lunedì 12 dicembre 2011

Maestri 22. Roberto Innocenti

Roberto Innocenti è nato a Bagno a Ripoli (Firenze) nel 1940. Tra i suoi titoli principali: Rosa Bianca, Le avventure di Pinocchio, Storia di Erika. Il suo ultimo libro è La casa del tempo (La Margherita). Di prossima uscita Cappuccetto rosso (Creative Editions) e L'Isola del Tesoro (Prìncipi & Princípi). Ha vinto la Mela d’oro alla Biennale dell’Illustrazione di Bratislava e l’Ibby Andersen Award, unico illustratore italiano nella storia del premio, nel 2008.

Roberto Innocenti

«Dove si muove Pinocchio –  scrive Antonio Baldini –, per quali strade, per quali campi, per quali paesi? Certo è apparentemente facile la risposta... l’universo dei segnali che affollano il lettore non può che riferirsi ad un unico posto, dove è possibile ritrovare paesi bui e vecchietti stizziti con il berretto in testa, case porticate con dietro il bindolo e la cisterna per annaffiare gli ortaggi e colazioni a base di caffelatte: il gusto di cose viste in Toscana; e viste per di più nella beata toscanina di Leopoldo.»
La Toscana del Granduca è quella degli anni precedenti l’unità d’Italia, con i paesi abbarbicati sulle montagne, i contadini con il pastrano grigio ferro e il mezzo sigaro in bocca, con le viottole limitate da muretti alti e scrostati, l’acciottolato di pietre e sassi sconnessi.

Roberto Innocenti per Le avventure di Pinocchio

Roberto Innocenti per Le avventure di Pinocchio

Roberto Innocenti cataloga con cura gli elementi del paese di Pinocchio. Nelle sue illustrazioni compaiono cataste di legna secca e porte inchiodate alla meglio, persiane verdi scrostate dal tempo e covoni di paglia coperti di neve, cipressi neri e glicini sfioriti. Sulla tavola dell’osteria del Gambero Rosso, una buona vecchia bottega toscana, c’è il pane e il pecorino, c’è il salame. Attaccati alle travi del soffitto finiscono di stagionare i prosciutti. Quattro contadini cotti dal sole e riscaldati dal vino rosso si giocano a scopa la loro serata e il gatto allunga una zampa a tentare la filza di salsicce. Nel disegno nulla è lasciato al caso, né alla suggestione; tutto è descritto con cura, inventariato con puntiglio.

Roberto Innocenti per Le avventure di Pinocchio

Il Gatto e la Volpe entrano in sordina, sullo sfondo. Pinocchio si guarda alle spalle, indeciso quasi se entrare anche lui. I due compari sono intabarrati e tetri; un oste dal naso rosso e dal grembiule sporco si arriccia i baffoni. Si può continuare con le notazioni, esaminare ogni centimetro di disegno. Come in un’orchestra i singoli suoni servono però soltanto a definire l’assieme. E il suono generale del Pinocchio disegnato da Roberto Innocenti non è tanto quello delle avventure quanto quello dell’ambiente in cui i personaggi si trovano ad agire.

Roberto Innocenti per Le avventure di Pinocchio

Il paese di Geppetto, che sente i primi passi del burattino (ricordate: «... quel birichino di Pinocchio andava a salti, come una lepre, e battendo i suoi piedi di legno sul lastrico della strada faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini»), è visto a volo d’uccello, come dalla finestra alta di una torre; la gente che assiste alle marachelle di Pinocchio rientra nello sfondo, si definisce in piccoli atti di contorno. Mentre il carabiniere porta via uno sconsolato Geppetto e il burattino sgattaiola via per la scesa, c’è tutto un mondo paesano che, solo momentaneamente distratto dal clamore, altro non aspetta se non riprendere il proprio ruolo abituale.
Il carbonaio andrà a consegnare la legna che porta in spalla, la chioccia, radunati i pulcini, li spingerà verso il pollaio, i bimbi continueranno i loro giochi poveri. Il vinaio, venuto sulla porta di bottega, si asciuga le mani bagnate; alla fine del trambusto, fra un minuto, riprenderà quello che ha interrotto. In questo microcosmo di dimessa quotidianità poco importa quali siano le beghe di Pinocchio e Geppetto. Niente più che un fatto in mezzo a tanti altri, magari più rumoroso, capace di attirare l’attenzione per un attimo.

