giovedì 18 agosto 2011

Cappuccetto e cappuccetti


Roberto Innocenti ci ha raccontato una Cappuccetto rosso nelle periferie di complessa modernità, dramma e favola e presa di posizione sociale e politica al tempo stesso. Il Cappuccetto di Roberto è dunque 'rivisitato' nella ‘lettera’ ed è questo il destino cui va incontro sempre la fiaba quando passa di bocca in bocca, di cultura in cultura, di paese in paese, di tempo in tempo, e in ogni momento aggiunge i sedimenti di nuove narrazioni e interpretazioni (storiche, letterarie, antropologiche) a quelle precedenti. È in fondo la teoria, cara agli antropologi, del “soffio sulla cenere”, che solleva scintille che ricadono in ogni dove senza che se ne possa rintracciare l’origine. Patrimonio comune, quindi, di tutti i popoli e le culture, metafore che, da vernacolari, si fanno universali.


Di Cappuccetto rosso, comunque, ben si conosce l’atto di nascita letterario, quel 1697 quando Charles Perrault dette alle stampe i suoi Racconti di Mamma Oca (Le Petit Chaperon Rouge), e si conosce molto bene anche la rivisitazione che, nel 1812, i Fratelli Grimm pubblicarono nel loro Kinder- und Hausmärchen (Rotkäppchen) Le due narrazioni, sostanzialmente simili se non per il finale, sono le versioni più note della fiaba e raccontano delle difficoltà di entrare ‘nel bosco’, di mettersi in contatto con la trasformazione del proprio corpo, con i complessi edifici irrisolti o in via di risoluzione. Una fiaba di formazione e di crescita che nega o riconferma il ruolo protettivo della paternità, che si nutre delle passioni ‘rosse’ della bambina e del suo entrare e uscire (o entrare e ‘non uscire’, secondo Perrault) da quel bosco misterioso che è la propria sessualità. Ma di tutto questo parla molto bene Bruno Bettelheim e al suo Mondo Incantato rimandiamo il lettore che volesse saperne di più e di meglio.

Gustave Doré, 1867
Per quanto riguarda l'illustrazione va da sé che una prima doverosa citazione si deve a Gustave Doré che, della versione di Perrault, ci ha dato immagini irrinunciabili. La bambina non ha un cappuccetto innanzitutto, ma un cappelluccio a ricottina, e la sua familiarità con il lupo, specialmente nella scena del letto, ce la rende quantomeno sospetta. Qui non c’è paura né conflitto; Cappuccetto, accanto alla nonna-lupo, appare quasi complice del malfattore. Sacrifica la sua innocenza con impudica noncuranza, è serena, tranquilla, non ignara di quanto sta succedendo. Se non complice, almeno connivente.

Gustave Doré, 1867

Emanuele Luzzati, 1988
Naturalmente l’esempio di Doré è il più illustre e nel corso degli anni le versioni di Cappuccetto poco o molto significative si sono contate a centinaia: senz'altro da ricordare quelle di Lele Luzzati (contenuta in una strenna Olivetti del 1988), quelle di Kveta Pacovska, Tony Ross e Lisbeth Zwerger, quelle cromatiche (giallo, verde, blu, bianco...) di Bruno Munari.

Un accenno anche alla rivisitazione del 1934 dovuta a Walt Disney che introduce Cappuccetto nel mondo dei suoi tre porcellini e ne dà una versione umorale e sapida, contrapponendo la leziosità danzata di Cappuccetto alla voracità sanguigna e picara del lupo. Siamo qui all’interno di un topos di Disney (‘Squadra che vince non si tocca’) ma di tutto quanto siamo andati fin qui dicendo, sessualità, formazione, complessi edipici irrisolti, non si trova traccia.



Di ben altra modernità e sensibilità le versioni che, in anni a noi più recenti, hanno dato della fiaba Sarah Moon, Chiara Carrer, Nicoletta Ceccoli, Octavia Monaco e Fabian Negrin.

Sarah Moon, 1983
Sarah Moon è una grande e celebrata fotografa di moda e si avvicina a Cappuccetto tramite i buoni uffici di Etienne Delessert che aveva progettato e realizzato, all’inizio degli anni ’80, una collana di libri di fiabe edita in Francia da Grasset e in America da Creative Editions, e che si avvaleva dell’opera non solo di illustratori famosi, ma anche di grafici, fotografi, artisti, di gran prestigio. Dell’importanza complessiva di quelle edizioni (mai pubblicate in Italia) dovremo comunque riparlare.

Sarah Moon illustra la fiaba di Perrault con 12 foto notturne crudeli e impietose. La bimba Cappuccetto si aggira nella città di notte, corre per le strade deserte, incontra naturalmente un lupo (se ne vede solo l’ombra ma il segno della sua presenza perversa e incombente, l'auto nera di gran lusso, invade le pagine), e alla fine lascerà traccia della sua esistenza disincantata e impaurita solo tra le lenzuola di un letto sfatto.

