giovedì 6 settembre 2012

Satira e politica: la moralità di Scalarini

Giuseppe Scalarini, La guerra, 1914

«Se scoppia una guerra con l’Austria – disse nel 1913 Mussolini, allora direttore de l’Avanti, a Giuseppe Scalarini, che ogni giorno disegnava una vignetta per il quotidiano socialista, – io ci vado
«Ma io no», rispose deciso Scalarini.
«Anche se fosse una guerra di difesa?»
«Anche quella. I poveri non hanno niente da difendere: il patrio suolo deve difenderlo chi se lo gode

Giuseppe ScalariniBlocco nazionale, 1921

Giuseppe ScalariniIl figlio della guerra, 1920

In questo scambio di battute c’è tutto Scalarini: la sua morale di classe, l’impegno civile, la mancanza di retorica. Due frasi che valgono una lunga e circostanziata presa di posizione politica, il “credo” attorno a cui ruota la sua cinquantennale opera di disegnatore politico.

«Posso dire d’esser nato due volte, – ebbe a scrivere una volta – il 29 gennaio 1873 e il 22 ottobre 1911, quando uscì su “l’Avanti” la mia prima vignetta.»
Da quel 22 ottobre, prima che l’organo del Partito Socialista chiudesse i battenti, nel 1926, soffocato dalle leggi straordinarie, Scalarini pubblicò su l’Avanti 3700 vignette. Il suo tratto lineare e scheletrico, senza nessun aggiustamento accattivante, divenne in breve popolarissimo, gli procurò lodi sperticate e critiche feroci, processi, condanne e persecuzioni; contro di lui furono organizzate spedizioni punitive dalle squadracce fasciste e fu mandato al confino. Soprattutto però le vignette gli procurarono fama larghissima presso quel popolo che non voleva esser più «utile, paziente e bastonato» (come si leggeva nella testata de L’Asino di Gabriele Galantara) ma che cercava di rizzarsi in piedi a contrastare la protervia degli affaristi senza scrupoli, dei pescecani di guerra, dei generali guerrafondai.

Giuseppe ScalariniLa sardella e il pescecane, 1915

Il mondo, secondo Scalarini, è diviso in sfruttati e sfruttatori. Lui decide di stare dalla parte degli sfruttati.
Nelle sue tavole asciutte e crudeli lo sfruttatore è subito fisicamente riconoscibile: ha il ventre obeso, le guance porcine, le unghie artigliate. Lo sfruttatore, in marsina, esce dalle scarpe di cartone sfondate portando in spalla sacchi di denaro; con il sigaro in bocca ostenta, da arricchito di guerra, gli anelli e i bottoni ricavati dai teschi scarniti delle vittime.

Giuseppe ScalariniLa breccia, 1916

Giuseppe ScalariniL'arricchito di guerra, 1919

Più varia è l’umanità degli sfruttati. La madre, affranta sul cannone fumante della grande guerra, gli impiccati di Libia, il proletario che, reggendosi sulle stampelle, con gambe artificiali innestate al posto delle braccia esclama: «Ah, la guerra non sarebbe rivoluzionaria? Guardate che rivoluzione ha fatto sul mio corpo

Giuseppe ScalariniLa guerra, 1914


Giuseppe ScalariniAh, la guerra non è rivoluzionaria?
Guardate che rivoluzione ha fatto nel mio corpo
, 1920

In occasione di uno dei tanti processi che la sua matita gli aveva procurato Scalarini scrisse al presidente del tribunale: «In Libia sono stati loro, i patrioti, non noi a infilzare i bambini con le baionette come fossero ranocchi, sono stati loro, a Sciara Sciat, a massacrare uomini e donne, giovani e vecchi, a gettare le bombe sulle povere capanne, a impiccare gli arabi che avevano difeso il loro paese: sono stati loro a sparare sui contadini affamati... sono stati loro a riempire d’acqua i buoi delle forniture perché pesassero di più e a fabbricare le scarpe con le suole di cartone; sono stati loro a rubare nei ministeri, nelle banche, dappertutto. Sono stati loro, non noi, a violentare la legge: loro sono stati, non noi. Guardi le nostre mani: qualche macchia di inchiostro; guardi le loro, invece, guardi che unghie, che macchie di sangue. Sono loro, i patrioti, che devono andare in galera, non noi!».

Un’analisi politica appassionata ma lucida che si andava verificando attraverso la guerra di Libia, l’interventismo e la Prima guerra mondiale, il drammatico e concitato dopoguerra, la nascita e l’avvento del fascismo.

Giuseppe ScalariniAfrica, terra di morti, 1911

Poi il silenzio e il confino, e la difficile arte di vivere in un mondo che aveva, di fatto, provveduto a cancellare la sua firma e a chiudere il suo giornale.

Giuseppe ScalariniIl fascismo, 1924


Per saperne di più: Scalarini, a cura di Mario De Micheli, Edizioni Avanti, 1962.

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