Roberto Innocenti per Le avventure di Pinocchio

Roberto Innocenti per Le avventure di Pinocchio

Le illustrazioni di Innocenti sono un grande affresco della Toscana contadina e paesana, dei suoi modi di vita, quotidiani e straordinari. Un brulichio di piccoli fatti, di notazioni minime, che definiscono per sommatoria tutto un ambiente. D’altra parte la Toscana che qui si disegna è quella stessa dove affondano le radici dell’artista: «Ho girato mezza Toscana, per fotografare pezzi di muratura, viottole senza meta, muretti che non servono a nulla, case abbandonate. Ma è servito soprattutto a rinfrescare la memoria di un ragazzino che suo zio portava a caccia. Lui era contento per un merlo, un passero, io perché si andava dai contadini, ci si appostava tra i filari d’uva nera e se scoprivo un grappolo di quella per il vin santo, la finivo e mi veniva sete e dopo bevevo l’acqua del pozzo... Tutto intorno c’erano quei muri, quella gente che andava a mezz’ora di carro per prendere acqua, una vitaccia, una Toscana di zolle secche, mezzadri, fattori, carrettieri (...) Dopo tutto fu allora che lessi Pinocchio, e quello era il paesaggio fantastico che io avevo intorno, cominciava a mezz’ora di tram da casa mia».

Roberto Innocenti per Le avventure di Pinocchio

Pinocchio offre quindi a Innocenti l’occasione per un viaggio sentimentale all’interno della propria infanzia, per la ricerca di un tempo perduto fatto dei gesti mirati e essenziali dei contadini toscani, dei loro abiti scuri e pesanti, delle loro facce segnate e tristi.

Roberto Innocenti per Rosa Bianca

Anche la vicenda amara e tragica di Rosa Bianca si muove secondo coordinate simili. La piccola città percorsa dalla guerra, vicina al campo di concentramento, complice e vittima degli orrori nazisti, se è cosa certo diversa dalla Toscana di Pinocchio, nasce da ricordi e si nutre di un immaginario analogo. Tende soprattutto a ricostruire un identico paesaggio morale.

Roberto Innocenti per Rosa Bianca
La bambina Rosa Bianca è minuscola, inerme, si aggira tra i muri crudamente rossi della città, sotto truculente parole d’ordine, scende scale, salta pozzanghere, guarda attraverso finestre che disegnano la topografia minuziosa e vera di un luogo generato anch’esso dalla sublimazione del ricordo.

«Solitamente – ricorda Innocenti –  non restano immagini  del primo periodo dell’infanzia; ma io ricordo immagini di guerra, e solo quelle, che entravano senza chiedere permesso. Prima di aver messo a fuoco i volti dei parenti, fissai nella mente le facce di tutti quei soldati di tutti gli eserciti che passavano davanti a casa.»

Il dramma di Rosa Bianca e dei bambini del campo di concentramento si consuma tra le brume cupe di un inverno acquoso e innevato, nei gas di scarico delle colonne militari che passano frenetiche avanti e indietro per la città, nella tetra disperazione degli sfollati, sotto i cumuli di macerie dei bombardamenti.

Roberto Innocenti per Rosa Bianca

Roberto Innocenti per Rosa Bianca

Anche e forse soprattutto in questo caso si può parlare di libro corale; ogni elemento concorre, per sua parte, alla definizione della storia. La puntualità del disegno, la meticolosità topografica, le assolute rispondenze grafiche interno-esterno, realtà-specchio (si veda per tutte la tavola di copertina con la colonna di soldati feriti riflessa nei vetri della finestra e la corrispondente tavola interna con la stessa colonna di feriti che, speculare, attraversa la città) servono a rendere ancor più dolentemente reale la storia. Fino a raggiungere toni di tragedia nell’epilogo quando Rosa Bianca deporrà il fiore azzurro sul filo spinato del campo di concentramento dove i suoi piccoli amici sono morti e dove anche lei perderà, insieme all’illusione e alla speranza, la vita.

Roberto Innocenti per Storia di Erika

Rosa bianca è il primo dei grandi libri politici di Roberto Innocenti. Qualche anno dopo infatti illustrerà un testo di Ruth Van der See: La storia di Erika. Stazioni grigie di ferraglia, divise verdastre, binari che corrono all’infinito verso il niente, cielo plumbeo. Un debole raggio di sole arriva solo sulla carrozzina abbandonata sui binari, vuota.

