domenica 25 settembre 2011

Ubu Re, l'idiota creativo



Andrea Rauch

Chi è Ubu? si chiede nel pezzo che pubblichiamo di seguito Vittoria Ripamonti. Le risposte possono essere tante ma sopratutto Padre Ubu, creatura pata e metafisica, gran dissacratore delle convenzioni, è personaggio 'scandaloso' perché appunto incapace di rispettare quello che il senso comune si aspetta. Non è quindi un caso che sia stato sempre amato dagli 'irregolari' del mondo della grafica e del teatro, a partire dai primi schizzi di Alfred Jarry per risalire addirittura a Joan Mirò, e poi su su, verso Lele Luzzati e Jan Lenica, che dedicò al personaggio di Jarry un introvabile film di animazione, e al patafisico moderno Enrico Baj che a Ubu ha tributato più di un omaggio. La nostra casa editrice ha pronti, in attesa del proprio turno di stampa, i tre libri di Ubu, disegnati da Andrea Rauch. Sarà quella l'occasione per ripercorrere la fortuna di un personaggio tra i fondamentali del teatro moderno.


Alfred Jarry
Il cialtrone divino
Vittoria Ripamonti

Quello che fa ridere i bambini fa paura ai grandi.
Alfred Jarry


Dunque chi è, o cos’è, Padre Ubu? È un manigoldo, un vigliaccone, un subdolo, un violento, un prevaricatore? Uccide il tiranno per farsi lui stesso tiranno, dilapida fortune e ne ammassa altre, distribuisce ai poveri e toglie ai ricchi, ma toglie soprattutto ai poveri, e a tutti, per farsi più ricco. Va alla guerra ma si nasconde. Manda i soldati alla carica ma è il primo a fuggire. Con lui tutti possono cascare nella botola, “nel buco”, o sprofondare nella sua tasca, inghiottiti da quella spirale senza fondo, la sua “giduglia”, che somiglia al vortice incantato dove Alice va a cercare il suo paese meraviglioso.
E basterebbe, in fondo, quest’elenco per far apparire chiaro che Padre Ubu può essere tutto e il contrario di tutto. E quindi “è” tutto!

Il Padre Ubu esiste, – ebbe a scrivere il giornalista Catulle Mendès, nel 1896. – Misto di Pulcinella e Polichenelle, di Punch e di Karagueus, di Mayeux e di Joseph Prud’homme, di Robert Macaire e di M. Thiers, del cattolico Torquemada e dell’ebreo Deutz, di un agente di pubblica sicurezza e dell’anarchico Vaillant, enorme parodia impropria di Macbeth, di Napoleone, di un manutengolo divenuto re, egli esiste, ormai, indimenticabile. Non vi libererete facilmente di lui…

Enrico Baj
Enrico Baj

Enrico Baj
Mendès cercava di fare un ritratto fortemente negativo di Ubu e dell’opera di Jarry; in realtà finì per tracciarne il ritratto assoluto e perfetto, l’identikit, la definizione inevitabile. Perché il Padre Ubu è un ossimoro, ma è anche uno dei grandi archetipi della storia del teatro, capace di raccogliere in sé ogni imprevedibile umore e bassezza, ogni formulazione ed enunciazione idiota o visionaria. E la sua compagna, quella Lady Macbeth in sedicesimo che è la Madre Ubu, è compagna degna (o indegna che è lo stesso) di tanto discutibile, e discusso, personaggio.

(…) Il Padre e la Madre Ubu sono al di là e al di sopra di ogni senso morale e di ogni scrupolo, realmente e perfettamente “patafisici” (essendo la patafisica, secondo Jarry, la “scienza delle soluzioni immaginarie”) come aveva provveduto a disegnarli e renderli vivi il loro autore.
Ubu e la Madre si contraddicono quasi ad ogni frase, si beccano e si ingiuriano, si inventano un mondo di riferimenti trucibaldi, deliranti, improbabili. La loro disputa eterna e ininterrotta è tra dire e disdire, affermare e contraddire. Disputa feroce e insensata, patafisica anch’essa, dove ogni soluzione può essere possibile, anzi sicura, perché immaginaria e quindi intangibile.

