Sergio Toppi, autoritratto |
L’albero di fiamma
Guido Martina scrive, per la Scala d’Oro Utet alla fine degli anni cinquanta, una storia di indiani Sioux e Algonchini con protagonista Nadove, il piccolo ‘preda di guerra’ allevato dal Gran capo Sioux Uazi. Il romanzo è un affresco etnico, si potrebbe dire oggi, ma anche un romanzo di formazione. Ci racconta della crescita, dell’educazione, dei giochi, delle prime cacce e dei primi amori di Nadove, di come conquisti la sua prima penna, di come diventerà un vero guerriero Sioux (Martina li chiama Siù) e riuscirà a portare la pace con gli Algonchini.
Sergio Toppi, L'albero di fiamma, UTET, 1957 |
Come si muove Sergio Toppi all’interno di questa storia? Con rispetto e semplicità, chiosando e accompagnando il testo con tavole quasi monocromatiche (toni di blu, di giallo, di rosso…), con pennellate leggere eppur decise. Il pennello di Toppi scolpisce i corpi e i muscoli, accenna pieghe di stoffa e suggerisce ombre. Sono, quelle dell’artista, impressioni in movimento che non lasciano nulla al caso e che, anzi, mentre danno sostanza visiva e immaginosa al testo di Martina, si cercano anche una propria lettura e un proprio spazio autonomi, offrendo al lettore ulteriori suggestioni e informazioni (‘scientifiche’, senza volerlo sembrare!) sugli usi e i costumi degli indiani d’America, sulle loro vesti, sui segni e sui colori di guerra, sui tee-pee e sui totem, sullo scorrere della vita quotidiana e sulla simbologia religiosa.
Sergio Toppi, L'albero di fiamma, UTET, 1957 |
In più, le illustrazioni di Toppi si inseriscono con sapienza tipograficamente avvertita nell’architettura della pagina: sembrano non voler mai turbare la narrazione, non cercano cortocircuiti o ‘rotture’ visive ma si insinuano, soavemente invadenti, nelle pieghe del testo. I bisonti e I cavalli corrono, inseguiti dai cacciatori, braccati dalle frecce e dai colpi di fucile, da una pagina all’altra, descrivono campi cinematografici medi e lunghi, tornano a primi piani d’azione drammaticamente definita.
Di passata si potrà notare come l’Albero di fiamma sia stato destinato, nella programmazione della Scala d’Oro, nel 1957, ai bambini di sette anni. Chiunque abbia letto, sfogliato, guardato le figure di questo gioiello narrativo ed editoriale può trarre da solo, senza bisogno di alcun commento, le considerazioni sul caso.
Il Sergente Kirk
Il cinema è una passione che accompagnerà Toppi per tutta la vita. E non solo nella ovvia funzione di spettatore affascinato ma anche in quella di osservatore interessato, capace di analizzarne la lezione pro domo sua e di trasferirla, con le sue ragioni, nella propria arte.
Il cinema, lo dice la stessa etimologia, è movimento, azione, scorrere di tempi e sovrapporsi di immagini. Racconta una storia in momenti successivi e complessi, ed è capace, proprio per il suo dilatarsi temporale e particolare, di introspezione e approfondimento. Il fumetto, racconto disegnato, si dilata anch’esso nel tempo e nello spazio e può quindi assolvere agli stessi compiti, ma l’illustrazione, la singola immagine racchiusa in un unico foglio di carta, come può riuscire a raccontare una storia, a dare suggestioni sovrapposte e diverse, a soddisfare in pieno quell’ansia di informazione e comprensione che prende, o dovrebbe prendere, il lettore che si ferma ad osservare la copertina di una rivista o di un libro, oppure la tavola di complemento di un testo?
È questo un punto centrale della riflessione grafica di Sergio Toppi; quel cercar di mettere in essere tutto il possibile per racchiudere ogni significato in una sola immagine al tempo stesso riassuntiva e simbolica. Per questo Toppi guarda con grande interesse al cartellonismo cinematografico degli anni di mezzo, alle temperone di Nano Campeggi per dire, che davano, nelle locandine, la sinopsi visiva del film, con i volti degli attori in primo piano e brandelli di azione che scorrevano nel background. Fuori dal cinema, appesi alle teche d’ingresso, quei cartelloni ci prefiguravano la storia; potevamo immaginarcela, veder quasi gli spazi di collegamento e di emozione che la pellicola ci avrebbe offerto. Fuori del cinema noi spettatori eravamo gli ‘attori’ della pellicola, i personaggi principali che dovevano, per essere invogliati ad entrare e a comprare il biglietto, partecipare, con un atto creativo di immaginazione emozionale, allo svolgersi dell’evento. (...)
