martedì 13 settembre 2011

Maestri 12. Emanuele Luzzati

Nato a Genova nel 1921 Emanuele Luzzati, Lele per tutti, è stato disegnatore, ceramista, scenografo, animatore. Ha illustrato un numero incalcolabile di libri e diretto per anni, insieme a Tonino Conte, il Teatro della Tosse. Per i suoi cartoni animati ha ricevuto la nomination all’Academy Awards. Muore a Genova nel 2007.

Lele Luzzati, Pistoia, 1988

L’ispirazione essenziale di Emanuele Luzzati è il fantastico, il fiabesco, l’immaginoso; temi continui che tornano e rimbalzano dalla scenografia al costume, dal libro alla ceramica, al cartone animato. Un mondo ricco di curiosità e preciso di riferimenti, quello di Luzzati; una poetica la cui mappa ideale non può non tener conto di archetipi fondamentali come Le mille e una notte e la Chanson de Roland, a esempio, la prediletta musica di Rossini (Il Turco in Italia, Il Barbiere di Siviglia, l’Italiana in Algeri, la Gazza ladra) e quella di Mozart (Il flauto magico).

I Paladini di Francia, 1962

Cappuccetto rosso, Olivetti, 1988
Le deviazioni nel mondo della fiaba classica (Perrault, per intenderci) non sono moltissime ma spesso, è il caso di Cenerentola (anch’essa mediata dalla musica di Rossini), di gran significato.
Non solo Perrault, naturalmente. Anche i fratelli Grimm trovano spazio in uno dei tanti cassetti della fantasia di Lele. Le fiabe che ha illustrato per una strenna Olivetti dei tardi anni Ottanta si iscrivono con precisione nel suo immaginario ingombro di pastelli a cera, di collages preziosi, di carte marmorizzate fiorentine.

Il tutto con un occhio a Propp e con l’universo della fiaba che non è più solo il luogo delle fantasie del bambino, ma anche e soprattutto quello delle inquietudini dell’età matura. Centrale è comunque, in tutta l’opera di Luzzati, l’interesse per la novella italiana e per tutto quello che figurativamente vi si riconnette (i re e le regine delle carte da gioco, per dire). Centrale il recupero a tutto tondo delle maschere di certa Commedia dell’arte italiana, dagli Zanni padani di Ruzante, sanguigne figure di contadini astuti e maneschi, ingenui e scurrili, ai raffinati commedianti di Isabella, comica gelosa, per finire a Pulcinella, coccolato, vezzeggiato, quasi vivisezionato da Lele in mille continue occasioni.

Pulcinella è un leit motiv nell’opera grafica e teatrale di Luzzati. Dai burattini all’opera lirica, dal cartone animato (realizzato a quattro mai con Giulio Gianini) alla filastrocca, Lele costruisce un percorso a lettura complessamente intrecciata. Da una parte, a esempio, Pulcinella è il mariuolo anarchico della tradizione, che fa pipì contro i monumenti e scappa davanti ai gendarmi; dall’altra assurge a protagonista di una fiaba tradizionale che non gli appartiene (quella del pesce magico che esaudisce ogni desiderio del pescatore ma i cui doni sono vanificati dall’avidità della petulante moglie-megera). In ogni caso irrompe nella narrazione con tutta la straordinaria virulenza di un carattere giocosamente imprevedibile. Pulcinella si muove in un contesto fisso e schematico, come quello della fiaba, con la leggerezza del proverbiale elefante nel negozio di cristalleria. Entra nella storia, la piega e la condiziona. Il suo è un agitarsi di taglio teatrale; vive e si costruisce attraverso azioni (pigrizie, gelosie, grandezze, piccinerie) concrete. Pulcinella non preesiste all’azione, come avviene per la maggior parte dei tipi della fiaba, ma di questa approfitta per scombinarla e variarla secondo i dettami della più tipica guitteria napoletana.