Enrico Baj

Joan Mirò
Padre Ubu è una costruzione giocosa e ghignante, scandalosa e infantile. Nasce nel chiacchiericcio pregoliardico di un liceo, a Rennes, nel 1885, e i primi canovacci che lo vedono agire si collocano a cavallo tra la beffa scolastica e la satira d’occasione, con il racconto, epico e rapsodico, delle gesta di un professore di fisica di quel liceo, fortemente indigesto, si suppone, ai suoi studenti.
Il professor Hébert, Ebée, è, in quel liceo, tradizione orale studentesca che passa di classe in classe, di bocca in bocca, di quaderno in quaderno: le sue gesta immaginate diventano quasi leggenda. Ebée, poi Ubu, mantiene il tono di fanciulla e sapida arroganza delle proprie origini occasionali, ne sublima il tono scanzonato e ammiccante, si pone subito, volontariamente e incoscientemente, al di là e al di fuori della società teatrale e civile francese di quella fine secolo. Il Padre Ubu ne può e ne vuol fare a meno. Di quella società intendiamo. Per questo è scandaloso.

Andrea Rauch
Ubu nasce anche come burattino del Théâtre des Phynances e questa sua altra natura drammatica giustifica e stempera gran parte delle sue colossali smargiassate, ci fa pensare a delle teste di legno prontissime a entrare dentro tutti i buchi o le tasche o le ventraglie del mondo, ma altrettanto pronte ad uscirne fuori e a ricominciare dal punto di partenza, a dare e prendere bastonate.
Burattini, dalla parola facile e dal vocabolario limitato e rozzo (ma Ubu parla anche in un bel latinorum e inventa continuamente concetti e parole, merdre, jidouille..., anch’esse del tutto patafisiche, che si vanno a incastonare nel testo apparentemente come deliri verbali, come il farneticare sconnesso di un fuori di testa). In realtà, in moltissimi passi, si tratta di gustosi riferimenti letterari che partono a volte da Gargantua, passano per il liceo di Rennes e approdano spesso alle poetiche dell’avanguardia. (…)


Andrea Rauch
Andrea Rauch

Quando Alfred Jarry mise in scena Ubu roi per burattini (1896), al Théâtre des Pantin, il Pinocchio di Collodi era appena uscito a stampa, nel 1883, e tra i due capolavori ci sono assonanze significative.
Pinocchio e Ubu nascono burattini e da questa evidente natura fiabesca e teatrale derivano una sostanziale alienità dal mondo che li circonda. Entrambi dicono e non dicono, si muovono in maniera sghemba e umorale, sono tutti nervi e sensi, 'drammatici e vegetali', lontani dalla freddezza e dai rigori della ragione. Entrambi mettono costantemente in dubbio, e nei fatti negano, le convenzioni del viver civile, i sentimenti buoni, ogni possibile o ipotizzabile logica di relazione.

Andrea Rauch
Abbiamo prima detto che Ubu è scandaloso: lo è anche Pinocchio, perché non risponde per le rime ma corre via, fugge, esce dalla tangente.
Pinocchio e il Padre Ubu sono figure imprescindibili della letteratura perché seminano e agitano il dubbio. Sono personaggi borderline, a cavallo delle esperienze e delle possibilità.
Secondo una felice definizione di Lewis Hyde ripresa da Antonio Faeti, Pinocchio e Ubu sono “… tricksters, che nascono affamati, ma ben presto diventano padroni di quella forma di inganno creativo che è un prerequisito dell’arte […] Il trikster è l’idiota creativo, il saggio buffone, il bambino dai capelli grigi, il travestito, il dissacratore. Laddove un senso di onesto comportamento impedisce a qualcuno di agire, lì apparirà il trickster pronto a suggerire un’azione amorale, qualcosa di insieme giusto e sbagliato, che permetterà alla vita di continuare.



Emanuele Luzzati

Ubu quindi mette in crisi i valori del suo tempo ma non si ferma a guardare i frutti dell’albero che ha piantato. Distrugge ogni ponte alle sue spalle e fugge lontano. Sempre secondo la lettura di Antonio Faeti, la laidezza, il cinismo, la scurrilità di Ubu lo possono sicuramente far iscrivere nell’elenco, sempre in via di aggiornamento, dei grandi cialtroni. Ma l’importanza di Ubu è, già detto, imprescindibile per il teatro del novecento e la sua ‘lezione’ è quasi ‘divina’.
Padre Ubu, un cialtrone divino, quindi.

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