Sarah Moon, 1983

Chiara Carrer e Nicoletta Ceccoli (inserite da Tiziana Roversi nella mostra bolognese, dedicata qualche anno fa  a Nero lupo, rosso Cappuccetto) si segnalano soprattutto per la sottile e intrigante ambiguità che pervade le loro illustrazioni.

Chiara Carrer, 2005
Chiara parte da lontano e illustra una preesistenza, recuperata dall’antropologo Paul Delaure, nella tradizione orale francese. La fiaba de La bambina e il lupo è ben più antica della versione di Charles Perrault. È una storia 'di donne', una sorta di protoguerra dei sessi che va combattuta senza esclusione di colpi, cruda come ogni storia archetipica, dove la bambina vince perché riesce a superare la prova.

Le  illustrazioni di Chiara Carrer, pubblicate in volume da Topipittori nel 2005, sono magnifiche e inquietanti nella loro essenzialità. Tutte giocate con collages 'elementari' sui toni del rosso e del nero, con poche tracce di giallo paglierino. La bambina è aperta, curiosa, timorosa, impaurita, scaltra come deve essere. Il lupo Bzou è inquietante e luciferino, perfido, sanguinario e libidinoso, ma l'angoscia palpabile del racconto nasce semmai dal contesto in cui i personaggi agiscono, nelle aperture teatrali di rosso e nero, negli squarci di luce, nell'intreccio spinoso dei boschi.

Attenzione; la trama è molto simile al consueto. La bambina va a portare alla nonna la focaccia calda e il latte. Il lupo Bzou la precede lungo la strada delle Spine e si mangia la nonna "ma non tutta; un po' ne mise da parte nella credenza, caso mai più tardi gli fosse venuta fame".
Poi si mette a letto ad aspettare la bambina. Che viene, e il lupo cerca di farle mangiare i pezzetti avanzati della nonna; la bambina si spoglia e si mette a letto con il lupo. Quando si arriva a "che bocca grande che hai", "per mangiarti meglio", la bambina però vuole uscire all'aperto perchè le scappa la pipì. Il lupo deve farla andare ma le lega un filo di lana ad una caviglia per costringerla a tornare indietro. Appena fuori, la bambina strappa il filo e fugge libera verso casa.

Chiara Carrer, 2005

Una prova magistrale di Chiara Carrer. Sono tocchi lievi, quasi avari di segno, ma netti e precisi, quelli di Chiara; riescono a trasmettere quella sorta di angoscia che le grandi fiabe debbono e sanno trasmettere.

Nicoletta Ceccoli, 2005
Nicoletta Ceccoli illustra la versione dei fratelli Grimm e sovrappone al finale consolatorio di quella lezione (il cacciatore che arriva a salvare nonna e nipote dalla pancia del lupo), le angosce e le ambiguità che costituiscono da sempre, la sostanza del suo disegnare.
Colori densi e figurazioni sfumate. Una natura apparentemente serena, ma nella sostanza ‘liquida’, quella che prende Cappuccetto e che vorrebbe, insieme al lupo azzurro, sinuoso come un serpente, avvolgere la bambina tra le sue spire e farla scomparire al suo interno. Nicoletta Ceccoli mette in scena una sorta di cannibalismo morale, e della fisicità dei personaggi mantiene solo la carica onirica e deviata, più da incubo che da sogno.

Octavia Monaco, 2005
Octavia Monaco, anche lei nella mostra bolognese di Tiziana Roversi, illustra un'altra  delle fiabe 'parallele' di Cappuccetto; quella Finta nonna che era già stata inserita da Italo Calvino nel corpus delle Fiabe italiane.
D'altra parte Octavia non poteva fare scelta più conseguente, abituata com'è a illustrare i suoi libri 'sovrapponendosi' al testo e svolgendo così un proprio discorso artistico conseguente e parallelo. Le illustrazioni ci appaiono quindi completamente riferite e completamente 'astratte'; raccontano una storia per via di suggestioni e impressioni, nulla concedendo all'ovvio e al già visto.

Ultima citazione per Fabian Negrin, che disegna per Orecchio Acerbo, nel 2003, la storia della bambina vista dalla parte del lupo. Una storia di incanti e passione, In bocca al lupo, di equivoci e malintesi con Cappuccetto, dal lunghissimo cappello rosso, che avanza nel bosco e con il lupo Adolfo che si innamora di lei perché non ha mai visto cosa più bella. Il cacciatore verrà a spezzare l'incanto e l'angelo-lupo non potrà che salutare dall'alto di una nuvola il suo perduto amore. Una riscrittura in piena regola ma d'altronde Fabian ci ha abituato da gran tempo a non stupire mai di nulla, a gustare con curiosità e sorpresa tutto quello che esce dalla sua magica penna di illustratore e di scrittore.

Fabian Negrin, 2003

1 commento:

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