Pubblichiamo di seguito la breve presentazione al catalogo della sua mostra cremonese.
Guido Scarabottolo alla Biennalina di Firenze, novembre 2010 |
Dunque, si può cominciare con Bau. Un nome di tre lettere, quasi il massimo dell’economicità fonetica (se la batte con Al, Bo e Lu, e ci pare difficile trovare parole ancora più corte). Bau. Quasi una reazione all’abbastanza lungamente esteso Scarabottolo (dodici lettere) e un ‘miglioramento’ del già sintetico Guido (cinque lettere). Bau.
Guido Scarabottolo, Il diario di Eva, Prìncipi & Princípi, 2010 |
Ma questo non è certo il punto. La pigrizia di Bau, sempre che di pigrizia si tratti, e di questo c’è da dubitare, nasce da una voglia continua di adeguare il suo segno stilistico, restando sempre fedele a se stesso. Il massimo risultato con il minimo sforzo, direbbe lui.
Chi lo conosce da gran tempo sa che le sue illustrazioni di qualche anno fa erano costituite da disegni fotocopiati su carta colorata (con inchiostri colorati), poi ritagliati sommariamente e composti in collages. Chi conosce i suoi disegni di oggi potrà vedere come il risultato finale sia pressoché identico. Solo che ormai è cambiato il mondo e Guido ha adeguato la sua tecnica. Adesso i disegni a matita (semilavorati!) vengono passati allo scanner, colorati con illustrator e quindi montati secondo necessità e logica. È il lavoro dell’illustratore, si dirà. Solo che di questo ‘lavoro’ Bau ha fatto la sua bandiera e lo rivendica, a buon diritto, come ‘opera d’arte’ originale, perché l’opera stessa è proprio e soltanto quella che esce dalla stampante, l’unico ‘originale’ possibile e pensabile. Partendo quindi dalla pratica del collage Guido è passato alla stampa digitale, usando il computer come un pennello e mantenendo, nel tempo, inalterata, la qualità sia del lavoro che dell’opera. Si potrebbe dire, ancora, il massimo risultato col minimo sforzo, se non ci venisse da sospettare che invece, per questo risultato, di sforzi ce ne vogliano tanti, progettuali, artistici, concettuali.
Guido Scarabottolo, Le avventure di Pinocchio, Prìncipi & Princípi, 2010 |
Abbiamo perso però di vista, andando dietro alle parole, la pigrizia di Bau.
Pigrizia che, qualora davvero ci sia, e come abbiamo detto ci sarebbe da dubitarne, nasce da una certa qual propensione al silenzio. Guido parla poco, comunica e disegna con pochi tratti essenziali, sobri, quasi afasici. Sono segni parsimoniosi e discreti. Pigri. Il suo silenzio si nutre di paesaggi sconfinati con radi cespugli affogati qua e là, con arboscelli e nuvole allungate. Uomini soli, in mezzo, persi nel silenzio della tavola, contornati da oggetti anch’essi appartati e silenziosi. Poche cose, e anch’esse sobrie. Un mondo intero che si agita sottovoce e sottotono, dove le poltrone si siedono su altre poltrone e le librerie si adagiano su seggioline dalle gambette fragili (ancora pigrizia, forse).
O meglio no, non pigrizia, magari, ma stanchezza. Stanchezza per un mondo che si autorappresenta e si compiace delle sue maniere pacchiane, chiassose, volgarmente bulimiche e che chiede all’artista quasi un momento di riflessione che faccia da contraltare e serva da antidoto. Per immaginarsi una vita più sobria ed essenziale. Meno legata all’apparire e più in sintonia con l’essere. Una vita con qualche attimo di pausa e di silenzio. Di pigrizia. La pigrizia di Bau.
Guido Scarabottolo, Il diavolo nella bottiglia, Prìncipi & Princípi, di prossima pubblicazione |
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