giovedì 25 agosto 2011

Maestri 6. Bruno Munari

Nato nel 1907 a Milano, Bruno Munari ha percorso l’arte e la cultura del progetto del Novecento lasciando ovunque tracce significative: dalle Macchine inutili (1942), ai Libri illeggibili (1950) i suoi progetti sono sempre borderline, a cavallo tra razionalità e fantasia, ma diventano anche rigorosa attività editoriale (Einaudi e Bompiani a esempio) e industriale (Danese). Muore nel 1998. I libri di Bruno Munari sono pubblicati da Corraini.

Bruno Munari


Cercando rose nell'insalata

Nella nebbia di Milano, Emme 1968
Ho incontrato Bruno Munari per la prima volta in un bancone della Feltrinelli di Firenze. Era in un piccolo libro quadrato, con la coperta dura, uno dei primi che Rosellina Archinto andava stampando per le appena nate edizioni EmmeLibri per i figli dell’architetto» si diceva allora).
Era il 1968 e il libro si chiamava Nella nebbia di Milano. Si avanzava in tram verso la periferia milanese attraverso una nebbia fatta di fogli di carta trasparente stampati in nero opaco. La nebbia era quasi tattile ma si diradava mentre ci si avvicinava «alle luci rosse e gialle del gran circo» dove si celebrava, poi, il completo trionfo della cartotecnica.
Pagine diverse, coloratissime, fustellate, tagliate, bucate. Ogni apertura una sorpresa, un’emozione nuova, un gioco diverso; perché Bruno Munari ha sempre giocato a suscitare emozioni, raccogliendo e manipolando oggettini minuti, trasformando piume, pietruzze o ritagli di carta.

Nella nebbia di Milano, Emme 1968

Ed è singolare che una delle figure più importanti del visual design contemporaneo (della cultura del progetto, quindi) fosse tanto interessato sia alla razionalità della progettazione quanto alla casualità con cui le idee possono associarsi e mescolarsi tra loro.

Ogni oggetto ha, per la curiosità fanciulla di Munari, una vita propria determinata non solo dall’uso ma anche, potremmo dire, dalle possibilità di uso che offre. Il catalogo completo della sua opera è quindi anche un campionario di oggetti possibili, di metamorfosi delle forme, di reinvenzione del quotidiano. Con quell’anarchia di fondo, quell’insofferenza delle regole, che diventa totale libertà creativa per sé e rispetto profondo per la fantasia di ognuno.

Filastrocche in cielo e terra, Einaudi, 1960
A Munari non è mai interessato il bel disegno o la bella illustrazione («Il bambino non ama le illustrazioni fatte a freddo anche se molto belle artisticamente. Il bambino sente quando l’illustrazione gioca con lui»); interessa invece che l’illustrazione si leghi con la natura intima dell’oggetto da illustrare e parli una lingua (un codice) immediatamente percepibile. Come per le Favole al telefono di Gianni Rodari che vengono illustrate con i ghirigori (disegnetti distratti, nuvole di inchiostro sparse per le pagine) di chi scarabocchia durante una conversazione telefonica. Oppure come la sua favola Cappuccetto bianco che narra la storia della bambina che incontra il lupo sulla neve.
Le pagine di quel libro, lo avrete già capito, sono completamente bianche (Cappuccetto bianco sulla neve bianca) ma proprio per questo illustrano in maniera perfetta la storia.

Rose nell'insalata, Einaudi, 1982

Bruno Munari era, ovviamente e continuamente, attirato dalle cose piccole; dalla forma di un sasso (che poteva essere un’isola), da un intreccio di fili colorati, dalle rose che si possono stampigliare con un gambo di insalata, o un grumo di carciofo, e un tampone d’inchiostro.

Scimmietta Zizi, 1953
Munari era in questo veramente simile a quel bambino che adora ricevere giocattoli in dono perchè così può tagliuzzare a piacere la carta che li avvolge e farla diventare, con poche pieghe, aeroplanino, barchetta, cappelluccio, oppure pallina da prendere a calci.

«Per progettare un giocattolo in maniera corretta – scriveva – bisogna immedesimarsi nella natura infantile. Considerare ciò che un bambino può aspettarsi da un giocattolo. E siccome il bambino è di fronte al mondo in maniera globale, non si può progettare un giocattolo che sia solo bello da vedere, senza preoccuparsi che sia anche piacevole da toccare, che sia modificabile, trasformabile, smontabile...  Meglio ancora è insegnare ai bambini a costruirsi da soli i propri giocattoli.»



Durante la preparazione della mostra Disegnare il libro (Bologna, 1987), che si occupava della grafica editoriale nel secondo dopoguerra, Munari ebbe a dire:
«Mi si chiede come sia possibile conciliare il mestiere di graphic designer con quello di industrial designer e questo con quello di illustratore e poi magari con quello di pittore [...]
Un gatto ha le unghie, ha il pelo, ha le zampe agili e la coda flessuosa: tutti elementi che fanno parte di lui e lo definiscono. La personalità di qualunque artista dovrebbe sempre essere così, curiosa e variegata, complessa, capace di intervenire su ogni singola operazione con un rapporto pieno e aderente al momento. Purtroppo spesso non accade questo; l’artista, sia che gli si chieda di progettare un barattolo o un libro, pensa in modo univoco e progetta nel suo stile senza troppi sforzi di riferimento al problema che viene posto. Eppure Leonardo non faceva così. Quando disegnava la Gioconda non si poneva il problema, anche tecnicamente, nello stesso modo di quando progettava idee di idraulica o di meccanica.
Ecco, Leonardo interveniva rapportandosi con l’oggetto, come il designer dovrebbe sempre fare


Tantibambini, Einaudi, 1971
E ancora per quanto riguarda la sua esperienza specifica sui libri per l’infanzia:
«Per un designer la collaborazione è sempre utile, spesso indispensabile. Un esempio. Quando ho progettato per Einaudi la collana ‘Tantibambini’ ho commesso, insieme però a tutto il comitato di redazione della casa editrice, l’errore di non interpellare un libraio. Cosa era successo?
Semplicemente che abbiamo cercato di coniugare la qualità con il prezzo e abbiamo dato alla libreria un prodotto a prezzo tanto basso da non incentivarne la vendita. I librai non erano motivati ad appoggiare l’operazione e si ebbero dei veri boicottaggi.
Senza il necessario appoggio della rete di vendita ogni operazione editoriale corre seri rischi.
Fu una grande delusione ma anche una bellissima esperienza complessiva. E pensare che nacque quasi per caso. Durante una riunione del comitato di redazione mi accorsi, infatti, che tutti parlavano di libri per bambini confondendoli con quelli per ragazzi. Lo dissi, e Giulio Einaudi prese la palla al balzo.“Falla tu, allora, una collana di libri per bambini!” E io la feci.
 

Tantibambini, Einaudi, 1971
Con Molina, che allora dirigeva l’ufficio grafico della casa editrice, studiammo una formula, si può dire, rivoluzionaria. Il libro non aveva cartonatura (che incideva molto sul prezzo di vendita) e il racconto cominciava direttamente dalla prima pagina-copertina. Non era questo il solo motivo di novità. Il racconto seguiva quasi sempre un taglio cinematografico che poteva essere con facilità capito dai bambini.
Alla collana collaborarono, poi, non solo illustratori ma anche grafici che per la prima volta si avvicinavano allo specifico bambino: Pino Tovaglia, Giancarlo  Iliprandi, André Francois, Ferenc Pinter, per fare solo qualche nome.
»

Testo tratto da: Andrea Rauch, Il mondo come Design e rappresentazione, Usher Arte, 2009. 

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