giovedì 18 ottobre 2012

Vecchi cani

Conosciamo Giovanna Durì da molto tempo e di lei credevamo di sapere molte cose. Sapevamo del suo rigore di progettista grafico, ad esempio; conoscevamo i suoi libri, quelli preparati per Lorenzo Mattotti o Giorgio Maria Griffa, per Roland Topor o Gabriella Giandelli. Di più: avevamo visto e apprezzato i suoi allestimenti di mostre (da quella di Guido Scarabottolo a quelle  Scatole cinesi preparate per noi al Visionario di Udine) sempre in equilibrio tra fantasia e sistema, tra scenografia e progetto. Di Giovanna conoscevamo tutto questo. Ignoravamo però che, oltre a designer, fosse anche illustratrice di gran mano e di straordinaria sensibilità. Ce lo aveva nascosto per tutto questo tempo e un poco ci sentiamo offesi.

Giovanna Durì si presenta oggi con la sua prima personale e il suo primo libro di disegni, Vecchi cani, alla galleria milanese Nuages (via del Lauro 10) da mercoledi 24 ottobre e fino al 4 novembre. Cani di razza o bastardi, sonnacchiosi o vigili, accigliati o tristi, impettiti o mogi. Cani che ci guardano negli occhi e sembrano chiedere qualcosa che non sempre sappiamo dare. Cani vecchi. I cani di Giovanna.  



Vecchi cani
Giovanna Durì

L’interesse e la familiarità che ho con i cani vecchi nasce probabilmente dal fatto che da bambina ho conosciuto solo “quella razza”. Nelle mie vacanze estive dalle zie al mare, in campagna e in montagna, avevo a disposizione una variopinta galleria di comò, scopini, lupi spelacchiati e pantegane obese. Tutti in egual misura sorpresi, quasi imbarazzati, dalle carezze di un cucciolo umano che arrivava una domenica ogni tanto e che, una volta all’anno, si fermava per qualche giorno. Ricordo alcuni nomi, ma soprattutto i loro caratteri.



Laika. Chiunque superi i cinquanta anni di età sa che era una cagnetta intelligente lanciata nello spazio dai Russi. La mia Laika corrispondeva all’originale per quanto riguarda dimensione e pezzatura, per il resto era carente di intelligenza, ma prodiga di pulci. Era tanto buona. Sopportava tutto, anche il fatto che io non sopportassi il suo odore. Per migliorare la nostra intesa le svuotai addosso mezza boccetta di colonia (4711) trovata nella toletta di mia zia. Mia madre dovette ricomprarne una confezione più grande e convincermi a presentare le mie scuse, me lo rinfaccia ancora.



Ruby. Era più fortunata di Laika. Innanzitutto non era a catena e poi aveva il pelo morbido. Era uno degli animali più pazienti che abbia mai conosciuto. Di lei mi affascinava la lentezza, che era anche la sua grazia. Sulla schiena di Ruby si sarebbe potuto servire il tè e pasticcini. Era un cane da compagnia. Quando le mie zie, Maria e Ada, si riunivano in cerchio con le loro amiche a fare lavoretti manuali e chiacchierare tra loro, lei si posizionava sempre al centro, proprio come un tavolino da salotto. Per me e Ruby quelli erano momenti unici. Come lei, anch’io non capivo molto di ciò che dicevano le zie e le loro amiche, ma ce ne stavamo lì. Ci scambiavamo sguardi teneri, io le offrivo le mie carezze e lei mi ricambiava con umide leccatine.


Lilla. Piccola cagnetta color ragù. Mia cugina Fiorenza chiamava così tutti i suoi cani. Ero troppo piccola la prima volta che vidi la “prima Lilla”, ma abbastanza sveglia per capire che non era la stessa l’anno seguente. Latina era un posto dove i cani duravano poco, c’erano i branchi liberi che si spostavano da un podere all’altro facendo razzia di pollai, e non solo. Ora la situazione è cambiata. L’ultima volta, questa estate, mia cugina aveva la cagnetta più longeva che abbia mai conosciuto.

Parlo dei cani degli altri perché io non ho avuto cani miei. Per la precisione, ho vissuto solo per qualche tempo in compagnia di un cane. Il primo era Athos. Bestia intelligente, che dovetti lasciare al legittimo proprietario pochi mesi dopo un trasloco. Il secondo Moby. Non era il cane di nessuno, ma era un animale eccezionale, già vecchio quando l’avevo conosciuto. Arrivava dalla strada e della strada aveva preso tutti i vizi e le virtù. Sapeva difendersi, era cauto, non faceva rumore, e riusciva a stanare un osso da qualsiasi sacchetto delle immondizie, anche quando ormai non ne aveva più bisogno, perché aveva di che mangiare.



Ora mi diverto con i cani degli amici, come Gulasch o Luna, che giocano a fare il “mio cane”. Osservo quelli che vivono nel quartiere, che incontro nei parchi. E mi affascina molto quello “strano animale” che è formato dalla simbiosi tra due vite: il vecchio umano con il suo vecchio cane. Un’unione indissolubile, che, quando uno dei due sopravvive all’altro, lascia chi resta perso in un dolore tanto profondo quanto sincero.


Sono gli occhi dei cani la calamita che mi costringe a fermarmi. Hanno tutti storie da raccontare. E più sono vecchi, più riflettono i tormenti, le passioni e le ansie delle persone con cui vivono. Quando guardo gli occhi di Ringhio o Cleo, mi capita di provare imbarazzo, ho il sospetto che conoscano il recondito del loro padrone. A questi esseri diamo il compito di filtrare il nostro quotidiano e inconsapevolmente affidiamo loro parti consistenti delle nostre vite. In cambio, ci donano la loro. Quei vecchi occhi mi commuovono. A volte rivedo in alcuni di loro sguardi che ho conosciuto e non ci sono più.


Giovanna Durì, Vecchi cani, Nuages edizioni, 12,00 euro.

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