Roberto Innocenti per Storia di Erika
Il racconto di Erika, la bambina salvata da Auschwitz dalla madre che l’ha lanciata fuori dal treno della morte, è fatto tutto di domande a cui la protagonista non sa né può dare risposta. Quando sono nata? Qual è il nome che mi aveva dato mia madre? Avrà sofferto e pianto prima di lanciarmi fuori dal treno? Mi avrà baciato per l’ultima volta?

Sono domande cui si dà risposta ipotetica ma certa.
E sono risposte su cui si costruisce una memoria reale non dei ricordi del vissuto, ma dei ricordi dell’immaginato.

Il mondo di Rosa Bianca e di Erika somiglia, perlomeno graficamente,  a quello della Marie Stahlbaum di Schiaccianoci e Re dei Topi,  dove la cappa pesante e fangosa, livida e desolante dei giorni di guerra, si stempera nel sogno-incubo, anche questo angoscioso e cupo, della bimba e dell’ussaro galante.

Roberto Innocenti per Schiaccianoci e Re dei Topi

La lotta di Schiaccianoci contro Re dei Topi e le sue truppe voraci si svolge tutta in una stanza che è raccontata come un preciso campo di battaglia, con le sedie, le gambe dei tavoli, gli stipiti della porta, gli sgabelli a costruire ostacoli, percorsi, trincee naturali.
Il salotto buono, addobbato per un Santo Natale tedesco, è ora luogo di guerra senza quartiere, ed è esaminato da ogni punto, destra-sinistra, dentro-fuori, sopra-sotto.

Roberto Innocenti per Schiaccianoci e Re dei Topi

Punti di vista grafico-topografici che danno sapore di realtà cinematografica (quasi un dolly di Stanley Kubrick) a una storia che si supporrebbe onirica e misteriosa, ma dove l’unica vera concessione al fantastico (poiché anche i giocattoli più stucchevoli assumono pose di esercito reale e battagliero) è il padrino Drosselmeier che, mago costruttore di orologi e automi, dirige gli elementi del sogno.

Roberto Innocenti per Un canto di Natale
Un altro Natale, dopo il sogno inquietante di Schiaccianoci: quello triste e solitario dell’avaro Scrooge del Canto di Natale. Ancora mattoni, questa volta quelli della Londra dickensiana, resi neri e opachi dalla nebbia e dal carbone.

Nelle strade strette, su per le scale buie, i fantasmi del Natale passato, presente e futuro mostrano all’avaro la tristezza desolata della sua vita e gli indicano la via per un possibile lieto fine. Le vie di Londra appaiono davvero come proiezione di uno stato d’animo freddo e scostante, come esplicitazione di una dolorosa miseria sociale e personale.
Nemmeno la contenuta allegria del pranzo natalizio o gli ingenui giochi di Bob Cratchit sulla via di casa bastano ad allontanare l’impressione di tristezza che la neve pasticciata dai passi o l’angustia dei vicoli sporchi trasmettono come una febbre.


Roberto Innocenti per Un canto di Natale

Il misero Natale londinese di Scrooge fa pendant con il rutilante Natale borghese della famiglia Stahlbaum. Le foto dei muri neri della Londra odierna rimangono nei cassetti dello studio di Roberto Innocenti, insieme alle viottole e ai muretti, questi rossi, fotografati nella lucchesia, nel pistoiese, nella Valdelsa fiorentina e senese, alla caccia degli scenari per Pinocchio e per una ricognizione d'antropologia nostalgica (Fienili). Dappertutto un’architettura ridisegnata e dipinta in maniera sapiente e pignola trasmette sensazioni di compattezza leggera. Il tratto meticoloso, i riferimenti esatti, ci parlano quindi più che del mondo reale, o di quello descritto da Hoffmann, da Dickens, da Collodi, del mondo che Roberto Innocenti ha disegnato per loro. Un mondo pesante di terra e mattoni, e pietre, con riferimenti certi ma anche con trasparenze impensabili.


Testi tratti da: Andrea Rauch, Il mondo come Design e rappresentazione, Usher Arte, 2009

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