25. Antonio Faeti. La freccia di Ulceda
Il “libro d’occasione” è un genere parecchio praticato dalla saggistica contemporanea. Una raccolta di testi sparsi, pagine brevi legate da un tema, da occasionalità le più varie oppure dall’appartenere ad un’unica rubrica di un settimanale o di un quotidiano. Testi quindi che, all’inizio, si trovavano a loro agio nel contesto dell’attualità da cui originavano. Facile capire quale sia il rischio di simili raccolte: l’invecchiamento rapido, la perdita dei riferimenti essenziali, lo strabismo epocale, il variare delle prospettive. Per queste raccolte un destino possibile è la progressiva evanescenza di testi e quindi, di significati. Libri che nascono e vivono già ‘datati’, si potrebbe dire.
Rischio che, certo, ha corso volontariamente il volume di Antonio Faeti, La Freccia di Ulceda, editore Coniglio, che contiene le recensioni che Antonio andava compitando nella rubrica l’Occhio del gatto su Comic Art alla metà e fine degli anni ottanta. Si parlava in quella rubrica delle emergenze nel mondo del fumetto e dell'illustrazione, delle uscite di albi allora giudicati significativi, di ricorrenze varie e diverse (i cinquant’anni del Vittorioso o la morte di Angela Giussani, per dire). Si andava giù di analisi e, spesso, di polemica. Si chiosava l’ultima avventura di Tex Willer e l’esordio di Dylan Dog. Protagonisti di quella rubrica erano, citando alla rinfusa, Cino e Franco, il professor Mortimer, Martin Mystere, Diabolik, ma anche Yambo, Felix Vallotton, Gabriele Galantara, Edward Hopper.
Diabolik |
Tex Willer |
La risposta crediamo non sia tanto in “quello che si racconta” ma in “chi e come ce lo racconta”, nella capacità di Antonio Faeti non solo di acutezza analitica e di precisione interpretativa ma soprattutto nella sua scrittura, nitida e affilata eppure immaginosamente ricca e vitale. La scrittura di Antonio è capace di cogliere ogni sfumatura, anche la più apparentemente inessenziale, e di restituircela come 'fondamentale' tranche de vie. Riesce quindi nell’operazione continua (fondamentale in questo caso!), di inserire la propria esperienza di vita nel fumetto e di rapportare questa a quello, senza creare gerarchie di importanza, in un flusso di racconto ricco di fascino e denso di significato.
Naturalmente quando parliamo della ‘esperienza di vita’ di Antonio non ci riferisce a grandi avvenimenti ma alle "piccole cose di pessimo gusto", ai minima moralia quotidiani (scendere all’edicola sotto casa, prendere il tram, guardare un film alla televisione, tenere una conferenza a un gruppo di maestre elementari…). Si dirà che in questo modo Antonio Faeti abdica dal compito primo dell’analista e del critico, attento com’è più alla divagazione e al contorno che non all’oggetto dell'analisi. Alla fine della lettura ci accorgiamo però che quella che Antonio ci ha tenuto, con il suo stile rotondo e pacato, così simile quando parla e quando scrive, è una complessiva lezione sul ‘metodo’, una guida sul modo di guardare e capire le figure, di leggere quello che ogni buon autore dovrebbe desiderare di mettere in evidenza; il collegamento inevitabile con i valori e gli accadimenti della sua società, del suo tempo, di tutti i tempi.
Felix Mio Mao |
ps. Non vi diremo chi era l'Ulceda della freccia. Chi non lo sapesse, o non lo ricordasse, può trovarlo a pagina 96.
Antonio Faeti, La freccia di Ulceda, di fumetto e altro, Coniglio editore, 2008, euro 18,50.
Nessun commento:
Posta un commento