mercoledì 12 settembre 2012

Maestri. 36. Copi

È in genere durante i periodi di vacanza che si cerca di rimettere a posto i cassetti, di riordinare gli scaffali delle librerie, e capita a volte di 'riscoprire' veri e propri tesori che avevamo allontanato nella memoria e nel tempo. Così, nei giorni torridi di quest'agosto, mi è tornato a mano il volume che Franco Quadri aveva dedicato, pochi mesi dopo la morte, nel 1987, al teatro di Copi. Ne ho sfogliato l’indice, scorso qualche pagina, spiluccato qua e là dalle introduzioni, e mi sono trovato a rileggermelo e godermelo tutto.


Di Copi (Raul Damonte Taborda, argentino, nato a Buenos Aires nel 1939 e morto a Parigi nel 1987) in questi anni ci si è quasi dimenticati. Qualche apparizione o riapparizione di alcuni dei testi teatrali più significativi e/o trasgressivi, rare, ancorché preziose, ricognizioni critiche, pochissime riproposte della sua opera disegnata, relegata, quest’ultima, ormai nelle vecchie raccolte di Linus o nei pochi, e ormai datatissimi, albi. Anche internet pare si sia dimenticata di Copi; scarsa, addirittura misera, la sua presenza in rete e quasi tutta riduttivamente ospitata in pagine di cultura gay.

Copi (Raul Damonte Taborda)

Il posto di Raul Damonte nella cultura europea della seconda metà del secolo XX è comunque ben più solido e importante. Intellettuale raffinato e coltissimo, cartoonist, commediografo, romanziere, regista, attore (ricordiamo di averlo visto, nell’inverno del 1981, interpretare, accanto ad Adriana Asti e Manuela Kustermann e con la regia di Mario Missiroli, Le serve di Genet, nel ruolo della Signora, presenza en travestì di rara eleganza, alta e dinoccolata giraffa, lui magrissimo, signore/a assoluto/a della scena), la sua parabola artistica si muove tutta nel campo dell’avanguardia humour noir. E nell’interazione dei generi: Copi non dimentica mai, come cartoonist, il Copi teatrante e trasporta nel fumetto i tempi dilatati della scena, con le sue pause, il suo ritmo e le cadenze. I dialoghi tra la donna seduta e i suoi improbabili, molteplici, interlocutori  (polli, topi…) tornano poi, dal fumetto al teatro, con la naturalezza dell’ovvietà.

Copi, Storie puttanesche, Mondadori, 1979


Copi è sempre ironico, macabro, surreale. Nel fumetto rappresenta piccoli drammi di alienazione e spaesamento, fotografa la solitudine, la difficoltà di vivere e il bisogno di relazione in maniera ilare e struggente.





La sua macchina teatrale può essere ambiguamente perversa e allora Copi ci offre, ad esempio, la morte presunta di Eva Peron come l'astuta messinscena della santa dei descamisados per fuggire in Svizzera a godersi in pace il contenuto pingue della sua cassetta di sicurezza. Oppure, suprema eleganza del grande umorista, sbeffeggia la sua stessa propria morte per Aids, mettendola preventivamente in scena con una sorta di definitivo e pirotecnico grand guignol.


Il teatro di Copi non è mai dove si crede che sia in quel momento. È un teatro tragico e comico al tempo stesso, grottesco e surreale, dove l'identità si moltiplica a dismisura fino a perdersi; dove lo spazio (letteralmente) esplode fino all'astrazione assoluta della scena e della parola; dove un personaggio è indifferentemente uomo o donna, vivo o morto; dove accadono le peggiori efferatezze, violenze, stupri, torture, eppure si ride; dove tutto è improntato all'anarchia, anche politica, più sfrenata, ma all'interno di strutture drammaturgiche raffinatissime; dove la morte regna sovrana senza essere mai presa sul serio, perfino quella di Copi stesso che, sul suo letto di morte malato di Aids, ha scritto una commedia in cui si parla di un teatrante sul letto di morte malato di Aids, dimostrando così di saper ridere perfino della propria fine, e obbligando i suoi amici più cari a sbellicarsi dalle risa quando la commedia stessa debuttò in teatro proprio pochi giorni dopo la sua morte." Stefano Casi

In questi testi, come negli altri della sua bibliografia, non è mai lontana la lezione delle avanguardie storiche e vi si legge in modo evidente  la derivazione,  quasi una devozione filiale, da Alfred Jarry.
Eva Peron è infatti gemella siamese della Madre Ubu: come lei è una truffatrice scurrile, ipocrita, contraddittoria. Lamentosa e prepotente, astuta e infantile. O forse è la realtà a somigliare, magari senza nemmeno tanta ironia, al mondo solitario e ambiguo di Copi; è l’Evita Peron della realtà a sembrare quella di carta di Raul Damonte, ed è la morte ad affacciarsi sulla scena e nel fumetto come presenza con cui i conti si devono fare senza inutili drammi: con un sorriso o, come Copi ci ha insegnato, con un perfido, elegantissimo ghigno.

Bibliografia essenziale in lingua italiana:
CopiI polli non hanno sedie, Mondadori, 1967.
Copi, Storie puttanesche, Mondadori, 1979.
Copi, Teatro, a cura di Franco Quadri, Ubulibri, 1988.
Il teatro inopportuno di Copi, a cura di Stefano Casi, Titivillus, 2008, euro 18,00.

3 commenti:

  1. bellissimo post, su un grande artista!
    Davvero, troppo spesso ci dimentichiamo di coloro che sono riusciti, con un ghigno elegantissimo, a svelare tutta l'assurdità di queste nostre vite.
    W COPI, W JARRY e che una risata ci seppellisca davvero!

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  2. ...e peccato sia così difficile trovare questi titoli. A parte la fortuna, ogni tanto, di imbattersi in qualcuno di loro, come pietre preziose in un mare di carta, sulle bancarelle piene di libri spiaggiati e alla deriva, orfani di biblioteche o persi in oscuri magazzini.

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  3. Molto bello! Rilancio subito questo post sul gruppo Facebook dedicato a Copi: https://www.facebook.com/groups/35790476993/

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