Sergio Toppi: il segno della storia, Bologna, 2009 |
Toppi trasferisce questo tentativo di esperienza nelle sue illustrazioni e quindi, nelle copertine dei libri e delle riviste. I piani si sovrappongono, le storie si intrecciano, le emozioni si confondono, i simboli recitano una loro ambigua parte in rapporto stretto con i protagonisti dei disegni. Ancora primi piani e piani medi e lunghi ma, rispetto alle tempere nazionalpopolari delle locandine cinematografiche, le illustrazioni di Toppi possono dilatare i tempi di lettura e quindi usare tecniche di disegno più raffinate e complesse, spugnature e marezzature di colore, arabeschi di linee, ragnatele di segno. Sempre comunque con una fusione perfetta e una complementarità assoluta di piani che non sono più ‘parti’ di azione per definire il ‘tutto’ ma che diventano esse stesse ‘segno unico’, quasi gestaltiche nell’uso del pieno e del vuoto, del bianco e del nero, della massa e del vuoto.
Sergio Toppi, Copertina n. 45 Sgt. Kirk |
Sergio Toppi: il segno della storia, Bologna, 2009 |
Con il fascicolo in mano, osservando i segni graffiati del grande sombrero-sole rosso (anche un simbolo quindi?), dobbiamo raccontarci da soli una storia possibile, seguirne le suggestioni e gli stimoli. Se vediamo per la prima volta quelle copertine e non ne abbiamo altre notizie, si può farne prova. Ogni coperta del Sergente Kirk ci offre una full immersion nelle pieghe del nostro particolare immaginario.
Il disegno di Toppi ci permetterà, prima di alzare il sipario, di prefigurarci uno scenario personale, magico e irripetibile.
Sergio Toppi, Ticonderoga, Nuages, 2002 |
Quando Robert Louis Stevenson buttò giù i versi della sua ballata, nel maggio del 1887, Ticonderoga poteva essere ancora una parola sconosciuta e misteriosa, magica. Facile quindi collegarla ad una leggenda delle highlands scozzesi mettendo in secondo piano la parte che Fort Ticonderoga ebbe nella storia della Guerra d’indipendenza Americana.
La ballata racconta dell’amicizia, tradita da una parte e rispettata dall’altra, tra i clan Stewart e Cameron. Cameron offre ospitalità allo Stewart che gli ha ucciso il fratello e gli promette, inconsapevole, ogni protezione. Manterrà la parola anche quando il fantasma del fratello verrà a chiedere vendetta. Tre volte compare il fantasma a richiamare la voce del sangue e tre volte la vendetta è rifiutata. L’ucciso, prima di scomparire per sempre, pronuncia parole oscure:
It shall sing in your sleeping ears,
It shall hum in your waking head,
The name – Ticonderoga,
And the warning of the dead.
Ticonderoga è parola mai udita, incomprensibile, che, per quanto si chieda, nessuno sa decifrare. Cameron inseguirà quella parola, quell’incubo di morte, attraverso tutte le guerre e i popoli d’Europa e d’Asia e alla fine riuscirà a trovarla, nelle foreste d’America. L’uomo con la painted face dirà a Cameron che quella terra i francesi l’hanno chiamata Sault-Marie (“un nome da preti”), ma il vero nome è for you and me, Ticonderoga. Al mattino, nella battaglia campale, Cameron perderà la vita andando incontro alle parole della profezia “… far from the hills of heater, far from the isles of the sea”.
Sergio Toppi, Ticonderoga, Nuages, 2002 |
Sergio Toppi disegna Ticonderoga nel 2002 per un libro Nuages. È opera della piena maturità dell’artista, un gioiello straordinario, quasi la summa delle sue epoche ideali e progettuali.
Le tavole si svolgono tra le brume delle highlands e quelle del nord America, tra terre d’Oriente e notti gotiche. I personaggi compaiono tutti alla ribalta, si affollano, avanzano e indietreggiano, mettono in primo piano i simboli delle loro terre e delle loro angoscie, i colori delle steppe e quelli dell’erica, i fumi delle battaglie e l’oscurità azzurrata dei boschi.
Sergio Toppi, Ticonderoga, Nuages, 2002 |
I disegni si appoggiano sul bianco carta e da quel bianco il movimento e l’azione sembrano sempre nascere o fuggire, dal bianco sorge la luna o avanza la notte. Il foglio da disegno e le figure, gli arabeschi e le spugnature, i campi lunghi e i primi piani. Una magistrale, inarrivabile, prova d’artista.
Testo tratto da: Andrea Rauch, Le parti e il tutto, in Sergio Toppi, Il segno della storia, a cura di Hamelin, Black Velvet, 2009.
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