«Il vostro Pulcinella – scriverà Federico Fellini a Gianini e Luzzati, a proposito, naturalmente, del cartone animato – pur rispettando la tradizione della maschera napoletana che lo vuole clown fantasioso e canagliesco, surreale e tutto sprofondato nei problemi di sopravvivenza animalesca, racconta soprattutto il dramma grottesco e straziante di un uomo che vuole con tutte le sue forze essere libero

 (…) Tra i momenti di ispirazione e di riferimento di Emanuele Luzzati non si può fare a meno di citare Chagall, Bakst, Rouault. Artisti diversi che, in modi e maniere diverse, hanno influenzato il nostro. La poesia di Chagall, il suo candore, il riandare a un mondo paesano ebraico delicato e sognante, il decorativismo e il gusto del meraviglioso di Bakst, l’essenzialità del segno e la forza del colore di Rouault. Tutti elementi che appartengono a pieno al bagaglio tecnico di Lele e contribuiscono a determinarne la poetica.

Sto, Bonaventura, 1917
Su un riferimento meno importante e paludato vale però qui la pena di soffermarsi con maggiore attenzione; il signor Bonaventura, il protofumetto disegnato da Sergio Tofano (Sto) per il “Corriere dei Piccoli” nel 1917. Sergio Tofano e il suo personaggio, celeberrimo fino agli anni Cinquanta, assumono una singolare centralità nella formazione artistica e culturale di Luzzati.
Lui stesso ammette che, pur avendo completamente dimenticato le poesie di Pascoli e Carducci, mandate a memoria fin dalle scuole elementari, non è riuscito mai a farsi uscire di mente gli ottonari con cui Sto ha scritto La regina in berlina (perché Tofano, sarà bene non dimenticarlo, prima di essere disegnatore fu attore e uomo di teatro, tra i più grandi e raffinati del secolo scorso e Bonaventura non è mosso solo sulle pagine illustrate di un giornale per ragazzi ma anche, e spesso, sulla scena).
«La regina in berlina – dirà Luzzati – è stata la chiave per entrare in un mondo in cui mi sono riconosciuto e da cui poi non mi sarei mai allontanato. Infatti, quando mi chiedono da dove viene il mio modo di dipingere, di fare teatro, di scrivere e illustrare libri, io rispondo sempre: ‘da Bonaventura’. Ne "La regina in berlina" c’è tutto quello che cerco: teatralità e ironia, fiaba e dissacrazione, stilizzazione e colore e un certo mistero

Tra la grafica ordinatamente decò di Tofano e quella caoticamente patchwork di Luzzati i contatti non sembrano molti. Apparentemente però, poiché il signor Bonaventura, anche lui, muove il suo universo trasognato su strade e città che diventano sempre vera e propria scenografia. I personaggi si muovono in modo teatrale e Bonaventura può essere apparentato alle maschere della Commedia dell’arte: lunarmente irreale crea un’epopea dove a sentimenti dimessi si mescolano elementi pittorescamente fantastici. Il signor Bonaventura recita sempre un canovaccio con variazioni estemporanee sul tema. Più della storia importa quindi la caratterizzazione del personaggio ed è questa definizione che lo fa somigliare alle grandi maschere italiane, da Pulcinella a Totò.
L’identica vocazione teatrale di Tofano e Luzzati è il primo punto di contatto tra i due; poi la benevola ironia dei disegni dell’uno e dell’altro e quel non prendersi troppo sul serio. (...)

La gazza ladra, 1964
Anche per un altro fatto Luzzati può dichiararsi debitore di Tofano. Le storie (tutte le sue storie originali) sono scritte in versi; il ricordo del “Corriere dei Piccoli” è evidente («Qui comincia la sventura / del signor Bonaventura») ma nei versetti di Luzzati (La gazza ladra, ad esempio) un certo aulicismo demodé presente nei versetti del “Corrierino”, che volevano essere la risposta italiana ai balloons americani, cede ad un’ingenuità metrica che ne costituisce la sorpresa e il fascino.

