E nemmeno con quello "popolare", domestico e naïf della decorazione delle stoffe, delle ceramiche e dell'ebanisteria: c'è l'oca, ma vi mancano lepri, cervi, cinghiali, pavoni e uccelli d'ogni sorta, etc.



Simboli a sorpresa

Quello delle contrade è dunque un bestiario sui generis che attinge sì un poco — e non potrebbe essere altrimenti — a tutti gli altri bestiari, e li riscrive a modo suo, ma che non s'identifica con nessuno di essi, ed è nell'insieme assai poco classico, anzi, si direbbe, esplicitamente non tradizionale: piuttosto che all'araldica vera e propria, esso si rifa all'“emblematica” del Quattro e del Cinquecento, che rivisita un'iconologia classica (per esempio la lupa e i gemelli, l'oca capitolina, il delfino e la civetta della mitologia) o ne crea una nuova, di “imprese”, svincolate dallo zoo più comune.
Il bestiario del palio appare segnato da una sua logica complessiva, che non andremo a cercare nei criteri dell'identificazione con una virtù o un concetto astratto, come nella letteratura medievale, o in remoti mondi magici. Sembra che si lasci dominare invece da elementi più nuovi, tipicamente rinascimentali: vi scorgiamo infatti il gusto dell'eccentrico e dell'esotico (giraffa, liocorno, pantera, rinoceronte, elefante), la logica del piccologrande o del microcosmo (bruco, chiocciola, nicchio), la ricerca dello stupefacente e del meraviglioso (animali che si trasformano o contengono una “sorpresa”: nicchio, chiocciola, istrice, tartuca: che operano piccoli prodigi — bruco —, o sono misteriosi per definizione — civetta —). Queste logiche non mostrano più tanto l'animale-exemplum dell'enciclopedia medievale, che rimanda a un mondo trascendente, ma sembrano dettate da una fresca curiosità postmedievale e premoderna.

Ci sarà forse a monte della scelta di un determinato animale l'insegna di un clan locale, l'impresa di qualche generoso mecenate del palio, il cimiero di una personalità emergente, l'allusione a un santo o a un personaggio conosciuto, un fossile della simbologia delle antiche "compagnie" militari: ma chi lo ricorda più? L'importante è che quegli animali-simboli si sono fissati in un catalogo di immagini mentali e in processi d'identificazione collettiva, che ha finito per oscurare il senso – contingente ed effimero – della loro primitiva origine. (…)


Fossili vivi e vegeti

Il bestiario del palio è insomma un catalogo di animali volutamente stravagante, e — salvo alcune eccezioni più arcaiche e ancorate nella tradizione simbolica e iconologica — decisamente diverso. Ed è, infine, il catalogo di un esotico molto datato, e improvvisamento invecchiato intorno al '7-800 con l'allargamento dei confini del mondo e lo sviluppo delle scienze naturali.
Se dovessimo reinventarlo oggi forse penseremmo, in un'ottica in fondo non lontana dagli antichi contradaioli, di nuovo ad animali altri, animali-limite, semiestinti, ai confini della nostra fantasia e del nostro pianeta divenuto una sola invadente metropoli, magari inconsciamente attinti dalla pubblicità e dai mass-media: che so, il panda, il koala, il canguro, il bisonte, la balena, il coccodrillo, la foca, il gorilla, l'orca, il condor, il cobra; o più oltre, alle equivoche creature della fantascienza.
Che lo «zoo di stoffa» delle contrade — fossile datato d'altri immaginari — sia sopravvissuto, mentre il meraviglioso diveniva di colpo quotidiano e banale, e faccia ancora il giro del mondo (e costringa a interrogarsi sul suo senso) è, di per sé un piccolo miracolo semiotico. Un miracolo del palio.

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