martedì 20 settembre 2011

La morale universale di Esopo

La fortuna di Esopo e delle sue favole non accenna a diminuire e non si limita certo alle sole versioni scolastiche o alla citazione, d'obbligo, di alcune storie esemplari, passate in proverbio. Per andare solo ai momenti più significativi della 'riscoperta' del favolista greco si potrà ricordare la grande mostra, di pochi anni fa, curata a Modena da Paola Pallottino (Esopo e la Volpe, 2009), oppure la recente pubblicazione delle Favole illustrate da Simone Rea per Topipittori. Anche noi abbiamo portato il nostro vaso a Samo e il 22 settembre sarà in libreria  Le favole del Lupo e della Volpe, a cura di Tiziana Roversi, edizioni Prìncipi & Princípi, con le illustrazioni di un maestro 'storico' dell'illustrazione: Pirro Cuniberti

Il volume sarà presentato a Bologna, presso la libreria Giannino Stoppani, Palazzo Re Enzo Via Rizzoli 1f, domenica 2 ottobre alle ore 16, alla presenza del Maestro Cuniberti, che firmerà le copie del libro. Pubblichiamo di seguito una riflessione di Alessandro Savorelli, docente alla Scuola Normale Superiore di Pisa, su Esopo 'effimero ed eterno'.


 

Effimero ed eterno, greco e universale
Alessandro Savorelli

Esopo effimero. Giorgio Manganelli scriveva della favola esopica che «è una fulminea epifania», un disegno umile, eseguito con estrema parsimonia. Un «disegno nella sabbia», povero insieme di punti e linee, subito cancellato dal mare. Immagine straordinariamente felice per descrivere la brevità di Esopo: il sorriso del lettore non s’è ancora spento e le implicazioni della ‘morale’ della favola’  non sono ancora tutte dedotte, che si ha il desiderio di leggerne un’altra, anche se il mare la cancella di nuovo, per via della sua fragilità. Esopo – continua Manganelli – è l’anti-Omero: «i due luoghi terminali della fantasia greca, da una parte uno dei grandi insondabili templi del mondo, dall’altro un sasso attentamente lavorato da un anonimo contadino, e piantato nel suolo accanto ad una tana di lepri, tra rovi ed ulivi».

Esopo eterno. Pietro Pancrazi, nel 1930, proponendo una sua antologia di Esopo, spiegò con grande chiarezza la differenza tra “fiaba” e “favola”: la “fiaba” racconta un evento, che accade una volta sola; la “favola” narra qualcosa di eterno, che «accade sempre». Ed accade sempre perché, nonostante l’illusione del progresso, i vizi e le virtù degli uomini sono sempre gli stessi, e nessuno come Esopo è riuscito a fissarli in un’icona indelebile: ogni favola si può tradurre in una sola immagine semplice, comprensibile in ogni luogo e in ogni tempo e quasi sempre traducibile in un proverbio. Chi ha letto una volta la favola del lupo e dell’agnello o della volpe e della gru, se le ricorda per tutta la vita e sempre di nuovo riconosce in quelle esili maschere uomini malvagi e dabbene, o vi va comparando situazioni e cronache.



Esopo è dunque effimero ed eterno al tempo stesso. Perché le sue ministorie hanno il gusto di una battuta di spirito, che si racconta per strada. Ma è una battuta che  sempre ci ritorna in mente, dopo 2500 anni, di fronte allo spettacolo della vita.

Ed ancora: Esopo al tempo stesso greco e universale. Greca – che più non si può – è la sua morale: non scontro epico di ‘vizio’ e ‘virtù’, ma demistificazione del potere e dell’inganno, amara descrizione della realtà e razione di prudenza per chi si trovi a destreggiarsi tra forza e innocenza, ipocrisia e sincerità, violenza e astuzia, stupidità e intelligenza, vanità e modestia. Eppure è morale universale, che ha resistito col mutamento della società e delle religioni, e alla quale tutti hanno finito per attingere, ora riscrivendola (Fedro, La Fontaine, Lessing, Trilussa…), magari adattandone il senso: la gru che toglie l’osso dalla gola della volpe si ritrova nei capitelli delle abbazie cristiane, letta come esempio di virtù cristiana; il lupo e l’agnello passano nell’ideologia dei Comuni  medievali, fissandosi in icone che rammentano i soprusi dei ‘magnati’ contro il ‘popolo’.

Nicola e Giovanni Pisano, Il lupo e la Gru, Perugia, Fontana Maggiore
Nicola e Giovanni Pisano, Il lupo e l'Agnello, Perugia, Fontana Maggiore

Se non sapessimo da dove viene l’originale, potremmo pensare che la favola del cane e del lupo, col suo elogio della libertà, sia l’apologo di un filosofo illuminista. O che lo scimmiotto vanesio e incapace sia l’invenzione di un vignettista contemporaneo, che fustiga un ceto politico degradato di ‘nani e ballerine’.

Pirro Cuniberti, Il Cane e il Lupo

Pirro Cuniberti, La Volpe e lo Scimmiotto


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