venerdì 8 giugno 2012

Illustrazione d'antan. 4. Aubrey Beardsley

Aubrey Beardsley
Aubrey Vincent Beardsley nasce il 21 agosto 1872 a Brighton. Fin da piccolo viene avviato dalla madre Ellen a studi letterari e musicali, nei quali dimostra tutto il suo precoce talento. Nel 1888, dopo un soggiorno a Londra e a Epson, la famiglia rientra a Brighton dove Aubrey frequenta il Liceo e pubblica i suoi primi disegni. Tornato a Londra, nel 1889, frequenta ambienti artistici e letterari e il pittore Edward Burne-Jones lo aiuta a entrare alla Westminster School of Art. 

Nel 1893 esegue i disegni per la Morte d’Artù di Thomas Mallory. Nel 1894 Beardsley si lega d’amicizia con lo scrittore Oscar Wilde e illustra per lui Salomè, che riceve grandi apprezzamenti ma anche grandi critiche per l’ambiguità e la sensualità delle figure. Nello stesso anno comincia a collaborare con la rivista “The Yellow Book”. Nel 1897 pubblica le illustrazioni per Lisistrata di Aristofane e per Volpone di Ben Johnson. Si trasferisce poi in Costa Azzurra, sperando che il clima lo aiuti a guarire dalla tubercolosi contratta negli anni dell’adolescenza. Morirà a Mentone l’anno seguente, nel 1898, ad appena ventisei anni di età.

Aubrey Beardsley: autoritratto


Il trionfo del bianco e nero

Se è vero, come dice il poeta, che «muor giovane colui ch’al cielo è caro» allora Aubrey Beardsley, che in poco più di venticinque anni consumò una parabola quasi perfetta, osannato, vezzeggiato, combattuto da amici e avversari dovette essere molto caro agli dei!
In Beardsley si assommarono infatti tutti gli aspetti peculiari della cultura figurativa e grafica dell’Inghilterra della seconda metà dell’Ottocento: dandysmo ed elitarismo, un certo fondo mai del tutto sopito di puritanesimo vittoriano, una certa qual sospettosità verso il modernismo e le culture della società industriale, il ripiegarsi su un passato linearmente (e quindi visivamente) puro, preraffaelita (anche se di una definizione così Beardsley non avrebbe certo voluto sentir parlare).




L’opera grafica di Beardsley, vastissima se si considerano i pochi anni in cui si produsse, nasce come un frutto maturo nella sua società di origine e, pur con tutti i possibili riferimenti al passato, recente e lontano, si pone, nei fatti, come un eccipiente notevole di modernità e progresso. La cultura grafica e iconografica del nostro pesca a piene mani negli Arts and Crafts di William Morris (e non è certo insensibile al neogotico che sarà poi una delle cifre stilistiche di Arthur Rackham) e nell’opera di William Blake, per esempio, e il suo gusto per la linea, per l’alternarsi simbolicamente ieratico del bianco e del nero in una bidimensionalità pressoché perfetta, lo farà essere, comunque sia, una figura di ineludibile spicco del nascente movimento liberty.





Con molti distinguo naturalmente perché il decorativismo e la ripetitività grafica del liberty, quel certo non so che di ridondante e gratuito, che rimane anche nei migliori esempi di quell’esperienza artistica, in Beardsley cercano costantemente di diventare concetto, provocazione, narrazione. La sua opera grafica corre sempre su questo doppio binario: una estrema accuratezza formale, ai limiti della leziosità, e al contempo una forza suggestiva, simbolica ed evocativa che riesce sempre a colpire e a provocare (anche a irritare se si considerano le reazioni della società del tempo alla pubblicazione dei disegni della Salomè di Oscar Wilde, che fu uno dei grandi mentori dell’artista, o a quelli della Lisistrata di Aristofane) proprio per l’essenzialità della  sua grande carica iconica. Una carezza e un pugno, nell’ingenua e coltissima gioventù di Beardsley.


Testo tratto da: Andrea Rauch, Graphic Design, Mondadori 2006.



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