Trallalallà, trallalallero
viveva in un tempo che ancora non c’ero
viveva in un bosco con gli altri uccelli
con pettirossi colombi e fringuelli
con cardellini blu, verdi e gialli
con barbagianni e pappagalli...


Dove la freschezza del verso si accompagna alla sapienza delle parole («in un tempo che ancora non c’ero...») che rimandano alla narrazione popolare, alle scansioni usuali dei repertori fiabeschi e mettono immediatamente a proprio agio il lettore situando la vicenda in un altrove vicino per simpatia culturale. (...)

Il Flauto magico, 1978

Luzzati si dice del tutto ignorante in cultura ebraica.
La sua educazione, diceva, non si è sviluppata in quella direzione. Eppure basta pensare a quante stanze (un tema tipicamente ebraico) di oggetti, accumuli di memorie e di storie, Luzzati ha disegnato per le sue filastrocche, per i manifesti, o progettato per il teatro (scatole cinesi, armadi prodigiosi) per capire quanto la volontà di permanenza viva della memoria possa avere influito sul suo essere e operare d’artista.

Le stanze di Lele sono veramente stanze della memoria, di tutti i sedimenti dell’immaginario storico, magazzini di idee e di ricordi. Entrano le une dentro gli altri, si fondono e diventano immagine nuova. Così Luzzati costruisce alcune delle sue scenografie più belle e famose; quella dell’Armida di Rossini per la Fenice di Venezia, a esempio, con le immagini di Epinal e i bestiari dell’Ottocento che si mescolano ai repertori dell’architettura classica; oppure quella per La donna serpente di Carlo Gozzi.

Armida, maquette, Teatro La Fenice, Venezia, 1985

La donna serpente, Gruppo della Rocca, 1979
«Ecco allora, qui in scena – scrive Edoardo Sanguineti – i pupi siciliani mescolati al museo delle cere, le biciclette dorate e i megafoni a vista, orienti tra il rococò e il semi Salgari. Ernst impastato con Klimt e con Fussli, le bambole meccaniche da collezionista e le bambine alla Carroll fotografo, il cantastorie da piazza e la vamp da sotto Hollywood, le scatole a sorpresa con testone dragonesco cartoanimato... le barbe finte e bianche e le spade di latta gialla e chi più ne ha più ne metta. È il surrealismo dei padri del surrealismo...» (…)

Soprattutto però nel tema della levitazione, della sospensione tra terra e cielo, del fluttuare sopra gli elementi della composizione, si riconosce chiaro il collegamento tra l’ebraismo e l’ebraica laicità di Luzzati. Scrive Giacoma Limentani: «Questi due fini apparentemente antitetici – l’elevazione dell’individuo verso il cielo e la discesa del cielo sulla terra – sono coesistenti e inscindibili nella concezione ebraica come l’anima e il corpo, che insieme formano l’unità individuale e insieme risorgeranno nell’era messianica. I maestri non si sono mai stancati di ripetere che è impossibile giungere al primo, se non per mezzo del secondo e viceversa.»

Pinocchio, Nuages, 1996
Chi vola è quindi colui che sa elevarsi, che è capace di sublimare il proprio essere terreno, che è in grado di entrare in contatto con il cielo, con la divinità. Solo lo sciamano e il giusto possono raggiungere, nel mito, l’elevazione. L’ottica bonariamente mondana di Lele eleva quindi i propri personaggi positivi: nei suoi disegni e nei suoi manifesti volano Pinocchio, i tre fratelli, il mago Urluberlù. Sciamani molto particolari, come si vede. (…)

Testo tratto da: Andrea Rauch, Il mondo come Design e rappresentazione, Usher Arte, 2009. 

1 commento:

  1. grande Lele... segnalo il mio modesto omaggio nell'umile spazio http://illustrautori.blogspot.it/2011/01/emanuele-luzzati-1921-2007.html

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