Il Museo Civico di Brisighella, intitolato al litografo e illustratore Giuseppe Ugonia (1881-1944) inaugura la stagione 2012-2013 con la mostra di disegni di Cesare Reggiani dal titolo Faenza-Marradi A/R. In essa, quasi sottotitolabile anche "Da Giani a Reggiani", l’artista ripercorre l’itinerario compiuto nell'estate del 1794 dal pittore neoclassico piemontese Felice Giani (1758-1823) lungo la valle del Lamone sull'Appenino tosco-romagnolo, realizzando un nuovo taccuino di viaggio da Faenza a Marradi.
La mostra, che sarà inaugurata sabato 15 dicembre, resterà aperta fino al 31 marzo 2013.
Cesare Reggiani, I pini di Errano |
Ferruccio Giromini
Cesare Reggiani è un artista sempre sorprendente, perché riesce a essere nel contempo – alla maniera di Italo Calvino – leggero e profondo. Leggero nella forma, che è pulita, nitida, gradevole per l’occhio, perfettamente leggibile; e profondo nelle implicazioni interpretative, che sono inaspettate, mai banali, con qualche sommesso sospetto metafisico. Le sue immagini si svelano, ogni volta, più ricche di quanto appaiano a prima vista.
Accompagnandolo in queste sue passeggiate, svagate quanto attente, lungo la strada che va dal piano al monte, avviatesi durante le calure estive e conclusesi nelle prime frescure autunnali, ci scopriamo qui invitati a condividerne sensazioni e riflessioni.
Cesare Reggiani, Nel parco di Villa Spada |
Non possiamo fare a meno di notare subito, ripassando la storia generale del vedutismo e del paesaggismo, una particolarità evidente. Rammentiamo infatti che la longeva tradizione vedutista europea non rinunciava, nei secoli, a includere nelle proprie visioni panoramiche la presenza umana: non solo come segnale di antropizzazione del territorio, con qualche casupola, torre, rudere, ma pure con qualche personcina, una pastorella, un viandante, seppure di preferenza in campo lungo o lunghissimo. E in parallelo riandiamo alle innovazioni della scuola paesaggista americana che, prima ancora delle influenze della nuova tecnica fotografica sull’Impressionismo e tutto quanto ne seguì, si consacrò devota alla rappresentazione di grandi spazi naturali infine vergini di interventi e di presenze antropiche, ritenute non indispensabili.
Oggi, dopo che tanta e tanta acqua del fiume Lamone è passata sotto i ponti, Reggiani può permettersi di fondere le due tradizioni concorrenti, insieme omaggiandole e tradendole entrambe. Infatti in queste sue immagini non si trova presenza umana; ma neppure vera assenza umana; bensì, solo, persistenze umane.
Cesare Reggiani, La stazione di Fognano |
Scartato l’approccio impressionistico, fin troppo immediato, del taccuino degli schizzi di viaggio e dell’acquerello veloce, stavolta l’artista non si è voluto porre dinanzi a questo territorio quale turista o viandante, ma piuttosto, conscio di essere faentino, quale frequentatore abituale e confidenziale dei luoghi; perciò ha scelto di soffermarsi, anche grazie al ricorso a una tecnica espressiva più lenta e riguardata, sul proprio rapporto di presunta familiarità con essi. Conseguenze inevitabili: la scoperta che la familiarità, appunto, è sempre presunta; che lo spazio per le sorprese è sempre aperto; che, per così dire, il riguardo è un raddoppio dello sguardo.
Nelle immagini da lui osservate e riprodotte – che sortiscono un bizzarro effetto simultaneo di “istantanee posate” – pertanto coesistono e quasi si sovrappongono in singolare coincidenza degli opposti l’abitato e il disabitato, il coltivato e l’incolto (la natura e la cultura), in un certo senso il pieno e il vuoto. Vi si palesano i segni dell’uomo, ma mai l’uomo.
Inoltre, spiega Reggiani, “La caratteristica che distingue la valle del Lamone da tutte le altre dell’Appennino tosco-romagnolo è la ferrovia Faenza-Firenze. Ho puntato più sulla sua presenza che sulla strada. Sottopassi, mura, stazioncine, viadotti in mattoni rossi, segnali, tratti di ferrovia che tagliano campi e boschi”. È così che assurgono a imprevisti protagonisti agrimensori del paesaggio via via binari e traversine, pali di semafori, sbarre di passaggi a livello; ma, accanto a inevitabili scorci degli abitati di Faenza Brisighella Fognano Marradi, anche grigi nastri d’asfalto, guardrail, segnali stradali di attraversamento caprioli, marciapiedi, linee di mezzeria.
Cesare Reggiani, Pieve Tho |
L’effetto di straniamento già indotto dalle righe mute e geometrie immobili delle composizioni viene aumentato dai contrasti luminosi delle atmosfere evocate, reali o irreali che appaiano.
Ombre, silenzi, piccoli fremiti di misteri aleggianti si accendono di improvvisi tocchi fantastici di rosso: ora luci, ora altre improbabili ombre – ombre rosse.
E in effetti sembra di avvertire echi americani di ampi paesaggi western, sospesi come nel film di Wim Wenders, Paris, Texas tra le lunghe note slide della chitarra di Ry Cooder.
O capita di ricordare i cromatismi vivaci delle ultime ricerche paesaggistiche di un sapiente maestro della pittura contemporanea, David Hockney.
Mentre – ora da lontano tornando vicini – si nota che l’intrecciarsi e sovrapporsi delle matite colorate sulla ruvidezza del foglio produce texture sabbiate che paiono omaggiare di proposito le delicate vibrazioni percettive ottenute nelle stesure litografiche di Giuseppe Ugonia, giustamente brisighellese.
Tout se tient, al dunque, nel ballo degli ossimori: leggerezze profonde, vuoti pieni, ombre luminose, tradizioni innovative, americanismi europeizzanti, l’ordine nel disordine (occidentale) e l’ordine del disordine (orientale), una quiete tesa – tutte vampate rinfrescanti.
"leggerezze profonde", proprio così. E continua la lezione a distanza di un grande artista romagnolo (per nascita, non per altro) che ho avuto la fortuna di incontrare. Grazie alla sua disponibilità, alle occasioni e agli amici comuni.
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